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Lo statuto fenomenologico dell’immagine in Husserl [*]
di Pierre Rodrigo

(Traduzione di Giuseppe Crivella)

24 maggio 2022



Dall’inizio alla fine della sua opera, Husserl si è confrontato in maniera ostinata e rigorosa con la problematicità del fenomeno estetico. In particolare, se in un primo tempo egli ha affrontato il campo dell’estetica con la certezza di una prossimità di natura tra l’attitudine fenomenologica e quella estetica [1], e se il senso del fenomeno estetico in un primo momento pareva poter essere decifrato attraverso l’interrogazione fenomenologica sull’immagine e l’immaginazione, poco a poco grazie alle sue riflessioni sul rapporto tra la percezione, l’immagine mentale della Phantasie e l’immagine esteriore prodotta dall’arte (il Bild), l’estraneità di questo fenomeno è divenuta per lui una fonte di crescente perplessità e, cosa più importante, l’occasione di una rimessa in discussione della sua stessa teoria.
La fragilità di questi inizi — che costituiscono i primi passi di un’estetica fenomenologica — oggi potrebbe sorprendere, dopo gli affondi di Heidegger, Sartre, Merleau-Ponty, Dufrenne, Henry o Maldiney. Per noi quindi oggi l’esemplarità del fenomeno estetico e la sua fecondità in relazione alla riflessione fenomenologica, dipendono dal fatto di essere ampiamente condivisi su un piano generale. Ciò grazie allo sforzo prometeico del fondatore della fenomenologia che, in questo ambito come in molti altri, ha prodotto un’opera di innovazione a fronte delle difficoltà teoriche di cui il presente studio vorrebbe contribuire a risvegliare l’eco.

I. Valore e giudizio estetico.
Il testo fondamentale è senza dubbio quello del manoscritto del 1912 pubblicato col numero 15 nel tomo XXIII dell’Husserliana, intitolato Coscienza estetica [2]. Questo manoscritto affronta la concettualizzazione dell’immagine, dell’esperienza e dell’attitudine estetica propriamente dette; cosa che non faranno, come vedremo, altri testi più spesso citati e analizzati, come ad esempio i §100 e §111 di Ideen I o le appendici ai §11 e §20 delle Logische Untersuchungen. Tuttavia, per non ripetere qui le analisi già proposte altrove [3], noi inquadreremo la tematizzazione husserliana dell’immagine, dell’esperienza e del giudizio estetici da un’altra angolatura.
Noi faremo leva su di un testo del 1915 che si trova nel primo capitolo della prima sezione delle Ideen II, ovvero in un luogo che sembra essere poco propizio alle considerazioni estetiche, perché consacrato alla questione de La costituzione della natura materiale (titolo della prima sezione) e, più precisamente ancora, de L’idea di natura in generale (titolo del primo capitolo). In questo capitolo Husserl tratta della costituzione degli oggetti sensibili.
Il suo progetto è quello di determinare il modo di costituzione da parte delle scienze della natura delle «cose pure e semplici», delle blosse Sachen, che sono i correlati di queste scienze e dell’attitudine teorica che corrisponde loro. Scrive Husserl: «la natura è ciò che esiste per il soggetto teorico; essa prende posto nella sua sfera di correlato [...]. La natura in quanto semplice natura non contiene valori, né opere d’arte, ecc» [4]. Apparentemente quindi non ha senso evocare l’esperienza estetica in questo capitolo. Tuttavia, allorché Husserl nota che l’attitudine teorica si compie in atti giudicativi di tipo oggettivante, egli inserisce l’osservazione seguente:
una cosa è aver coscienza in generale del fatto che il cielo è blu; un’altra cosa è vivere tramite l’attenzione, il coglimento [saisie], l’apprensione specifica nella formulazione del giudizio /il cielo ora è blu/ [5].
L’esempio è in effetti abbastanza inatteso, dal momento che giudicare in merito al blu del cielo di certo non è un atto esteticamente neutro. Husserl rincara la dose nel paragrafo seguente, sottolineando la differenza che esiste tra «la vista di un cielo blu splendente che noi viviamo in un rapimento» [6] e il compimento di questa esperienza di tipo estetico in un’attitudine giudicativa di tipo teorico. Egli allora chiarisce che la visione del blu splendente del cielo dipende da ciò che egli chiama attitudine del sentimento (Gemütseinstellung), mentre l’attitudine del giudizio che verte sul fatto che il cielo è blu rappresenta un’attitudine teorica differente dal momento che essa, pur non essendo estetica, non esclude la prima:
finché noi adottiamo un’attitudine teorica, il piacere può sussistere perfettamente quando, essendo l’osservatore un fisico, noi siamo diretti verso un cielo di un blu splendente; ma allora noi non viviamo nel piacere. Nel passare da un’attitudine all’altra, si ha una modificazione fenomenologica eidetica del piacere, nonché della vista e del giudizio [7].
Inoltre in questo passaggio introduttivo di Ideen II l’analisi della modificazione eidetica che ha luogo nel passaggio tra l’esperienza estetica della visione — che è vissuta con tutto ciò che essa comporta, in se stessa e per se stessa, di piacere e giudizio — e il giudizio teorico prodotto a partire da essa, o su di essa, acquista un valore esemplare per tutti gli atti di coscienza. Husserl prosegue nella stessa pagina, sottolineandolo nel testo: «una tale modificazione di attitudine così particolare appartiene quale possibilità ideale a tutti gli atti». Tali elementi mostrano che è proprio il senso dell’articolazione del fenomeno estetico in relazione ai giudizi espressi in esso e su di esso —, dunque il senso dell’articolazione dell’Erlebnis estetico in base ai suoi modi di valutazione, — ad essere in gioco nelle nozioni di modificazione d’attitudine e di compimento eminente.
noi possiamo guardare un quadro trovandovi un godimento. Noi viviamo allora nel compimento del piacere estetico, nell’attitudine del piacere, che è precisamente un’attitudine di godimento. Noi possiamo in seguito, considerandolo con gli occhi di un critico d’arte o di uno storico dell’arte, giudicare il quadro in termini di bellezza. Noi viviamo allora nel compimento dell’attitudine teorica, dell’attitudine giudicativa e non più nell’attitudine di valutazione e di piacere [8].
Sebbene un tale cambiamento sembri costituire una rottura tre le due attitudini, Husserl ritiene che ciò non si verifica, poiché, se è vero che la valutazione giudicativa teorica differisce dal godimento vissuto, ciò accade perché la prima è solo una modificazione della seconda e, per di più, una modificazione che la conduce ad un livello eminente. Tale continuità permette di affrontare la questione della valutazione estetica considerandola questa volta così come essa è in effetti esteticamente vissuta nell’esperienza stessa. Husserl ci invita quindi a conferire già un carattere assiologico al vissuto estetico più immediato, ovvero «all’abbandono al godimento puro».
Egli nota in effetti che l’opera artistica o lo spettacolo naturale, al godimento estetico dei quali noi ci abbandoniamo senza essere per questo dei critici d’arte o storici d’arte — altrimenti detto, senza che sia implicata un’attitudine teorica costitutiva — sono vissuti in un «comportamento di sentimento» che può «apprezzare» [werten] perfettamente, «attribuire valore» [werthalten] senza essere in alcun modo un atto teorico. Possiamo allora dire che «la più originaria costituzione di valore si compie in seno ad un sentimentoW [9], anche se rimane vero che il riempimento intuitivo di questo coglimento di valore avviene solo per colui che adotta, quale specialista, l’attitudine teorica poiché l’opera è allora offerta non solo alla sua intuizione sensibile, «ma anche all’intuizione assiologica» [10].
Da ciò deriva che, nel giudizio teorico portato sull’opera e sull’esperienza estetica, l’opera non appartiene né allo stesso piano della cosa pura e semplice, che le scienze della natura costituiscono come tale, né tanto meno allo stesso piano di ciò che è immediatamente vissuto e valutato esteticamente.

