geofilosofìa s. f. Indirizzo teorico e ambito di studi impegnato a raccordare il luogo storico dell’interrogazione filosofica, cioè la Polis, con l’emergenza di una pluralità di luoghi e non-luoghi in cui l’interrogazione filosofica, con l’esplosione della forma ecumenopoli, della
global city, si è disseminata: la città con le sue accademie, la provincia con la sua minorità, la montagna con la sua lontananza, ma anche il romanzo, la pittura, la forma diario e persino la canzonetta. Luoghi e non-luoghi a confronto con la crescente omogeneizzazione cui le tecniche sottopongono il mondo facendone il ‘globo’ di tutte le differenze, un medesimo clamore per tutti gli enti. Secondo i filosofi francesi Gilles Deleuze e Félix Guattari, che svilupparono e introdussero il concetto in
Quest-ce que la philosophie? (1991; trad. it. 1996), la
g. analizza e interpreta come il pensiero si realizza nel rapporto tra il territorio [ciò che sta dintorno ed è più prossimo, gli enti che entrano nel nostro sguardo e nella nostra esperienza fin dai primi istanti della nostra vita] e la terra [il medesimo clamore]. È bene precisare che il prefisso
geo- non sta a significare la nascita di un settore specializzato della filosofia, ma il qui e ora dell’interrogazione filosofica, nel momento in cui non appartiene più (tradizione otto-novecentesca), all’unico territorio degli Studi Filosofici, identificato con la terra nel suo complesso. Il termine
g. esprime così la relazione d’immanenza tra terra (l’unico clamore) e pensiero, il sorgere del pensiero a partire dalla considerazione di ciò che sta dintorno ed è più prossimo. La
g. si è a volte presentata come una “filosofia della terra”, a volte come una “geografia filosofica”, a volte come problema di accesso al pensiero. In quest’ultimo caso: non appartenendo alla Polis, bestie e iddi sono ἁξύνετoι, cioè esclusi o esterni al pensiero e, per estensione, sono da considerarsi ἁξύνετoι anche tutti coloro i quali non sono formati nella disciplina dell’accademia: umoristi,
chansonniers, provinciali, scribacchini, guitti, folli, predicatori radiofonici, tutta gente che, sia pure in qualche modo, ha a che fare con la fabulazione. La “geografia filosofica”, rompendo il preconcetto che la filosofia si innalzi sull’orizzonte della terra nella sua totalità e ne colga l’unità, libera gli idiotismi (
idion, ciò che sta a sé, chiuso nel suo particolare) dall’aggiogamento alla
particula e, per converso, smaschera il particolarismo dei discorsi universali (per es. la “Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino” pronunciata dai rappresentanti del popolo francese nel 1789); mentre la “filosofia della terra”, decretando l’indistinguibilità della voce di ciascun ente, sgombra il terreno per le scorrerie di discorsi di tutti i tipi, ormai non più discriminabili in base alla loro esteriorità alla Polis: «Coloro che parlano adoperando la mente [ξὺν νόωι] scrive Eraclito si bas[a]no su ciò che è a tutti comune, come la Polis sulla legge» (fr. 114B DK. Per la traduzione utilizzata, cfr. C. Sini,
Immagini di verità, Spirali, Milano 1985, p. 113). La
g., quindi, non è altro che la filosofia stessa nell’epoca in cui l’esercizio dell’interrogazione filosofica ha perso l’orizzonte ξυνῶι (a tutti comune), ovvero l’universale [κoινόϛ] così pare che si esprima lo stesso Eraclito (fr. 2B DK). Il che potrebbe apparire paradossale visto che l’universale è perso nel momento stesso in cui l’orizzonte dell’uomo, sotto molti aspetti, si fa ‘globale’. Ma questo paradosso significa soltanto che nel momento in cui il luogo dell’interrogazione filosofica, ossia la Polis, diviene tutta quanta la terra, con i suoi anfratti, le sue faglie, le sue corrugazioni, il filosofare assume l’andamento tipico di qualcosa che si muove
sulla terra, a
ridosso, seguendone il profilo, sperimentandone, per così dire, le differenze, e non di qualcosa che si deve innalzare
sopra la terra per coglierne l’unità astratta.
* Geofilosofia, Treaccani, Lessico del XXI secolo.
1897, Klondike
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