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Struttura delle immagini e assunzioni ontologiche dellapproccio strutturale
di Davide Russo
3 settembre 2013
Credo che quella che noi diciamo preoccupazione degli artisti rinascimentali per la struttura abbia un fondamento quanto mai pratico nel loro bisogno di conoscere lo “schema” delle cose.
In effetti il nostro concetto della “struttura” cioè l’idea di un telaio o armatura base che determina l’“essenza” delle cose, riflette in qualche modo il nostro bisogno di uno schema col quale poter afferrare l’infinita varietà del nostro mutevole mondo. Non sorprende che questi problemi siano stati alquanto sfocati dalla metafisica nebbia che nel Sei e Settecento ha avvolto le discussioni attorno all’arte.
(E. Gombrich, Arte e illusione. Studio sulla psicologia della rappresentazione pittorica, Phaidon, 2002, p. 150)
Il problema di definire una struttura delle immagini è strettamente collegato all’esigenza di determinare esattamente quale sia il loro statuto ontologico. Risulta infatti necessario definire sia cosa si intende genericamente per “struttura” sia quale sia la particolare struttura di tali immagini, in quanto è indispensabile chiedersi se tale caratterizzazione tipologica denominata “immagine” non sia riducibile ad altre, ritenute più fondamentali o se invece possa sussistere in maniera indipendente in quanto categoria. Ci riferiamo in particolare alla categoria di rappresentazione, a cui le immagini sembrano essere subordinate. Ma sono anche effettivamente riducibili ad essa? In virtù di quali caratteristiche o proprietà una determinata rappresentazione è classificata come un’immagine, distinguendosi in tal modo da altri tipi di rappresentazioni?
La tesi che qui si vuole sostenere, propria di un “approccio strutturale” in teoria delle immagini, che si rifà principalmente a Goodman [1], è che tale elemento distintivo sia da rintracciare non in come le immagini sono percepite, ma nella loro particolare struttura, cioè nelle relazioni istituite da tali “speciali” rappresentazioni per rapportarsi con altre all’interno di un sistema. Cosa rende una rappresentazione pittorica o diagrammatica è il fatto di essere collegata con altre, sintatticamente e semanticamente, entro un sistema di rappresentazione o, il che è lo stesso, in un sistema di tipo denotativo. Goodman sostiene che si tratta di modi di classificazione per mezzo di etichette, aventi riferimento singolo, multiplo o nullo. L’applicazione di un’etichetta effettua tanto quanto attesta l’esistenza di una classificazione, dato che classificare significa introdurre una preferenza. [3]
Le etichette, pittoriche o verbali, concepite come strumenti di organizzazione del medesimo oggetto, sono a loro volta classificate in tipi: la loro applicazione e la loro classificazione sono relative ad un sistema; ed esistono numerosi sistemi alternativi di rappresentazione e raffigurazione. [4] Per rappresentare, un quadro seleziona una classe di oggetti, a cui esso si applica come etichetta (la classe dei quadri-di-rettangolo o la classe dei quadri-di quadrato), ma solo ad alcune di esse e non ad altre (la classe dei quadri rettangolari): esso non denota la classe selezionata, ma denota i sui membri, che siano uno, molti o nessuno. [5] Inoltre il quadro, per poter rappresentare qualcosa, deve funzionare come un simbolo pittorico: vale a dire, funzionare in un sistema tale per cui ciò che viene denotato dipenda esclusivamente dalle proprietà pittoriche (le proprietà correttamente assegnate a un quadro da una certa caratterizzazione pittorica) del simbolo, che vengono delimitate da una generica specificazione ricorsiva (una caratterizzazione pittorica ci dice quali colori si trovano nel quadro e in quali punti). [6] Mentre invece un diagramma o un grafico per poter rappresentare dipendono esclusivamente dalle proprietà grafiche o diagrammatiche del simbolo in questione e non da altre, pittoriche o di altro tipo, che non concernono il suo rappresentare l’oggetto a cui tale diagramma o grafico si riferisce.
