Kasparhauser
2012
Philosophical culture quarterly
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UMANI: la dis-trazione di esistere
di Francesca Brencio
© progetto UMANI 2013
Cè questa strana convinzione nell’essere umano per la quale ogni pensare e ogni pensiero debbano essere sempre in suo favore. Assoluzioni ed alibi si alternano sullo scenario dell’umano esistere come pendolo del fare e del pensare sempre che per esso ve ne rimanga tempo e spazio.
Pochi si sono spinti a pensare contro l’uomo, contro se stesso. Chi lo ha fatto o è impazzito, o si è rivolto a consolazioni metafisiche e teologiche che ben presto hanno preso il posto della responsabilità del pensiero.
UMANI è un progetto artistico a tutto tondo pensato e realizzato da Fabrizio Corvi, che coniuga in flessioni dissonanti la fotografia, la poesia e la musica e che è volto a pensare e a far pensare contro l'uomo, contro la sua pretesa umanità, in vista di una messa in questione della medesima o di una sua ridefinizione.
La narrazione dell’umanità secondo Fabrizio Corvi - meglio, la finestra dalla quale ci invita a vedere l'umano genere - mi fa venire in mente Emil Cioran, il filosofo rumeno famoso per i suoi tentativi di “squartare” l’uomo: narrarne il dolore, l’ambizione e la tentazione di esistere, il faccia a faccia con la disperazione cosciente. Tra i suoi numerosi aforismi, me ne torna in mente uno, a mio parere imparentato con gli UMANI di Corvi, quello in cui scrive: “Allo zoo. – Tutte queste bestie hanno un contegno decente, all'infuori delle scimmie. Si sente che l'uomo non è lontano”.
UMANI non dista molto da questa valutazione cioraniana. V’è assenza di contegno, v’è violenza: uno strattonamento della bellezza che fa indietreggiare l'uomo di qualche passo rispetto alla sua collocazione nel mondo. Il progetto, proprio perché pensato in modo interdisciplinare, coinvolge tutti i sensi dello spettatore per porre in scena una dis-trazione dell’esistere: uno smarrimento di luogo, una ferita nel senso, un soggiorno oltre l’ordinario.
L’umanità, concetto astratto e abusato, violentato da ogni morale e redento da ogni buon proposito, viene declinata in una quotidianità in cui il singolo non indossa abiti e non calza scarpe, non impreziosisce la sua figura e non adorna il suo volto, bensì viene declina al di là del bene e del male, nella pre-potenza nuda e cruda del suo essere. Potenza che impone ancor prima (il pre) di compiersi la sua esistenza nell’ordine delle cose del mondo. Pre-potenza che inerisce al fare e all’essere, che spersonalizza le relazioni dell’uomo con l’altro, che viola la soglia dell’esistere nei termini di spazio. UMANI narra quello che nella lingua tedesca si chiama unheimlich, l’inquietante perché non ha quiete; il terribile – perché desta spavento. Narra in scatti, suoni e parole nuove, perché figlie di un ventre contemporaneo, quanto già era stato cantato ad una giovane condannata a morte: “Molte sono le cose mirabili, ma nessuna / è più mirabile dell'uomo” (Sofocle, Antigone, Primo stasimo, vv. 332-333).
L’inquietante, ciò che è degno di attenzione desta e vigilante (il “mirabile”), estromette dalla tranquillità, dal nostro elemento abituale, dal familiare, dalla sicurezza.
Per questa sua natura, l’inquietante narra la costitutiva zona d’ombra dell’umano in cui, nella frazione di un istante, Prometeo si fa Caino e nessun Dio giunge in sua salvezza.
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Foto Frabrizio Corvi
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