Rivista di cultura filosofica
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Lichtung. Luci
A cura di Giacomo Conserva
Büchner: il delitto come pensiero
di Marco Baldino
Dicembre 2014
Le cronache criminali di Lipsia registrano, alla data del 13 novembre 1823, l’esecuzione del soldato Johann Christian Woyzeck, assassino della propria amante. Il processo era stato accompagnato da una lunga disputa medico-giuridica sullo stato mentale dell’imputato e sulla natura della cosiddetta monomania.
Straordinaria analogia, quindi, con il caso Pierre Rivière — Francia, Aunày, nei pressi di Vire e di Caen — il quale, il 3 giugno 1835, sterminava la propria famiglia a colpi di roncola. Condannato a morte il 12 novembre 1835, fu poi graziato il 10 febbraio 1836. Morì suicida, in carcere, nel 1840. Anche il processo Rivière fu accompagnato da vaste polemiche tra medici e giuristi, che raggiunsero la stampa, aventi per oggetto lo stato mentale del soggetto e la natura della monomania. Pierre Rivière lasciò un imponente Memoire in cui spiega le ragioni del proprio gesto, riportata alla luce dall’equipe di Foucault nel 1973.
J. Ch. Woyzeck invece non lasciò dietro a sé alcun documento scritto. Supplì, tuttavia a questa lacuna, la penna di una giovane e geniale scrittore romantico, morto all’età di soli 24 anni, Georg Büchner, che, in un intervallo di tempo non meglio precisabile, comunque compreso tra il ’23 (anno della morte del Woyzeck) e il ’37 (anno della morte di Büchner) scrisse il dramma Woyzeck. Büchner morì il 19 febbraio 1837, a Zurigo, dove si era stabilito da pochi mesi. A partire dal 1835 si era invece stabilito in Francia, dove dimorò presumibilmente fino verso la fine del 1836, cioè giusto il periodo del processo Rivière. Ora, niente prova che Büchner fosse al corrente del caso Rivière, ma si potrebbe sospettare che questi abbia voluto dare a Woyzeck quella parola che Rivière aveva saputo prendere da sé nel suo Memoire, quella parola che doveva servire all’incolto milite omicida di manifestare l’intreccio di meditazione e dolore che lo aveva condotto al delitto.
PASSAGGI E PECULIARITÀ DEL DRAMMA DI BÜCHNER
1. Secondo la scienza (il medico-professore) Woyzeck è affetto da «una bellissima aberratio mentalis partialis della seconda specie». Tale “affezione” è dunque “bellissima”, cioè interessante per il sapere medico-psichiatrico allora appena toccato da quei progressi che, in breve, porteranno la psichiatria ad una chiara istituzionalizzazione. In secondo luogo, essa è “parziale”: Woyzeck non è matto su tutti gli aspetti della vita, ma delira solo su un punto. Qui si innesta il discorso della monomania, poi abbandonato dalla psichiatria. [1]
2. Woyzeck soffre in effetti di allucinazioni, ma queste allucinazioni sembrano portare con sé l’eco di un sapere arcano (la “follia” non è ancora perfettamente medicalizzata e, vedremo, come questa sia ancora avvicinata all’animalità, all’immoralità, a una qualche forma di hybris meditativa).
Visioni essenziali di Woyzeck. Vede una testa rotolare proprio in corrispondenza di quella striscia chiara sopra l’erba, la sera. Vede che un fuoco correre per il cielo e sotto sente un rimbombo, come di trombe. Quando il sole è a picco, a mezzogiorno (si noti la corrispondenza con tema classico della letteratura visionaria: «l’ora del mezzogiorno nell’Antichità era un’ora fasta e nefasta, l’ora non solo della sospensione di ogni attività sotto la vampa accecante del sole, ma anche l’ora delle visioni proibite, con il loro seguito di delirio» [2] ed è come se il mondo prendesse fuoco, una voce terribile parla a Woyzeck (N.B. si tratta della stessa voce che, più tardi, Büchner associerà al delitto: «Ammazza, ammazza la lupa del diavolo!»).
3. Sebbene Büchner non lo dice esplicitamente, lo spettatore e il lettore sono sollecitati a costruire da sé un’analogia tra Woyzeck e l’animale: 1) il cavallo ammaestrato dei baracconi (Scena V): l’uomo della baracca così presenta il suo prodigio: «un animale umano... eppure un animale, une bête»; 2) Woyzeck, come sostiene il medico-professore, è effettivamente poco più che una bestia, questi giura infatti di averlo visto pisciare contro il muro, come un cane (Scena VI). E quando Woyzeck invoca la natura, il dottore replica che l’uomo è uomo proprio perché libero dalla natura, egli controlla, con la volontà, il musculus constrictor che consente di trattenere l’urina; 3) Woyzeck muove le orecchie in modo asinino (Scena XV); — il dottore ne fa oggetto di una singolare lezione “accademica”; 4) il capitano (Scena I) rimprovera a Woyzeck la sua debolezza nei confronti della pulsione sessuale (Woyzeck ha un figlio illegittimo dalla prostituta Maria) e quindi non ha morale, è une bête.
