Capita al momento giusto il libro di Marco Baldino, «Margini e paraggi» (Aracne, 2012). E non per la semplice ragione che la filosofia si occupa eminentemente del “momento”, dell’ora... più o meno presente. Spesso è tentata dal passato, più spesso ancora riduce il tempo presente a ciò che fugge e quindi va trattenuto in onore e conferma di ciò che fu. Momento giusto per cosa?
Mi è tra le mani insieme a una rilettura, del tutto casuale, del Kierkegaard di Adorno («Kierkegaard. Costruzione dell’estetico»). Testo letto qui da noi distrattamente, inserito tra i prodromi, spesso oscuri, dell’eccessiva chiarezza della Scuola.
Il Kierkegaard di Adorno è fondamentalmente una specie di
drop out della filosofia, un disadattato ipodotato di quelle qualità che rendono uno scrittore valido filosofo e non invece cattivo narratore, quale di fatto è. Baldino e l’autore di “aut aut” si muovono nella terra devastata dalle prerogative del pensiero istituzionale; territorio cancellato, quasi, e annullato da una pretesa di legittimità che possiede la pari, e quindi nulla, fondatezza di ciò che il
drop out vorrebbe dire. Il primo l’attraversa dentro l’hegelismo imperante e ne svela il tarlo segreto; l’altro percorre i fin troppo larghi viadotti della filosofia contemporanea camminando al centro e guardandosi attorno con aria non ancora del tutto disincantata. In fondo spera che l’incubo impotente nel quale si è cacciata la filosofia contemporanea sia l’ennesimo trucco che la solita compagnia di giro ha messo in scena per trattenere i pochi presenti dalla fuga dei più.
L’immagine di copertina è un Heidegger convincentemente tratteggiato al nero su sfondo bianco. È lui la spina nel fianco della filosofia contemporanea; la sua ripresa (ancora Kierkegaard) della differenza e il suo rilancio dell’essere, la sua ontologia. Anche Adorno sa che Kierkegaard è solo l’anticipo, neppure molto sobrio, del festival ontologico che si celebrerà nella prima parte del Novecento. Baldino non crede affatto che ci siano ancora da giocare anticipi più o meno fruttuosi, sa che nessuno si aspetta più nulla dalla filosofia e dal pensiero. Da soli hanno fatto tutto il possibile per scomparire ed eclissarsi al momento giusto; si sono trovati i propri becchini; in fondo hanno fatto gara a chi arrivava per primo. Non è il tempo presente a fare a meno della filosofia è lei stessa a far fuori il tempo e la storia e con essi se stessa. Altrimenti perché insistere con quel linguaggio sontuosamente inutile che fa dell’emozionale, del precategoriale, dell’affettivo tutto ciò che di significativo avrebbe da dire la filosofia? Baldino attraversa con maestria la foresta incantata del linguaggio filosofico novecentesco, sa che è per lo più un idioma incomprensibilmente inutile ai più, ma sa anche che è grazie a questo nascondimento parziale ed elitario che qualcuno può ancora autorevolmente indicare una verità, anzi la Verità come colpo maestro da sferrare di soppiatto, tra un calcolo e una cosmologia entrambi ignoranti di filosofia; tra un’etica e una morale prive di fondamento.
Baldino dice anche che molti sono estromessi da questo linguaggio, a suo parere a torto; andrebbero ascoltati con più attenzione, rimessi in circolo attraverso i nuovi strumenti della comunicazione, quelli diffusi dal social network ad esempio, meno dalla tv. È molto scettico, e a ragione, delle facoltà civili di questo pensare. Sono praticamente nulle di fronte ai poteri della tecnica. Descrive con precisione i dettagli del triplo salto mortale che i Francesi hanno fatto almeno dagli anni Sessanta generalizzando quell’accesso esoterico alla verità inizialmente destinato ai drop out. Cos’è Foucault, per fare un esempio, se non un cripto francofortese che pesca tra pazzi, delinquenti, androgini, assassini e deliranti la parola che salva? Per non dire di Bataille, erotomane prolisso e noioso almeno quanto de Sade, ma così compreso nella sua trasgressione da diventare un classico e quindi quanto di meno trasgressivo ci possa essere... e la mossa pone allo stesso tempo fuori causa la trasgressione in quanto tale... nessuno se ne è accorto... forse un po’ Baudrillard... ma non i suoi lettori che proseguono imperterriti.
Genealogie, quelle di Baldino, che riportano al grado zero del pensiero la sua stessa odierna impossibilità, un pensiero che si autoconfuta, ecco a cosa si è ridotta la filosofia contemporanea.
Baldino sa di cosa parla... ma sono coloro di cui lui parla a saperne molto meno di quanto danno ad intendere. È questo il trucco della compagnia di giro che Baldino denuncia, senza però rinunciare a partecipare al gioco (benché solo nella misura in cui gli viene consentito e non di più... sia chiaro... Baldino non insegna e quindi può dire ciò che vuole... ma chi dice sa che la sua autorizzazione è data proprio da coloro che gli impediranno di dire ciò che vuole, anzi sono lì per impedire che a qualcuno venga in mente di dire ciò che vuole senza sentirsi un po’ matto). Ho scritto denuncia? Mi sono sbagliato... Baldino si limita a constatare... ed è una limitazione feconda e senza illusioni. Mi piace.
Markus Lüpertz, Drinking Ghost, 1987