D’altronde è noto che per Husserl l’opera d’arte appartiene a ciò che il §56 di Ideen II chiamerà, alla fine della seconda sezione consacrata a La costituzione del mondo dello spirito, begeistete Objekte. Ricordiamo anche che Husserl, sempre in questo stesso paragrafo, arriverà a parlare di questi begeistete Objekte in termini di «unità di corpo e senso» [Einheiten von Leib und Sinn] [11], specificando inoltre in maniera abbastanza audace, sull’esempio della pittura, che «il corpo sensibile del quadro non è il quadro affisso al muro» [12].
In ultimo è noto che il modo d’essere di questo corpo significante delle opere, sulla base delle analisi del §111 di Ideen I, può essere colto solo attraverso una modificazione in immagine che neutralizza ogni posizione esistenziale dell’oggetto e che in tal senso dipende da un’attitudine non dossica e non oggettivante [13].
Ma ciò su cui bisogna insistere ora è «l’ancoraggio del processo di costituzione del valore estetico nel sentimento vissuto». Ciò che deve trattenere la nostra attenzione, prosegue con decisione Husserl, è il fatto che la modalità estetica dell’Erlebnis, nel godimento estetico vissuto quindi, l’atto della Wahrnehmung percettiva, in cui l’intenzione oggettivante viene a riempirsi intuitivamente, è immediatamente doppiato da un analogon [14], che è possibile denominare Wertnehmung in quanto sentimento di valore [Wertfühlen]. La valutazione teorica nell’atto di giudizio portato sull’opera diventa allora per Husserl, in analogia con la percezione, il compimento di un coglimento di valore proprio del Wertnehmen (già assiologico) vissuto; per questo egli parla di intenzioni valutative che richiedono, come le intenzioni di conoscenza, di essere riempite intuitivamente:
in un solo sguardo io colgo la bellezza di un gotico antico che coglierei pienamente solo in un afferramento continuo di valore, l’unico in grado di offrirmi, tramite una conversione corrispondente, un’intuizione di valore nella sua pienezza. Lo sguardo fugace può allora operare tramite un’anticipazione, completamente a vuoto, presumendo in qualche modo la bellezza sulla base di indizi, senza il minimo coglimento effettivo. Tale anticipazione di sentimento è sufficiente per produrre una conversione dossica e una predicazione [15].
Tale difficile tentativo di pensare insieme la genesi di un processo di valutazione, da un livello estetico non oggettivante fino ad un livello teorico oggettivante — tentativo che si potrebbe denominare «la costituzione valutativa dell’opera d’arte in quanto immagine» a partire dall’Erlebnis estetico, ovvero a partire dalle anticipazioni di un vissuto non oggettivante — ha qualcosa di eroico.
Fedele all’esperienza, ma fedele anche alla sua determinazione dell’Erlebnis come senso della fenomenalità, Husserl deve in effetti sdoppiare l’originaria donazione percettiva, la Wahrnehmung, in una Wahrnehmung che ne è l’analogon e che, di concerto, richiede essa stessa come la percezione, il riempimento del suo proprio coglimento (valutante). Secondo Husserl questo riempimento si produce, come visto, per il tramite del passaggio all’attitudine teorica del giudizio a partire da una Wahrnehmung non teorica vissuta secondo il comportamento del sentimento.
Sulla base di queste condizioni il «fugace sguardo» non teorico — per il quale il soggetto dell’esperienza estetica l’apprezza con un solo colpo d’occhio e tramite il quale, scrive superbamente Husserl, «ne presume in qualche modo la bellezza sulla base di indizi, senza il minimo coglimento effettivo» — è chiaramente un puro Augenblick: un puro istante decisivo in cui prende forma un gioco di va-e-vieni o di clignotement tra l’oggetto da giudicare, dunque da cogliere, e i suoi inafferrabili modi d’apparizione estetica che, per dirlo in maniera esplicita, sono ciò che genera i sentimenti estetici vissuti.
Ora è tale movimento di va-e-vieni che costituisce, sulla base del manoscritto del 1912 sulla fenomenologia della coscienza estetica, il cuore stesso della coscienza estetica vissuta:
il tipo d’apparizione è portatore di caratteri affettivi estetici. Io non vivo in essi, io non realizzo il sentimento se io non rifletto sul tipo di apparizione. L’apparizione è apparizione dell’oggetto, l’oggetto [è] oggetto nell’apparizione. Io devo, dal vivere nell’apparizione, ritornare all’apparizione e viceversa e allora il sentimento diventa vivace: l’oggetto riceve una coloritura estetica in relazione al tipo di apparizione e il ritorno sull’apparizione dà vita al sentimento di origine [16].
L’eroismo di Husserl consiste nel cercare di comprendere il modo in cui il giudizio estetico non oggettivante vissuto possa, malgrado tutto, condurre a una modalità giudicativa di costituzione oggettivante. E così, scrive egli nel testo di Ideen II, quando infine si perviene a portare uno sguardo di valutazione sulla bellezza oggettiva:
io dirigo il mio sguardo sull’oggetto e vi trovo, dal momento che la mia attitudine è cambiata divenendo teorica, i correlati dei [miei] atti di sentimento, trovo uno strato oggettivo sovrapposto allo strato dei predicati sensibili, ovvero lo strato del /felice/, del /triste/ [...], del /bello/, del /brutto/, ecc [17].
Ma questo linguaggio della sovrapposizione, della Überlagung di strati di predicati estetici oggettivi rispetto allo strato di predicati sensibili oggettivi può davvero descrivere da un punto di vista strettamente fenomenologico il processo di valutazione estetica? La risposta è senza dubbio negativa, dal momento che non vediamo affatto in virtù di quali tratti logici propri all’esperienza stessa sarebbe fenomenologicamente fondato ammettere un simile processo di costituzione della bellezza oggettiva per strati, ovvero ammettere un’idea della bellezza come una sorta di supplemento rispetto alle qualità sensibili.
Bisogna allora riconoscere che l’eminenza che era ritenuta essere quella propria dell’atto giudicativo teorico è divenuta, in seno alla teoria husserliana, una semplice sovrapposizione di strati predicativi iletici, di tipo sensibile e poi estetici, i quali sono tutti votati per principio al riempimento dei coglimenti percettivo-valutativi già presenti nel sentimento vissuto.