Ci serviremo ora di alcuni punti della critica di Kulvicki a Goodman, utilizzandone gli aspetti salienti, o anche quelli che sono rimasti nascosti a nostro parere o non sufficientemente posti in rilievo, unicamente ai fini del nostro discorso e non per gli scopi generali di quell’opera, per entrare direttamente nel cuore del nostro problema, riguardante la struttura delle immagini e le sue implicazioni ontologiche. Cos’è che non è stato definito in maniera esplicita all’interno di questa breve esposizione? Cos’è che è stato dato per presupposto? Kulvicki, pur riconoscendo l’innovativa validità e l’originalità di un approccio sistemico allo studio delle modalità di rappresentazione rispetto alle precedenti indagini estetiche riguardanti il medesimo tema, sostiene che Goodman non fa lo sforzo di dare sufficienti condizioni per un sistema rappresentazionale affinché esso sia pittorico, essendo interessato unicamente a sottolineare sotto quale aspetto le rappresentazioni sono distinte dalle notazioni. [7] Questa lacuna il non dare sufficienti condizioni per definire un dato sistema equivale a non aver esplicitato in maniera chiara e formalmente rigorosa la struttura del sistema in questione, perlomeno se lo si considera come un insieme e quindi si analizzano le relazioni tra gli elementi che compongono l’insieme.
Infatti si dà in teoria degli insiemi e in algebra una precisa caratterizzazione del concetto di struttura, a cui accenneremo brevemente. [8] In quest’ambito si definisce studio delle strutture lo studio delle operazioni e delle relazioni tra insiemi indipendentemente dalla natura degli elementi.
Preliminare al concetto di struttura è il concetto di “legge di composizione interna”, che si tratta di un’operazione che agisce su elementi di uno stesso insieme, producendo come risultato un elemento del medesimo insieme di partenza. Ora possiamo dare la nostra definizione: “Un’insieme possiede una certa struttura quando è dotato di una o più leggi di composizione interna che godono di determinate proprietà”. [9]
Qui si tratta effettivamente di un problema di composizione interna del sistema rappresentazionale, problema ancora più grave dato che, come abbiamo visto, sono quelle stesse proprietà pittoriche del simbolo, cioè le proprietà interne e specifiche del sistema stesso in quanto sistema pittorico e non sistema rappresentazionale di altro tipo, a rendere possibile la sua stessa rappresentazionalità, cioè la sua capacità di poter rappresentare un oggetto. Non sembra essere inizialmente chiaro perché Goodman, pur avendo un concetto così potente di struttura a portata di mano non l’abbia utilizzato nella sua definizione di sistema rappresentazionale in generale e in particolare in quella di sistema pittorico. La motivazione di fondo per tale scelta ed è quello che ci premeva sottolineare non è di carattere estetico, ma si tratta di una preoccupazione di carattere primariamente ontologico. Goodman dice poco riguardo a quali aspetti delle rappresentazioni importano per le loro identità sintattiche perché i nominalisti rifiutano ragioni per tipologie di membri. Un nominalista mereologico come Goodman vuole stare attento a non parlare di proprietà o di insiemi. [10]
Noi è esattamente di tali “scrupoli metafisici”, a cui Kulvicki dedica poca attenzione nel suo studio dedicandoci una parte minimale, che ci vogliamo interessare. È quindi il suo nominalismo [11] che fa evitare a Goodman di prendere in considerazione il concetto di struttura proprio della teoria degli insiemi e di concepire quindi i sistemi rappresentazionali di tipo pittorico come insiemi. Cosa significa “nominalista mereologico”? La mereologia è “la disciplina che studia le relazioni tra le parti e il tutto” [12] e il suo sviluppo come disciplina formale è dovuto soprattutto a Lesniewski (1916), il cui obiettivo era proprio quello di “rifondare, a partire dalle nozioni di oggetto e parte, una teoria alternativa alla teoria degli insiemi, che non comportasse l’antinomia di Russell e, allo stesso tempo, non portasse ad assumere la verità di asserzioni in conflitto con la natura intuitiva dell’originale concezione cantoriana di insieme;”. [13] Goodman, nel suo lavoro in collaborazione con Leonard (1940) escogita un sistema alternativo a quello di Lesniewksi, concependo la mereologia esclusivamente come “calcolo di individui”. [14] Giusto per fare un esempio di tale impostazione, si intravede la medesima procedura anche per quel che riguarda la problematica nozione di oggetto nullo (N), cioè l’unica entità che è parte di ogni oggetto, concepita proprio con l’intenzione di sviluppare fino in fondo l’analogia tra la mereologia e la teoria degli insiemi, essendo il corrispettivo mereologico dell’insieme vuoto. [15] “Goodman infatti usa tale nozione per evitare il ricorso ad entità come gli insiemi, appoggiandosi esclusivamente a calcoli su individui.” [16]
Un nominalista vuole quindi evitare il ricorso agli insiemi perché questo comporterebbe il postulare entità astratte e dunque assumere l’esistenza di universali, che per lui esistono invece solo come parole, cioè semplici modi di dire, senza alcun correlato ontologico. [17] Dunque anche il ricorso alla concezione di “struttura” propria delle teoria degli insiemi viene rifiutato in quanto equivarrebbe ad assumere l’esistenza di un’entità astratta, di un universale, a cui tale struttura si riferisce. Questo avrebbe anche la conseguenza di rendere l’intero sistema rappresentazionale, e cioè l’immagine stessa, concepibile come un’entità astratta. Per un realista invece il fatto di includere anche la struttura, cioè una relazione o una sommatoria di relazioni, tra le entità astratte non produrrebbe problemi, potendo anzi essere usata a vantaggio della propria prospettiva.
