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Immagine, serie, fuga nel barocco
di Rosa María Rodríguez Magda

9 maggio 2015



Da R. M. Rodríguez Magda, Transmodernidad, Anthropos, Barcelona 2004, pp. 8-9
© Traduzione di Marco Baldino

La Transmodernità prolunga, continua e trascende la Modernità; è il ritorno di alcune delle sue linee e idee, forse le più universali. L’hegelismo, il socialismo utopistico, il marxismo, la filosofia del sospetto, le scuole critiche … tutto ciò ci ha rivelato la sua ingenuità. Dopo la crisi di queste tendenze, ci si volge di nuovo al progetto illuminista come ad un quadro generale e più libero per determinare il nostro presente. Tuttavia è un ritorno distanziato, ironico, che accetta la sua finzione utile.

La Transmodernità è il ritorno, la copia, la sopravvivenza di una Modernità debole, impallidita, light; è la zona contemporanea più attraversata da tendenze, ricordi e possibilità; trascendente e, tuttavia, sempre all’orizzonte, volontariamente sincretica nella sua «multicronia». La Transmodernità è sì una finzione, ma è la nostra realtà; copia che soppianta il modello, un eclettismo che è allo stesso tempo canagliesco e angelico.

La Transmodernità è il postmoderno senza il suo ingenuo discontinuismo, è la galleria museale della ragione che, per non dimenticare la storia e per non finire nel barbaro inselvatichimento cibernetico o massmediatico, si è in qualche modo mummificata. La transmodernità è il proporre i valori come limiti o come favola, per non dimenticare, perché siamo saggi, perché il nostro passato lo è stato. La Transmodernità ricupera l’avanguardia: la riproducibilità e la commerciabilità, certo, ma nello stesso tempo ricorda che l’arte ha avuto — ed ha — un compito di contestazione e di sperimentazione, ci dice che qualcosa non va. La Transmodernità annulla le distanze tra le élites e la cultura di massa e mostra come i loro sentieri si incrocino.

La Transmodernità è immagine, serie, fuga nel barocco e barocco come via di fuga, è autoreferenzialità, catastrofe, circolo vizioso, ripetizione frattale e inutile; è entropia dell’obeso e congestionata inflazione dei dati; è estetica del troppo pieno e della sua sparizione, entropica, fatale. La sua cifra non è il post-, la rottura, la discontinuità, ma la transustanziazione vasocomunicante dei paradigmi. La Transmodernità sono i mondi che si compenetrano e si risolvono in bolle di sapone o come immagini su uno schermo. Non è un desiderio o un fine, semplicemente è una situazione strategica complessa e aleatoria, non scelta, che in-siste; non è né buona né cattiva, compiacente o insopportabile […] è tutto questo insieme […]. È l’abbandono della rappresentazione, il regno della simulazione e della simulazione che conosce il reale.


Pere Borrel Del Caso, 1874

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