Husserl può allora ripetere, per smarcarsi (a giusto titolo) dalle teorie idealiste del giudizio estetico, che «il giudizio di valore resta l’espressione più generale per la coscienza di valore» [18]. Non per questo però egli riesce ad uscire dall’orizzonte — certo aperto, ma anche limitato — della coppia formata dall’intenzione noetica e dal contenuto noematico, dal coglimento e dal riempimento: il coglimento signitivo e il suo riempimento, per ciò che concerne l’esperienza percettiva in generale; il coglimento valutativo e il suo riempimento, per ciò che concerne l’esperienza estetica in particolare.
Ora è necessario ammettere che la coppia coglimento/riempimento dipende dall’idea metafisica dell’oggetto in quanto pienezza d’essere e, correlativamente, dell’idea della costituzione in quanto afferramento di un contenuto interno e istituzione di un senso d’essere pieno. O, per dirla diversamente, è necessario riconoscere che l’intuizionismo governa queste idee di costituzione, di riempimento e di oggetto. Ma non per questo bisogna minimizzare le sfumature che Husserl introduce, nel suo manoscritto del 1912, nella coppia coglimento/riempimento, allorché egli conclude con la precisazione seguente:
vivere nel sentimento ha due sensi. Da una parte esso designa [...] il rivolgimento [Zuwendung] verso il tipo di apparizione presente nel sentimento estetico, il quale vi guadagna un modo particolarizzato. Dall’altro lato esso designa il trattamento preferenziale [Beworzugung] tematico [19].
Non bisogna minimizzare il fatto che in questo gioco tra Zuwendung e Beworzugung o tra il rivolgimento verso il tipo di apparizione o l’elezione dei tratti oggettivi tematici, in questo gioco quindi tra la «formalità estetica dell’apparire» e i «contenuti estetici di ciò che appare» Husserl non solo torna a lavorare la terza critica kantiana, ma anche le sue stesse determinazioni ontologiche di soggetto e oggetto per svuotarli introducendovi un gioco di scarti costitutivi che andrebbero precisati meglio.
Preso atto di tutto ciò, sembra tuttavia che la tesi secondo la quale il fenomeno estetico possa essere valutato a pieno solo attraverso un’intuizione assiologica riempiente, che verrebbe a saturare un’intenzione di coglimento vissuto, governi la problematica husserliana del giudizio estetico e del suo fondamento nel sentimento. Di certo è per questa ragione profonda che Husserl può scrivere, facendola passare per un’evidenza, «in einem Blick, erfasse ich die Schönheit einer alte Gotik» [20].

