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Credo quia absurdum.
Prendere sul serio il cristianesimo

di Guido Cavalli

29 marzo 2017


“Prendere sul serio il cristianesimo”, ovvero prendere sul serio qualcosa di assurdo: questo Baldino ha ribadito su Kasparhauser, [1] e il suo intervento si colloca e prosegue lungo quella direttrice mai domata dell’apologetica, della teologia, della filosofia e della letteratura cristiana degli ultimi duemila anni (da Tertulliano, appunto, a Kierkegaard, dallo Pseudo-Dionigi a Dostoevskij), che non ha mai perseguito una corrispondenza tra rivelazione e logos — dove la resurrezione è luogo cruciale dello iato tra questa e quello. Eppure se il cristianesimo avesse solamente spezzato, come spiegare la sua capacità di durare, di continuare e abbracciare il mondo da Oriente a Occidente?

Noi pensiamo sempre che la morte e resurrezione di Cristo siano la discesa di Dio nell’umanità, fino alla morte, e poi il ripristino della sua eccedenza nell’ascesa alla gloria eterna. Infatti parliamo della resurrezione come sconfitta della morte, come vittoria sulla morte. In questo senso la resurrezione attesta proprio la presenza del divino in Cristo, dimostra che l’uomo Gesù era il Cristo. Al tempo stesso, dal momento della resurrezione in poi, nulla è stato più evidente dell’assenza del divino nella morte dell’uomo, della morte come dimensione esclusiva dell’umano, se Dio stesso ha potuto attraversarla soltanto facendosi uomo. Il divino in Cristo ha vinto la morte, ma la morte lo ha vinto, ancora una volta e sempre, come uomo. Inizia esattamente qui una nuova dimensione di libertà, di assolutezza e di potere illimitato dell’umano. Dio ha sconfitto la morte in Cristo, ma ha anche ammesso che solo l’uomo può passare attraverso la morte. Così l’uomo è diventato libero da Dio, libero come non lo era mai stato. Ha lasciato Dio indietro, prima della sua morte, e ha iniziato un suo cammino solitario, senza Dio, oltre la morte. Implicitamente (?), la natura consustanziale del divino e dell’umano in Cristo comporta dunque un ribaltamento di prospettiva: Cristo non è stato solo uomo nella morte e Dio nella resurrezione, ma anche Dio di fronte alla morte e uomo nell’eternità, ovvero nella resurrezione ha tanto inaugurato una dimensione di vita eterna dell’uomo quanto accettato una limitazione di Dio, ovvero ha rivelato la storicità di Dio e l’eternità dell’uomo.

Che il Dio fatto uomo sia risorto dalla morte, certo ci ha rivelato un altro divino — ma che l’uomo abbandonato da Dio sia tornato dalla morte, questo ha reso l’uomo cristiano capace di un potere, di un imperium inedito nella storia. E il tempo che segue quell’evento, l’evo cristiano, non è forse il tempo in cui Dio si è annullato, si è zittito, si è velato dietro la morte, e l’uomo si è eternato? Ciò che là è accaduto è proprio questo scambio: l’eterno non è più solo attributo del divino e il mortale non è più solo attributo dell’umano, ma viceversa. Da duemila anni noi avveriamo questa possibilità. Molto seriamente abbiamo creduto all’assurdo e al potere (illusorio? folle?) che l’assurdo ci ha donato, quella follia è la storia universale della nostra civiltà.

[1] M. Baldino, “Prendere sul serio il cristianesimo”, Kasparhauser, Ateliers, 14 marzo 2013.
El Greco, Apostle St Bartholomew, 1610-1614



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