1. [p. 172]
In tal caso, l’«analisi psichiatrica dell’esserci» di Ludwig Binswanger costituirebbe, dunque, una sezione dell’esserci di Heidegger? Ma, come anni fa dovette ammettere lo stesso Ludwig Binswanger, egli è incorso in un fraintendimento dell’analitica dell’esserci, sebbene in un «fraintendimento produttivo» come egli lo chiama. Ciò, Loro lo possono riconoscere già dal fatto che nel grosso libro di Binswanger sulle forme fondamentali dell’esserci c’è una «integrazione» della «tetra cura» di Heidegger, e cioè un saggio sull’amore, che Heidegger avrebbe dimenticato.
Che cosa si esprime in questo tentativo di integrazione? Che cosa manca per Binswanger riguardo al pensiero di
Sein und Zeit, se egli tenta una tale integrazione? In
Sein und Zeit viene detto che all’esserci ne va essenzialmente di questo esserci stesso. Contemporaneamente, questo esserci viene determinato esso stesso in quanto originario esser l’uno con l’altro. Perciò all’esserci ne va sempre anche degli altri. L’analitica dell’esserci non ha, dunque, minimamente a che con un solipsismo o soggettivismo. Ma il fraintendimento di Binswanger non consiste tanto in ciò, che egli voglia integrare ‘la cura’ attraverso l’amore, bensì nel fatto che egli non veda che la cura ha un senso esistenziale, vale a dire,
ontologico, che quindi l’
analitica dell’esserci pone la questione circa la
costituzione ontologica (esistenziale) fondamentale di esso e non vuol dare una mera descrizione di fenomeni ontici dell’esserci.
2. [p. 402]
Sostituendo il termine soggetto con quello di soggettività, Binswanger non oltrepassa la rappresentazione del soggetto, bensì, al contrario, con ciò, egli la accentua e consolida, in quanto il concetto di soggettività designa e mette in rilievo solo ancora espressamente il modo d’essere particolare del soggetto. Se poi Binswanger crede inoltre di poter oltrepassare il «male insanabile della psichiatria», come egli lo chiama, intendendo con ciò la scissione soggetto-oggetto, facendo «trascendere» una soggettività fuori da se stessa verso le cose del mondo esterno, in tal caso, egli ha completamente frainteso «la trascendenza», quale essa viene pensata nel mio scritto
Vom Wesen des Grundes... In secondo luogo, egli non svela in che modo un trascendere, nel senso sopra menzionato, potrebbe accadere, in che modo, cioè, una soggettività, rappresentata primariamente in quanto immanenza, sarebbe in grado di avere anche solo il minimo presagio di un mondo esterno. L’essere-nel-mondo non intende proprio mai una qualità propria di una soggettività rappresentata come che sia, bensì è, fin da principio, l’esistere dell’uomo stesso [...]
2. [pp. 402-3]
Tuttavia, il fraintendimento del mio pensiero, nel modo più grossolano, Binswanger lo tradisce con il suo libro
Grundformen und Erkenntnis menschlichen Daseins. In esso, egli crede di dovere integrare la «cura» e lo «aver cura» attraverso un «modo d’essere duale» e attraverso un «essere oltre il mondo». Con ciò, rivela soltanto che egli misconosce onticamente l’esistenziale fondamentale, vale a dire, il tratto essenziale dell’esistere umano, cui io diedi il titolo superiore di «cura», vale a dire, egli scambia il concetto di «cura», da me pensato ontologicamente, con un singolo modo di eseguimento ontico di questo tratto essenziale, cioè, con quello di un modo di comportamento nel senso di un contegno tetro e preoccupato-premuroso di un determinato uomo. «Cura», invece, in quanto costituzione esistenziale fondamentale dell’esser-ci, nel senso di
Sein und Zeit, è nulla di più e nulla di meno che il nome per l’essenza complessiva dell’esser-ci, in quanto questi è sempre già rimesso a qualcosa che gli si mostra e rispetto a cui egli, costantemente fin dal principio, è sempre assorbito ogni volta da un rapporto, quale che sia il suo modo, con questo. In tale essere-nel-mondo in quanto «cura» si fondano cooriginariamente, perciò, anche tutti i modi ontici di comportamento sia di coloro che amano, che di coloro che odiano, che dello imparziale scienziato della natura, etc. Altrettanto poco, quindi, occorre parlare di un «esser oltre il mondo», se non si scambiano come costantemente fa Binswanger cognizioni ontologiche con datità ontiche. Il «mondo», nel senso dell’analitica dell’esserci di
Sein und Zeit, «all’interno» del suo ambito, lascia divenir manifesto anche ciò che giace al di là del «mondo» di Binswanger, cosicché lo «esser-mondo», rettamente inteso, nella connessione con l’esistere umano, non solo non abbisogna di un «esser oltre il mondo», bensì rende qualcosa di tal specie per nulla affatto possibile.
Ludwig Binswanger