II. Immagine e «finzione percettiva».
Tutti ricordano che, al momento dell’evocazione nel §111 di Ideen I dell’incisione di Albrecht Dürer Il Cavaliere, la Morte e il Diavolo, Husserl mobilita il concetto di immagine (Bild) di immagine-copia (Abbild) e di realtà dipinta (abgebildete) o figurata in immagine (im Bild) [21]. Tutti ricordano anche la distinzione in questo stesso paragrafo tra il Bildobjekt e il Bildsubjekt, ovvero tra l’oggetto-immagine in quanto tale e il soggetto rappresentato nell’immagine: l’oggetto-immagine non deve essere confuso né con la realtà percepita, che esso è in forza del suo materiale, né con il motivo rappresentato o presentificato.
Ci domanderemo allora in che modo questa evocazione di un’opera d’arte intervenga nel corso delle argomentazioni di Ideen I ma, per innestare la riflessione sull’approfondimento delle analisi delle analisi husserliane dell’esperienza estetica e sulla problematicità crescente di questa esperienza, citeremo innanzitutto un estratto del manoscritto 18b da Husserliana XXIII, il cui tono è molto diverso da quello del testo di Ideen I, qui evocato:
l’arte è il dominio della Phantasie messa in forma, percettiva o riproduttrice, intuitiva ma anche in parte non intuitiva. Non è possibile affermare che l’arte debba necessariamente muoversi nella sfera dell’intuitività. In passato io ho ritenuto giusto che fosse proprio dell’essenza delle arti plastiche raffigurare in immagine e ho concepito questo raffigurare come un raffigurare per immagine-copia.
Ed ecco che appare la differenza di tono:
ma riflettendo bene, ciò non è corretto. In una rappresentazione teatrale noi viviamo in un mondo di Phantasie percettiva, noi [abbiamo] delle immagini nell’unità di concatenamento di un’immagine, ma [non abbiamo] per questo delle immagini-copia [pp. 514-515].
Chiaramente il tono di questo manoscritto è autocritico, votato ad un mutamento di paradigma, poiché l’esempio del teatro subentra qui a quello della pittura e dell’incisione di Ideen I e del busto di marmo evocato nella sesta ricerca logica; Husserl accentua pertanto qui a detrimento dell’immagine, del Bild, il ruolo della Phantasie nell’arte, lasciando così supporre, come contraccolpo, che la Phantasie non designa tanto l’immaginazione interna opposta alla meditazione apportata dall’immagine esterna (come nel caso delle Ricerche Logiche), quanto la potenza di presentificazione in generale. Diventano doverose allora due precisazioni:
I. Dire, da una parte, che al teatro gli spettatori vivono «in un mondo di Phantasie percettiva [in einer Welt perzeptiver Phantasie]» non significa affatto sostenere, come farà Sartre ne L’imaginaire, che l’attore «s’irréalise dans son personnage» e ciò non solo perché l’attenzione è posta sugli spettatori, ma soprattutto perché Sartre, quando parla d’irréalité, parla dell’immagine, dell’essere dell’immagine, mentre Husserl nel 1918 non parla essenzialmente del Bild, né dell’Abbild, ma di un’enigmatica Phantasie percettiva. Si tratta di un punto essenziale;
II. Dall’altra parte Husserl rigetta in questo passaggio l’esigenza di una intuitività che egli precedentemente poneva nell’arte (come abbiamo visto nella prima parte). «Non possiamo affermare che l’arte debba necessariamente muoversi nella sfera dell’intuitività»: ciò significa che la tesi che giocava ancora un ruolo cardinale nel caso delle rappresentazioni figurate de Il Cavaliere, la Morte e il Diavolo affrontate in Ideen I — ovvero la tesi di una presentificazione posizionale attraverso immagine-copia del raffigurato o del modello, che era eredità diretta della teoria dell’immagine delle Ricerche Logiche — è ora ritenuta inadeguata per dare conto dell’esperienza estetica.

Tutto questo lascia intravedere che la natura delle relazioni tra Phantasie, Bild e percezione è stata rimessa in cantiere da Husserl allorché questo ha indagato meglio la questione del fenomeno estetico e, in particolare, come lo vedremo, la questione dell’espressione estetica. Non va dimenticato che Husserl scriveva nel 1901, nell’appendice al §11 e al §20 della V Ricerca, che «l’immagine diventa effettivamente tale grazie alla facoltà che ha un io dotato di rappresentazione di utilizzare il simile come rappresentante in immagine di ciò che gli è simile, di averlo presente all’intuizione ma di puntare con l’intenzione all’altro al suo posto» [22].
E non dimentichiamo neppure che la VI Ricerca ripeteva, in un paragrafo dedicato alle differenze tra l’intenzione signitiva in generale e l’intenzione intuitiva della coscienza immaginante, che «la rappresentazione attraverso l’immagine possiede in maniera manifesta la proprietà [...] in base alla quale l’oggetto che appare come immagine si identifica in forza della sua rassomiglianza con l’oggetto dato nell’atto riempente» [23].
È quindi questa tesi iniziale di una donazione necessariamente intuitiva in immagine che è criticata da Husserl nel frammento 18b di Husserliana XXIII, mentre essa domina l’analisi dell’incisione di Dürer in Ideen I — anche se la fine del §111 si riferisce a una seconda attitudine, detta attitudine puramente estetica [24], che non solo neutralizza la percezione usuale delle cose reali (ciò è necessario perché appaia l’immagine-copia, sulla base di quanto Husserl ha mostrato fin dalle Ricerche Logiche), ma neutralizza anche, tramite una sorta di elevazione al quadrato, la posizione di esistenza o di non-esistenza del motivo dipinto.
Per chiarire meglio tali questioni, ritorniamo alla definizione di Phantasie, di immaginazione, presentata all’inizio del §111 di Ideen I:
l’immaginazione in generale è la modificazione di neutralità applicata alla presentificazione posizionale, quindi al ricordo nel senso più ampio che si possa concepire [p. 268].
Rimane da sapere perché la modificazione di neutralità immaginaria si applica al solo ricordo e non alla percezione presente [25]. Per quale motivo Husserl caratterizza il vissuto di immaginazione come un vissuto certo presente, come lo è ogni vissuto, ma al tempo stesso sospeso, fluttuante [26]? E per quale ragione egli aggiunge che «bisogna ritenere una qualità eidetica della coscienza immaginante il fatto che non solo il mondo, ma nello stesso tempo il percepire stesso che questo mondo, è immaginario» [27]?
Rimane intatto il problema di sapere che cos’è un percepire immaginario slegato o fluttuante e di sapere anche perché questo percepire implica solo la neutralizzazione delle presentificazioni. Solo considerando il movimento complessivo dell’argomentazione del capitolo IV della terza sezione di Ideen I potremo dare una risposta a tali questioni, ed è inoltre in tal modo che comprenderemo perché e in che maniera Husserl perviene all’incisione di Dürer.

