Kasparhauser
come si accede al pensiero





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2012


Philosophical culture quarterly


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Sul rappresentazionale
A cura di Jacopo Valli




Materia e narratività
di Jacopo Valli


a form seeks
to become apparent
hesitates asserts itself
gives in to uncertainty
pulls itself together again
changes
structures itself

and suddenly the structure
falls apart
disappears
reappears as another
sketches out the face
of what does not have
a face
disappears again
reappears again

building
a new space
a new rhythm

demanding to be looked at
differently

(Bram Van Velde)

La narrazione implica e presuppone la visione: non si dà narrazione senza immagini. Cionondimeno, le immagini, primariamente afferibili ad una dimensione presentazionale ed antenarrativa, non ne implicano necessariamente una narrativa.
La narrazione si colloca al di fuori delle immagini, e nemmeno sembra essere indispensabilmente legata a determinabili [e simulacriche] condizioni culturali, sociali, storiche, ideologiche, benché necessaria sia ogni perpetua contestualizzazione materiale immanente, e fatale l’ingerenza simbolica del linguaggio e del regime arbitrario di comune significanza dei termini, nel migliore dei casi sorvegliato da razionali tensioni critiche di ordine nominalista-convenzionalista.
Christian Metz pone in questione la narratività in relazione al problema cinematografico, indicandola come esterna alle immagini ed organizzata secondo codici non specifici.
Una tensione apologetica rispetto alla narrazione che tentasse di ricollocarla in un rapporto di determinatezza e corrispondenza immediata alle immagini attraverso l’affermazione di una sintassi visiva, si risolverebbe nuovamente in un’ambigua arbitrarietà rappresentazionale.

La questione narrativa procede dal problema percezionale: Jean Mitry, più tardi ripreso da Deleuze, ragiona sul rapporto di complementarietà tra guardante e guardato, rivelandosi affine ad un punto di vista semi-soggettivo per cui il guardante è assieme al guardato; prospettiva che si produce in un gioco di rifrazioni ricusanti la tensione ordinante e significante imposta dalla dialettica oggettività/soggettività.

Quel che costantemente si schianta sulla retina (e in aiònica immanenza, cosa divide immagine-movimento e immagine-azione?) non è irrimediabilmente Altro; e la materia, che È, coincide con una formalità/sostanzialità che è senso senza averne, e che non necessariamente implica significanza.
A differenza del dato narrativo, ritengo che l’atto percettivo sia anche immanente alle immagini, alla datità materiale, che è assieme del guardante e del guardato.
La questione percezionale, e, di lì, significante-narrativa travolge tutta la materia, che è tutto come cantoriana molteplicità inconsistente che “l’Essere” come Ni-ente che è, È. Quindi, anche tutti i grafemi e fonemi, e, più generalmente, anche i suoni, stanati e/o manipolati: Ahata Nāda e Anāhata Nāda; il canto dei cardellini siberiani e le incandescenti modulazioni di Coltrane; lo stormire veemente delle piogge tropicali e le trasmutazioni armoniche di Murail o i clangori e nastri trattati di Asmus Tietchens. Senza dualizzanti cesure (se Nāda è Brahmā che è Ātman che è Māyā che è Brahmān  tautologicamente).

Interessante è rilevare come, debellate la limitazione significante-narrativa e la dicotomia oggettività/soggettività, anche la questione dell’alienazione prodotta dai media, sollevata da Lamborn Wilson in relazione all’Immediatismo e particolarmente diretta al medium televisivo, venga destituita, o almeno depotenziata.
Ogni medium è dispositivo avente “il suo regime di luce”; tuttavia, materialmente e per le ragioni sopraesposte, l’individuo intrattenente una relazione col medium non è insanabilmente Altro da esso ed indispensabilmente da esso diretto e gestito, ordinato: sovvengono il Video Buddha di Nam June Paik, e le sperimentazioni di Grifi e Baruchello, in qualche modo intessute con le esperienze DADA, surrealiste, Bauhaus, che io ritengo germinalmente afferibili a sistemi, o strategie mistico-sapienziali dove in gioco sono una Natura naturans ed una Natura naturata finalmente ad un tempo indivise ed irriducibili a monolitica rappresentazione umiliante; dove l’Essere stesso, che È senza essere Cosa, è il possibile caotico non superiore alle singole parti o alla loro somma, ma già da/per sempre con ognuna di esse coincidente. Nessuna pregiudiziale costrizione; nessuna vergogna.


Bram Van Velde, Zonder Titel, 1947-48


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