Kasparhauser
2012
Philosophical culture quarterly
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Note sul lavoro di Fabrizio Corvi
di Angela Madesini
© progetto UMANI 2013
Fabrizio Corvi è una sorta di regista dell’immagine. Ogni fotografia nasce prima di tutto nella sua testa, nei suoi pensieri. Crea poi una scenografia in cui appaiono oggetti, personaggi, situazioni, carichi di implicazioni, di metafore, che poi viene immortalata attraverso la fotografia.
Ognuno dei suoi lavori è un racconto che ci attira e ci immerge in una serie di problematiche sicuramente esistenziali, ma anche sociali, artistiche. Inutile sottolineare, perché si tratta di un aspetto evidente, quanti siano i richiami alla storia dell’arte, alla scultura classica, ma anche alla cultura classica, a Mantegna e alla sua rilettura offerta da Pier Paolo Pasolini, alla pittura e alla scultura barocche, a Velázquez, a Magritte, a certo Surrealismo. I suoi sono dei tableaux vivants del nostro tempo in cui il colore gioca una forte valenza simbolica. I colori delle fotografie sono drammatici, dramma in senso classico di azione, spesso i toni sono volutamente calcati. Nulla di concettuale, di studiato in quel senso, anzi, Corvi afferma di comprendere appieno le sue fotografie solo dopo averle scattate. Si definisce un “fatuografo”, con un gioco di parole che forse funziona solo in italiano, convinto com’è che una sua foto non possa cambiare i destini del mondo. In un mondo di immagini cruente, forti, come quelle che ogni giorno ci vengono proposte dai media, l’unico modo attraverso il quale un artista può comunicare le cose è forse il gioco. La sua è una scelta solo apparentemente facile: non è, infatti, per nulla semplice riuscire a trattare temi complessi, alti, con un linguaggio giocoso, talvolta persino divertente come lui fa da qualche anno a questa parte.
Ognuna delle sue immagini è un mondo, una grande o piccola costruzione di sapore teatrale. Corvi vuole dare vita a un’operazione densa e leggera in cui lo spettatore possa immergersi senza paura, per riuscire a vivere le diverse esperienze e ognuno può intraprendere il proprio viaggio. Da parte sua non c’è nessuna pretesa di offrire delle soluzioni, di dare dei giudizi imprescindibili. Le sue immagini sono qualcosa di più, qualcosa di diverso.
La costruzione di ogni lavoro richiede un grande impegno con un’attenzione puntuale per i dettagli. Non bisogna farsi trarre in inganno: i suoi lavori non nascono da una sapiente operazione di photoshop, anzi. Sono costruzioni sceniche in cui il ruolo della luce è determinante. Ci troviamo di fronte a un fotografo, nel senso più pieno del termine, che ha lavorato per anni con questo mezzo in chiave professionale e che ora fa ricerca tenendo conto della specificità e della complessità del mezzo con il quale si esprime con la spontaneità e la forza della sua natura esistenziale.
I protagonisti delle sue immagini sono perlopiù i compagni di cammino, con cui si confronta quotidianamente sui temi della vita, che spesso gli capita di trasformare in immagini.
Nel suo lavoro si parla di fotografia, non c’è nessuna tensione di matrice pittorialista. La sua è una metodologia che potrebbe rimandare piuttosto, tenendo conto del tempo passato e non certo invano, alle ricerche dell’inglese Julia Margaret Cameron. La volontà è quella di affrontare un soggetto pittorico in chiave fotografica. Con le sue immagini ci troviamo di fronte a soggetti che abbiamo già trovato in pittura e che qui sono stati riletti attraverso un altro linguaggio che dà loro un altro volto.
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Foto Frabrizio Corvi
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