In questo capitolo l’analisi verte sui modi di correlazione della coscienza al mondo, ovvero sulle «strutture noetico-noematiche». Il punto di partenza è collocato al §97 con la percezione di un albero. Husserl formula allora, da una parte, le nozioni di momento reale [reel] del vissuto (momento iletico e momento noetico, altrimenti detto materia e senso del percepito d’albero in quanto tale) e, dall’altra parte, di momenti non reali del vissuto, ovvero quelli che concernono il noema, l’albero reale (quello che può prendere fuoco, diceva il §89). Su questi presupposti egli nel §99 distingue molteplici modalità di donazione alla stessa coscienza di uno stesso noema (di uno stesso albero reale): «ora in un modo originario, ora tramite ricordo, ora per immagine» [28], ovvero la sua presentazione percettiva [Gegenwärtigung] e le sue presentificazioni [Vergegenwärtigungen].
Arrivato a questo punto egli precisa che la coscienza di un ricordo implica necessariamente il fatto di aver percepito nel passato e che inoltre «la percezione corrispondente [...] accede in un certo modo alla coscienza nel ricordo, senza esservi realmente contenuta» [29]. Con il ricordo abbiamo quindi a che fare con una modificazione dell’elemento percettivo posizionale originario e anche con la sua conservazione. Questo significa «presentificazione posizionale». Tuttavia, aggiunge Husserl, «la modificazione per immagine appartiene ad un’altra serie di modificazioni» rispetto a quelle che sono legate al ricordo, indipendentemente dal fatto che si tratti di un’immagine esterna [Bild] o di una Phantasie immaginativa.
La differenza specifica tra ricordo ed immagine però non sarà studiata prima del §111 e lascia perplessi il fatto che Husserl mescola fin qui i due differenti tipi di presentificazione — così nel §100, quando egli insiste sulla possibilità di inscatolamento delle presentificazioni di ricordo, di segno, di immagine, dando come esempio di questo aspetto l’allusione a un nome pronunciato, quello del pittore David Teniers, che gli evoca immediatamente il ricordo di una visita alla Gemäldegalerie di Dresda, ove Husserl ha potuto vedere un quadro di Teniers che rappresenta l’immagine di un gabinetto di amatori riempito di altri quadri, ovvero di altre immagini inscatolate nell’immagine.
Tale movimento argomentativo conduce Husserl a stabilire che la forma primitiva, l’Urform dalla quale provengono per modificazione tutte le modalità intuitive del ricordo o dell’immagine che sono suscettibili, come appena visto, di inscatolarsi all’infinito — tale Urform è la certezza noetica della credenza [30], il cui modello è, come sempre in Husserl, quello offerto dalla percezione.
Ciò conferma che questo capitolo di Ideen I mira a costruire con la sua argomentazione una serie che va, per modificazioni successive, dalla percezione con i suoi caratteri di certezza dossica e di presentazione tetica d’oggetto, al ricordo, che è in se stesso una presentificazione, seppur ancora posizionale (o tetica), grazie al suo aspetto di presente passato, fino all’immaginazione libera, alla Phantasie, che non ha più nulla di tetico poiché essa neutralizza il carattere posizionale del ricordo, ricollegandosi ad un presente passato, dal momento che questo presene passato diventa così immaginariamente fluttuante.
Si potrebbe concluderne che se la Phantasie, in Ideen I, costituisce una modificazione di neutralità applicata al ricordo e a lui solo, ciò avviene perché molto logicamente Husserl ha proceduto attraverso la costruzione della serie ordinata percezione/ricordo/Phantasie. Per quanto riguarda l’immagine esterna (Bild), essa non gioca alcun ruolo determinante nel movimento argomentativo appena sviluppato, anche se l’evocazione della galleria di quadri di Dresda sembrerebbe farvi allusione. Non solo non è reperibile alcuna premura propriamente estetica in queste analisi, ma è anche la considerazione dello statuto specifico dell’immagine esterna che qui viene a mancare. Ora, al §111, con l’analisi dell’immagine di Dürer, l’immagine esterna entra a pieno titolo nel ragionamento. Bisogna allora evidenziare due punti:
In primis l’evocazione dell’incisione di Dürer rappresenta uno iato nello sviluppo argomentativo poiché, come è stato notato, «dobbiamo ammettere che attendevamo qualcosa di diverso, ovvero degli esempi in linea con la modificazione immaginante dei vissuti, di cui Husserl ha parlato a lungo [...]. D’improvviso siamo trasportati in un tutt’altro contesto e passiamo dal fenomeno dell’immaginazione libera al fenomeno della coscienza d’immagine» [31]. Tale salto, ormai lo si sarà compreso, perturba la serie percezione/ricordo/Phantasie, dal momento che un oggetto esterno percepito al presente interviene senza preavviso ad uno degli estremi della catena; ciò comporta un conflitto tra la presenza percepita e il ricordo neutralizzato — conflitto che Husserl dovrà appianare o neutralizzare di nuovo introducendo una differenza tra l’oggetto-immagine e la cosa percepita. Ma possiamo essere sicuri che anche questa volta la coscienza immaginante procederà, come la Phantasie, neutralizzando unicamente il ricordo? In effetti nulla è meno certo di ciò, poiché nel caso dell’esperienza del Bild tutto avviene nel presente del percepito, anche ammettendo che questo percepito fluttui. Per questo motivo la teorizzazione di Ideen I si rivela qui instabile.
2. In secondo luogo l’intervento dell’incisione di Dürer, sulla base di quanto precedentemente stabilito da Husserl in merito alla serie percezione/ricordo/Phantasie, può condurre solo a privilegiare — e anche a ipostatizzare — il carattere di copia dell’immagine. Pensata, in effetti, dopo la percezione, dopo l’atto di rimemorazione del percepito, dopo l’atto d’immaginazione intorno a ciò che fu percepito, l’immagine si vede immancabilmente segnata da un presupposto riproduttivo, dal presupposto di un rapporto a un modello o degli elementi di modello, che rinviano a qualche modificazione del percepito. In breve, l’immagine si vede contraddistinta da un rapporto che la lega a ciò che Husserl chiama esplicitamente «le realtà dipinte, ovvero il cavaliere in carne ed ossa».

