È nota la diatriba tra creazionisti ed evoluzionisti, cioè tra chi crede nell’origine dell’uomo per azione e volontà di Dio e chi considera lo sviluppo della nostra specie una conseguenza dell’evoluzione.
Dal punto di vista filosofico, l’azione creatrice di Dio contiene un intrinseco paradosso: o l’atto di Dio è stato necessario e quindi non libero, oppure è stato libero e quindi arbitrario. Analogamente appare piuttosto difficile concepire un Dio immutabile ed eterno che crea un mondo contingente e temporale; inoltre, nel momento in cui Dio inizia ad interagire con il creato rischia di compromettere la sua autosufficienza e onnipotenza.
Secondo il filosofo ebreo Hans Jonas la creazione è la diretta conseguenza di un atto di autoalienazione di Dio. Ripensando la dottrina dello
Tzimtzùm, egli sostiene che per creare il mondo Dio ha dovuto “contrarsi, ripiegarsi, autolimitarsi”; per fare spazio al mondo l’eternità di Dio ha dovuto lasciare sorgere un vuoto fuori di sé, e da questo Nulla è stato possibile creare il mondo. Per Jonas ogni creatura deve la propria esistenza a questo atto di autonegazione di Dio, il quale dopo la creazione non avrebbe altro da dare al divenire del mondo, salvo perdere la propria onnipotenza (cfr. H. Jonas,
Il concetto di Dio dopo Auschwitz, trad. it. di C. Angelino, Il Melangolo, Genova 1990).
Come è possibile, a questo punto, comprendere l’azione di Dio nella storia dell’umanità e rappresentare il mondo come il luogo nel quale l’uomo incontra il suo Dio e si prepara all’eternità cui è destinato? Se poi l’uomo è destinato a uscire dalla propria contingenza e condividere l’eternità di Dio, inevitabilmente egli si troverà ad incidere sul destino stesso di Dio.
Una possibilità per risolvere, almeno in parte, questi paradossi può venire dalle riflessioni della cosiddetta Teologia Processuale. Questa corrente di pensiero, sviluppatasi nel corso del ’900, considera il mondo come un processo con una direzionalità definita, affermando il primato del divenire sull’essere; nel contempo viene negata una visione meccanicistica della realtà fisica e sostenuta una visione indeterminata del mondo. Più recentemente questa visione del realtà è stata descritta dalla fisica delle particelle che considera gli elettroni nell’atomo in una posizione indeterminata e puramente probabilistica. In base alle attuali conoscenze della fisica quantistica, i sistemi cosiddetti ‘aperti’, pur essendo indeterminati e sensibili a diverse influenze esterne, presentano ugualmente comportamenti ordinati, sottostando a precise leggi matematiche. Esisterebbe quindi un sistema di controllo superiore all’interno del quale è possibile un certo livello di libertà e di casualità.
Secondo la Teologia Processuale Dio ha creato il mondo e, senza bisogno di intervenire direttamente in esso, vi ha inserito quelle potenzialità che la realtà fisica (uomo compreso) è libera di sviluppare autonomamente. Il nostro mondo sarebbe dunque stato creato, pur mantenendo un carattere essenzialmente indeterministico e aperto allo sviluppo. Questo nuovo modo di intendere l’universo permette di conciliare la visione creazionistica dell’universo e la concezione evoluzionistica dello sviluppo biologico. Non vi sarebbe alcuna contraddizione nel concepire l’azione creatrice di Dio e la tendenza dell’universo ad organizzarsi secondo regole e leggi sue proprie, in cammino verso forme sempre più ricche e complesse.
Per la Teologia Processuale Dio, pur rimanendo il creatore del mondo, viene coinvolto nel dispiegarsi del mondo, risultandone influenzato. Questo Dio, che assomma caratteri eterni e caratteri contingenti, può essere definito un Dio ‘polare’, nel quale coesistono in un’unica entità infinito e finito, immutabilità e temporalità. Questo Dio, che può comprendere in sé anche contingenza e necessità, è inevitabilmente modificato da ciò che ha creato.