Infatti Kulvicki, al contrario, non si pone restrizioni di questo tipo e definisce un sistema rappresentazionale come un insieme di possibili oggetti fisici che contano come possibili repliche di rappresentazioni. [18] Quindi per lui le immagini, in quanto sistemi rappresentazionali, sono concepite come possibili oggetti fisici. Il che permette a Kulvicki anche di dare una ben precisa raffigurazione di cosa sia una “struttura” propria di un sistema rappresentazionale, o, come la definisce lui, una “struttura sintattica”, dato che un sistema rappresentazionale assegna tipi semantici a tipi sintattici: la semantica di un sistema rappresentazionale è aggiunta alla sua struttura sintattica dall’accoppiare tipi sintattici con significati e denotazioni. Una struttura sintattica rappresenta infatti “l’adattamento di possibili oggetti fisici sotto tipi sintattici”. [19]
Una conseguenza di tale divergenza ontologica sul piano della teoria delle immagini è la differenza tra i due autori nell’interpretazione del realismo pittorico, cioè della fedeltà della rappresentazione nel riprodurre l’oggetto che rappresenta. Per Goodman, conforme anche alla sua negazione del criterio di somiglianza, si tratta di un mero fatto d’abitudine, relativo, determinato dal sistema di rappresentazione corrente in una data cultura o persona, in un dato tempo [20]; mentre Kulvicki sostiene una concezione più forte del realismo pittorico, che considera anche le nostre abilità ricognizionali con cui noi ci rapportiamo con il mondo, per cui ciò che intendiamo con realismo pittorico include anche verità, informatività e mimetismo. Un fatto d’abitudine è solo come il sistema regola gli standard attraverso cui noi descriviamo i quadri e che interagiscono con le nostre abilità di sfondo. [21]
[1] Anche se, a dire il vero, le radici di un tale atteggiamento, attento alla trasmissione e alla persistenza di moduli e schemi formali nelle immagini pittoriche, essenziali per la classificazione dei diversi stili artistici, oltre che per l’inserimento categoriale al loro interno di novità contenutistiche o tecniche, potrebbero essere ricercate anche in autori come il sopracitato E. Gombrich.
[2] J. V. Kulvicki, On Images. Their structure and their content, Oxford University Press, New York 2006, p. i.: “Wheter a representation is an image depends not on how is perceived but on how it relates to others within a system”.
[3] N. Goodman, I linguaggi dell’arte, Il Saggiatore, Milano 2008, p. 35.
[4] Ivi, p. 42.
[5] Ivi, p. 34.
[6] Ivi, pp. 43-44.
[7] J. V. Kulvicki, On Images, cit., pp. 13-14.
[8] P. Valore, L’inventario del mondo. Guida allo studio dell’ontologia, Utet, Novara 2008, pp. 63-64.
[9] Ibidem.
[10] John V. Kulvicki, On Images, cit., p. 16 (trad. mia).
[11] Ne’ I linguaggi dell’arte, Goodman usa una terminologia platonista per motivi di mera semplicità, pur avvertendo il lettore che, per gli scopi della suddetta opera, considerava superfluo offrirne un’esplicita versione nominalistica: cfr. Introduzione del curatore, cit., p. XXVI e Introduzione di Goodman, cit., p. 7.
[12] P. Valore, L’inventario del mondo. Guida allo studio dell’ontologia, cit., p. 133.
[13] Ibidem (nota 1).
[14] Ibidem (nota 1).
[15] P. Valore, L’inventario del mondo. Guida allo studio dell’ontologia, cit., p. 145.
[16] Ibidem (nota 5).
[17] P. Valore, L’inventario del mondo. Guida allo studio dell’ontologia, cit., p. 248-253.
[18] J. V. Kulvicki, On Images, cit., p. 15 (trad. mia). Si è deciso di sorvolare sull’importante distinzione tra “Token” e “Type”,, tipica della filosofia contemporanea, sottostante a tali definizioni, perché ci avrebbe portato evidentemente troppo lontano dagli scopi della presente indagine.
[19] Ivi, p. 17.
[20] N. Goodman, I linguaggi dell’arte, cit., pp. 39-41.
[21] J. V. Kulvicki, On Images, cit., p. 246.
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