La categoria dell’Abbild, dell’immagine-copia, domina allora il complesso dei ragionamenti, e con essa quella del riempimento intuitivo percettivo attraverso ciò che è stato visto prima e che viene in seguito riconosciuto in immagine. La coscienza d’immagine esterna, quella dell’incisione o del quadro, è quindi concepita come posizionale, come una sorta di sezione tagliata male tra l’immagine interna della Phantasie non posizionale e il ricordo posizionale. Per questo, allorché si manifesta una premura propriamente estetica, esattamente alla fine del §111 di Ideen I, ad Husserl non resta che raddoppiare il suo dispositivo di neutralizzazione, al fine di produrre in ultima istanza un corto-circuito concernente il rapporto di tipo posizionale dell’Abbild con il modello dipinto, sperando così di ritrovare la specificità del Bild in un’attitudine detta puramente estetica.
Ma bisogna ammettere che né la dimensione estetica né le sue strutturazioni logiche sono descritte e non sono neppure descrivibili se si parte da simili presupposti. Ed è senza dubbio così dal momento che ciò che motiva realmente Husserl in questo §111 non è una preoccupazione di ordine estetico, ma piuttosto quella di giungere a differenziare l’attitudine fenomenologica di neutralizzazione per epochè dall’attitudine di modificazione immaginante tramite neutralizzazione, affinché il metodo fenomenologico non soccomba sotto l’accusa di procedura immaginaria. Per dirla diversamente, perché ciò che lo motiva qui è più lo scrupolo di salvare il metodo fenomenologico che il fenomeno estetico.
Tuttavia, come abbiamo già avuto modo di dire, Husserl ha preso coscienza dell’irriducibilità del fenomeno estetico rispetto a questo tipo di analisi. Husserliana XXIII ne offre numerose testimonianze. Vi si trova questa osservazione estratta dal corso del 1904-1905 nella quale Husserl nota che, contemplando un quadro di Veronese, «noi ci sentiamo trasportati nella vita sontuosa dei nobili veneziani del sedicesimo secolo», e che attraverso la contemplazione delle incisioni su legno di Dürer, così ricche in dettagli rappresentativi, «noi intuiamo [...] l’umanità tedesca del suo tempo» [p- 78].
Tuttavia, precisa l’autore subito dopo, un punto di vista davvero estetico su queste opere non richiede tanto di abbandonarsi ai piaceri dell’immagine-copia, «la Phantasie [non deve seguire] queste nuove rappresentazioni, ma [è necessario che] l’interesse [ritorni] continuamente all’oggetto-immagine e vi si leghi interiormente, trovando il piacere nel modo in cui esso mette in immagine». Ciò significa che, sulla base di questo testo, il sentimento estetico non è legato alla percezione dei contenuti rappresentativi e dei dettagli riconosciuti nell’Abbild, ma è legato alla percezione di uno stile proprio dell’immagine stessa e, per di più, che è ormai la Phantasie a prendere in carica questa sorta di erranza estetica dello sguardo, allorché questo si concentra sul modo specifico della messa in immagine.
Seguendo la medesima linea Husserl qualche pagina dopo sviluppa un’altra osservazione determinante in merito agli aspetti materiali della considerazione estetica: «l’interesse affettivo estetico si connette all’oggetto-immagine e vi si connette secondo dei momenti che non rispondono ad un principio analogico. Poiché non ne ho ancora parlato, rimando alla funzione estetica dei mezzi e dei materiali di riproduzione, come per esempio l’ampio colpo di pennello di certi maestri, l’effetto estetico del marmo, ecc...» [p. 89].