4. L’amore animale di Woyzeck (Franz) per Maria è poi alla base della sua ossessione (Woyzeck è geloso) e quando Maria lo tradisce con il tamburmaggiore e tutta la città lo sbeffeggia, lui, i cui pochi soldi della diaria non sono sufficienti a mantenere il figlio e la madre e che pertanto si sottopone a grotteschi esperimenti medico-alimentari per qualche spicciolo in più, si abbandona al delirio. Ecco di nuovo la voce che gli sussurra dal ventre della terra. «Ammazza, ammazza la lupa del diavolo». Corre in città, si batte col rivale e ne ha la peggio, acquista un coltello, uccide Maria.
5. Infine, ecco il discorso giuridico, appena accennato, in quest’opera incompiuta, per bocca di un poliziotto: «un bel delitto, un delitto ben fatto, proprio bello. Tanto bello che non si poteva pretendere di più» (Scena XXVIII).
CONCLUSIONI
A.
In via del tutto generale, si potrebbe assumere che Woyzeck (come Rivière) abbia espresso, nel suo Memoire, il conflitto tra l’urgenza del pensiero e la compressione a cui la sua vita fu esposta. Tale compressione fu tanto forte da rendere impossibile a quel pensiero l’accesso al linguaggio. La pulsione a pensare si manifestò quindi in un gesto estremo, ma pieno di sostanza meditativa, a volte eccessiva, tralignante («Woyzeck. Tu sei un buon uomo, un buon uomo. Ma pensi troppo, e questo affatica, consuma», Scena I, Capitano) — qui il delitto va compreso come una forma di pensiero. Woyzeck è, in un certo senso, un pensiero che si leva dai margini con il bête e si impone allo sguardo dei saperi ufficiali come uno sconquasso. Ma i saperi ufficiali (qui psichiatria e giurisprudenza) non hanno nessuna intenzione di lasciarsi sconquassare e rispondono quindi a questo modo: folle o criminale, folle o criminale. Esiste tuttavia una trama della follia che la medicina ha classificato come “monomania” e che consiste in una sorta di intermittenza della ragione e che potrebbe, se non altro, rendere giustizia di un rapporto articolato con la ragione stessa: il soggetto è solo puntualmente pazzo, pazzo solo su un punto e savio su tutto il resto.
B.
Woyzeck è eterogeneo all’umana compagine, alla dimensione socialmente omogenea; egli è la piega immorale, folle e delittuosa del pensiero; egli è la parte dell’umano che commercia con il bête, che si consuma nell’idiozia e quindi, essenzialmente, esso è non-pensiero: «C’è bel tempo, signor capitano. Vede, un cielo così bello, grigio; verrebbe voglia di piantarci un chiodo e impiccarcisi, solo per quella lineetta, fra sì e ancora sì, e no. Signor capitano, sì o no? il no c’è perché c’è il sì, o il sì c’è perché c’è il no? Ci devo pensar su» (Scena IX). Pensare qui significa una dolorosa lotta con ciò che parla dall’arcana dimensione del ‘fuori’: teste che rotolano sul fondo del prato, fuochi che corrono per il cielo, voci terribili che sussurrano dal cuoio della terra... E che non trova rappresentanza nel flusso omogeneo del pensiero. Woyzeck è l’aria disperata e stravolta che si dipinge sui volti di vite ritagliate con ferocia nel corpo dell’esistente e, con un moto d’esclusione, escluse dal pensiero affinché quella vita diventi una vita Umana. Woyzeck è un surriscaldamento del pensiero, un pensiero senza linguaggio, un pensiero che cerca la coerenza del proprio delirio in un gesto che si imponga alla societé in modo dirompente, in un modo che non possa più essere ignorato, in un delitto. Woyzeck è un pensiero surriscaldato, privo di linguaggio, contiguo ai territori dell’immoralità, dell’animalità, della stupidità («Quanto siete stupido! Tremendamente stupido! Woyzeck», Scena I, Capitano), della follia che «corre per il mondo come un rasoio aperto» (Scena IX, Capitano).
[1] Nel nuovo secolo rilanciato a proposito del delitto di Cogne (30 gennaio 2002).
[2] P. Klossowski, «Nietzsche, le polytéisme et la parodie», in Un si funeste désir, Gallimard, Paris1963.
Werner Herzog, Woyzeck, 1979
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