La direzione del mondo, lo scopo di questo processo, sono tracciati direttamente e unicamente da Dio, ma all’interno di questo binario il processo rimane sostanzialmente aperto; il mondo risulta così né totalmente determinato né totalmente indeterminato, ma entrambe le caratteristiche (in maniera non duale, ma polare) si trovano a coesistere armonicamente.
In base a questa visione della realtà l’uomo mantiene una condizione di creatura voluta da Dio, ma con la libertà e la possibilità di determinare la propria storia individuale e collettiva, storia nella quale Dio può sia essere che non essere. Viene così garantito il libero arbitrio dell’uomo senza per questo arrivare a negare il controllo volontario di Dio sul mondo.
Il padre della Teologia Processuale è il matematico, filosofo e teologo Alfred North Whitehead (1861-1947), stretto collaboratore di Bertrand Russell. Nel suo “Dio e il mondo” del 1929 egli analizza con particolare lucidità i temi che stiamo qui sviluppando. La natura bipolare di Dio per Whitehead è espressa dal suo essere allo stesso tempo primordiale e conseguente, primordiale nel senso di prima del mondo, conseguente nel senso che è presente nel mondo.
Dio esiste prima del mondo, ma una volta creato l’universo esiste anche per l’universo. Il mondo cioè incarna e comprende Dio, e Dio è completato dallo svolgersi della contingenza del mondo. Le occasioni temporali vengono completate e purificate nella loro unione con Dio. Dio e il mondo vanno dunque considerati come opposti complementari, all’interno di una visione dinamica in eterno divenire. Dio e il Mondo si muovono l’uno verso l’altro.
Per Whitehead il Mondo vive uno sforzo dinamico per giungere a unirsi alla visione primordiale, statica ed eterna di Dio, e a sua volta Dio realizza il proprio compimento assorbendo in sé la molteplicità degli sforzi dinamici del mondo. In questo modo il Mondo è creato e tende a Dio, e Dio mantiene la propria essenza pur lasciandosi modificare dal mondo che ha creato. L’uomo pur essendo finito è destinato all’eternità attraverso la sua unione con Dio, e da parte sua Dio viene ad essere modificato nell’atto di assorbire in sé la propria creatura.
L’universo di Whitehead è inserito all’interno di un processo dinamico che procede dall’imperfezione alla perfezione, secondo le regole e le potenzialità che il Creatore vi ha inscritto. Dio partecipa direttamente a questo processo attraverso un controllo unicamente primordiale e quindi, nello svolgersi della storia del mondo, necessariamente parziale.
Il Mondo risulta dunque definito dalla volontà creatrice di Dio, ma a sua volta Dio appare definito dall’oggetto stesso della sua creazione. In questa prospettiva ogni creatura arricchisce la propria eredità esistenziale con la propria soggettività e contribuisce così personalmente allo svolgersi della creazione del mondo.
In questa visione dinamica nessuna creatura, ma anche nessuna idea, può esistere separatamente da ogni altra creatura né dall’intero universo per il suo intero svolgersi temporale. Purtroppo, ammette Whitehead, l’uomo non è in grado di giungere a sperimentare la suprema unità dell’esistenza, perché non è capace di percepire e comprendere insieme i due caratteri costitutivi dell’universo: il cambiamento e l’immortalità.
L’ottica della Teologia Processuale permette di modificare e aggiornare quella visione dualistica della realtà che per secoli ha ‘ingabbiato’ la nostra interpretazione dell’uomo. Il dualismo anima-corpo, spirito-materia, ma anche umano-divino, finito-infinito, soggetto-oggetto, ecc., ha tentato di mantenere uniti gli opposti facendo dell’uomo e della realtà un ibrido nel quale due entità opposte si uniscono a formarne una nuova.
Secondo la visione ‘polare’ della Teologia Processuale la realtà risulta invece costituita da elementi opposti ma complementari, e ciò che vediamo è alternativamente uno dei due volti di una medesima realtà. La legge che sottende questa lettura della realtà non è tanto l’equilibrio tra gli opposti quanto l’armonia e la coerenza tra di essi.
* © Alessandro Volta, Dio e il mondo secondo la Teologia Processuale, allevolta.net, aprile 2013.
Alfred North Whitehead
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