Inoltre, riflettendo su una riproduzione fotografica del quadro di Tiziano, L’amor sacro e l’amor profano, il cui originale si trova alla Galleria Borghese a Roma, Husserl si sofferma con una certa precisione su alcuni tratti materiali di questa riproduzione: «abbiamo una riproduzione in copia ridotta, senza colori, invece di una copia a colori, una fotografia invece di un quadro» [p. 176]; poi egli aggiunge che il quadro di Tiziano «non ha la funzione di rendere rappresentato qualcosa d’altro» ovvero «ciò che mi interessa è lì, non è rappresentato indirettamente» [p. 177]. Infine egli offre una un’analisi che penetra nelle difficoltà specifiche della descrizione:
più entriamo con lo sguardo all’interno dell’immagine [oggetto-immagine] e prestiamo attenzione ai momenti della concordanza, ai momenti che vertono sull’analogia [quindi al suo aspetto figurativo di Abbild], meno la relazione al Gegenstand è esterna, dal momento che si emancipa dall’oggetto-immagine [...]. La coscienza di immagine immanente è caratterizzata dal fatto che la rappresentazione del soggetto non è una seconda [rappresentazione] a fianco di quella dell’oggetto-immagine, connessa a questa attraverso un legame simbolico, ma una rappresentazione che s’interpenetra con essa e coincide parzialmente con questa [p. 156].
Husserl affronta qui il vertice del paradosso dell’immagine: più ci s’interessa esteticamente alla costruzione dell’immagine come tale, al suo stile proprio, più il suo carattere figurativo s’interiorizza, come se l’interesse estetico, pur non connettendosi ai tratti riproduttivi dell’immagine, ai contenuti — ecco il paradosso — si mantenesse comunque lontano dal metterli totalmente tra parentesi, dall’ignorarli; come se non riuscisse più ad integrarli. Forma e contenuti della rappresentazione sembrano allora dover sviluppare una reciprocità così inattesa da essere difficilmente spiegabile tramite la teoria della neutralizzazione.
Certo, Husserl ci ha insegnato che neutralizzare non è annullare, ma in che modo concepire l’integrazione dei contenuti percepiti neutralizzati in una in una presentificazione che si rapporta, dal punto di vista formale, solo al passato e il cui modello è, come precisa un testo del 1904-1905, quello «della coscienza della non presenza (das Nichtgegenwärtigkeits- Bewusstsein), che appartiene all’essenza della Phantasie?» [32]. Tali interrogazioni mostrano fino a qual punto Husserl accusi delle difficoltà nell’articolazione di Bild e Phantasie, allorché egli si arrischia ad uscire dallo schema imitativo-riproduttivo, fuori dalla considerazione dell’Abbild — quindi quando egli azzarda delle analisi puramente estetiche.
Essendo a conoscenza dell’ostinazione con cui Husserl affronta il problema della determinazione del Bild tramite la Phantasie, torniamo ad esaminare i suoi testi di lavoro. Uno degli scritti in cui è maggiormente evidente il conflitto tra una concezione analogica del Bild e della Phantasie, e un’altra concezione, molto differente, del sentimento estetico dinanzi all’oggetto bello in generale o l’opera d’arte in particolare, è il frammento 1 di Hua XXIII che si ricollega ad un corso del 1904-1905 e alle sue appendici del 1906-1907.
Da un lato vi si legge che «l’immagine, come oggetto-immagine [das Bild als Bildobjekt] [è] l’esatto analogon dell’immagine di fantasia [Phantasiebild]» [p. 19]. Ciò finisce per rinchiudere l’analisi nelle difficoltà del conflitto, da noi già analizzata, tra il percepito presente e il fantasmato non presente. Ma, dall’altro lato, vi si trova anche una pagina magnifica consacrata all’«apparizione considerata dal punto di vista estetico» [33] che rimette tutto in discussione.
Partendo dal punto di vista formale, che è quello della teoria della neutralizzazione e dell’interesse portato all’apparizione del Bildobjekt come tale (ciò che è preliminarmente necessario per ogni attitudine estetica), Husserl si domanda: «l’interesse che noi abbiamo per l’apparizione è sempre di natura estetica? Chiaramente no». In seguito egli comincia a spiegare il sentimento estetico, in quanto interesse legato all’apparizione, attraverso il ricorso ad un altro modello [p. 145-146]:
differenti apparizioni del medesimo oggetto [non hanno] uguale valore in questa direzione affettiva [quella estetica]. Posizionamento di vasi, portacenere ed altro nel salotto: qual è la disposizione più bella? È quindi una questione estetica. In questo caso è scelta l’apparizione più favorevole.
Si precisa qui la correlazione tra sentimento estetico e apparizione:
risveglio chiaro della coscienza d’oggetto, sebbene l’interesse non concerna l’oggetto in quanto membro del mondo effettivamente reale, secondo le sue proprietà oggettuali, le sue relazioni, ecc, ma si orienti solo sull’apparizione. Ora, poiché l’apparizione oggettuale è qui, naturalmente inevitabile, e poiché la funzione dell’oggetto, il suo scopo ecc sono co-stimolati allora essi devono esserlo in maniera chiara. L’oggetto stesso [deve essere] adeguato al suo scopo, altrimenti conflitto tra la forma dell’oggetto e la sua funzione. Altrimenti vi si mescola qualcosa di spiacevole.
Ecco introdotta allora un’analogia:
in egual modo, nella configurazione dell’essere umano. Gruppo. Non un ammasso di membra umane di cui si ignori in ultimo a chi appartengano. Con quale testa vanno queste gambe, queste braccia ecc? Che cosa fa questa? Dove va questo? Posizione caratteristica. Fotografia del momento: tra le innumerevoli posizioni particolari che si producono affettivamente, qual è quella «vista», e tra quelle viste qual è la migliore?
Husserl può allora concludere:
ogni nervo, ogni muscolo armonizzato per l’azione. Nulla di indistinto, nulla di fortuito. La maggior espressione possibile [Möglichst viel Ausdruck], ovvero la stimolazione possibilmente più forte, la più intuitiva possibile in apparizione, della coscienza d’oggetto.
L’interesse di queste righe risiede nella teoria dell’espressione estetica che esse delineano a margine di tutte le considerazioni sul dualismo forma/contenuto. L’espressione è in effetti legata in questo testo «alla più forte stimolazione possibile», alla più densa stimolazione prodotta sullo spettatore dall’opera: né per il suo contenuto, né per la sua forma, o meglio per l’uno e per l’altro.
Più esattamente, come Husserl ricorda nel frammento 15h, da noi analizzato nella prima parte, se «il tipo di apparizione» è nella sua forma stessa «portatore dei caratteri affettivi estetici» [p. 389] poiché, affinché si sia in grado di valutare un’opera o un paesaggio naturale, è necessario che l’apparizione si produca secondo la procedura della neutralizzazione, ciò non impedisce che non ci si debba lasciar obnubilare dal solo momento dell’apparizione, dal momento che ogni momento apparizionale è per necessità eidetica momento di una apparizione-di-cosa. A tal riguardo ricordiamo questo testo cruciale:
l’apparizione è apparizione d’oggetto, l’oggetto [è] oggetto nell’apparizione. Dal vivere nell’apparire io devo ritornare all’apparizione e viceversa; così il sentimento [estetico] diventa vivido: l’oggetto [...] riceve una colorazione estetica in relazione al tipo di apparizione e il ritorno sull’apparizione dà vita al sentimento di origine [p. 389].
In questi passaggi Husserl arriva a tematizzare il fenomeno estetico in modo più raffinato rispetto a quando ricorre alla coppia forma/contenuto o rappresentazione/copia. In effetti, che la colorazione estetica dell’esperienza trovi la sua vivacità espressiva più specifica nel movimento di andata e ritorno tra il momento apparizionale e la più intensa coscienza d’oggetto, nonché la più stimolante in relazione all’oggetto stesso, significa che in ultimo può spegnersi il conflitto tra il vissuto di percezione e il vissuto di Phantasie.

Tale cessazione del conflitto avviene, sulla base di quello che dice il frammento 18b, in un mondo-di-Phantasie-percettiva [eine Welt perzeptiver Phantasie] [p. 514], in un mondo popolato di finzioni percettive [perzeptiven Fiktionen], come Riccardo III che io vedo avanzare sulla scena del teatro, la Settima Sinfonia di Beethoven che ascolto all’auditorium, o L’amore sacro e l’amor profano che contemplo alla Galleria Borghese.
Siamo quindi tornati al libero gioco kantiano delle facoltà? Malgrado la tentazione che può esservi a rispondere affermativamente, con Sartre e altri dopo di lui [34], noi risponderemo negativamente dal momento che Husserl non smette di ripetere che «per l’attitudine estetica l’essenziale non è la Phantasie, ma l’attitudine nei confronti di ciò che interessa esteticamente, l’oggettità secondo il come [Gegenständlichkeit im wie]» [p. 591].
Per Husserl quindi il godimento estetico delle opere è certo fantasmatico o, se si vuole, immaginario, ma in un senso preciso che non è quello sartriano del processo di irrealizzazione.

Esso è immaginario unicamente perché popola il mondo di immagini o di finzioni percettive effettive, che sono, e questo è il punto, altrettanti apparizioni d’oggetti nel loro come più espressivo. Altrimenti detto, il piacere estetico suppone, nel seno della modalità di coscienza neutralizzante, un «risveglio chiaro della coscienza d’oggetto» [p. 145], piuttosto che un salto in una supposta irrealtà dell’immagine o un puro disinteresse nei confronti dell’oggetto. «Ciò che non esprime nulla è l’adiaphoron estetico» [35], osserva con finezza Husserl in una nota lapidaria con cui concludiamo.

NOTE
[*]. Articolo apparso per la prima volta nel volume collettivo L’image, sous la direction d’Alexander Schnell, Vrin, Paris, 2007, pp. 115-134. Per gentile concessione dell’autore. Riportiamo in nota il numero di pagina delle opere husserliane delle edizioni francesi usate da Rodrigo. Nelle parentesi quadre presenti nel testo riportiamo il numero di pagine delle edizioni tedesche delle opere di Husserl consultate da Rodrigo.
[1]. Cfr. la lettera a Hofmannsthal del 1907, tradotta e pubblicata da poi Éliane Escoubas Une lettre de Husserl à Hofmannsthal, ne La part de l’oil, n. 7, «Art et phénoménologie», 1991, pp. 13-15.
[2]. Cfr. E. Husserl, Phantasie, Bildbewusstsein, Erinnerung, Husserliana XXIII, Dordrect, Kluwer, 1980. In un certo senso tutto il volume dell’Hua XXIII costituisce il testo topico per la nostra riflessione, ma il n. 15 è orientato in maniera più diretta sul problema del giudizio.
[3]. M. Richir, «Commentaire de Phénoménologie de la conscience esthétique de Husserl», in Revue d’esthétique, 36 (1999), pp. 15-23. F. Dastur, Husserl et la neutralité de l’art, in La part de l’oil, 7 (1991), pp. 19-27. D. Lories, Remarques sur l’intentionnalité esthétique: Husserl ou Kant?, in P. Rodrigo e J. C. Gens, Esthétique et Herméneutique. La fin des grands récits, EUD, Dijon, 2004, pp. 99-115.
[4]. Ideen II, p. 25.
[5]. Ibid.
[6]. Ibid.
[7]. Ibid.
[8]. Ivi, p. 31.
[9]. Ivi, pp. 31-32.
[10]. Ivi, p. .
[11]. Ivi, p. 333.
[12]. Ivi, p. 334.
[13]. Dal momento che essa non appare nel mondo delle cose e neppure nell’ora della loro percezione, la carne sensibile significante del quadro e, in generale, dell’opera costituisce propriamente l’immagine, o più ancora l’oggetto-immagine nel suo senso non triviale (mondano). Tale aspetto è trattata approfonditamente nel testo n. 1 (§ 7-14) del volume Hua XXIII, in cui è possibile leggere «l’oggetto-immagine (Bildobjekt) non esiste veramente [...], non ha assolutamente alcuna esistenza». Cfr. infra.
[14]. Ivi, p. 32 e p. 38: «io vedo la bellezza esattamente come l’oggetto, diversamente, è vero, dal suo colore e dalla sua forma in una percezione sensibile».
[15]. E. Husserl, Idées directrices pour une phénoménologie et une philosophie phénoménologique pures: Tome 2, Recherches phénoménologiques pour la constitution, PUF, Paris, 1996, p. 33.
[16]. Hua XXIII, p. 389.
[17]. Idées directrices pour une phénoménologie..., p. 38. Corsivi di Rodrigo.
[18]. Ibid.
[19]. Hua XXIII, p. 392.
[20]. Idées directrices pour une phénoménologie..., p. 33.
[21]. Cfr. F. Dastur, Husserl et la neutralité de l’art., M. M. Saraiva, L’imagination selon Husserl, La Haye, Nijhoff, 1970, pp. 234-235 e J. P. Sartre, L’imaginaire, Gallimard, Paris 1940, p. 227.
[22]. E. Husserl, Recherches pour la phénoménologie et la théorie de la connaissance. Recherches III, IV et V. Trad. par Hubert Élie, Lothar Kelkel & René Schérer, Paris, PUF, 1962. Cfr. anche §9 del frammento 1 di Hua XXIII datato 1904-1905: «dall’immagine fisica [la cosa-immagine affissa al muro] noi distinguiamo quindi l’immagine rappresentativa, l’oggetto apparente che ha la funzione di raffigurare come immagine-copia». Il §40 di questo stesso frammento è altrettanto eloquente: «in senso proprio, l’immaginazione ovvero la rappresentazione tramite immagine, consiste in un oggetto apparente che vale come immagine-copia [Abbild] per un altro oggetto, ad essa identico o simile», là dove la Phantasie, aggiunge Husserl, «è nettamente separata dalla funzione propria dell’immagine, dal momento che le manca un oggetto-immagine che si costituisce in modo specifico». Tale dualismo sarà rimesso in discussione nel frammento 18b.
[23]. Ibid.
[24]. Husserliana III. 1. Ideen zu einer reiner Phänomenologie und phänomenologischen Philosophie. Erstes Buch, a cura di K. Schuhmann, Martinus Nijhoff, La Haye, 1976, p. 270: «wenn wir uns rein ästhetisch verhalten».
[25]. E. Escoubas, Bild, Fiktum et esprit de la communauté, in Alter. Revue de phénoménologie, n. 4, 1996, pp. 281-300 et M. M. Saraiva, L’imagination selon Husserl..., pp. 204-216.
[26]. Al §13 di Ideen I si legge in effetti: «la coscienza non raggiunge l’immaginario come realmente presente, passato, futuro. Esso fluttua [es schwebt vor] soltanto davanti il pensiero, in quanto immaginario, senza essere attualmente posto».
[27]. Ideen I, §111.
[28]. Ideen I, §99.
[29]. Ibid.
[30]. Ivi, §104.
[31]. M. M. Saraiva, L’imagination selon Husserl., p. 230.
[32]. Hua XXIII, p. 58.
[33]. Ivi, Appendice VI, §17, pp. 145-146.
[34]. Cfr. D. Lories, Remarques sur l’intentionnalité esthétique.,
[35]. Hua XXIII, Appendice VI, p. 246.

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