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L’origine immaginaria di ogni essere: la nozione di Istituzione in Merleau-Ponty
di Annabelle Dufourcq

(Traduzione di Maria Gaia Crivella)

22 maggio 2020



In una famosa nota di lavoro sul sogno Merleau-Ponty procede ad uno stranissimo ribaltamento in virtù del quale l’immaginario diviene «la vraie Stiftung de l’Être, dont l’observation et le corps articulé sont variantes spéciales» [1]. Questa tesi è estremamente audace e costituisce un’indubbia assunzione di rischio per Merleau-Ponty: ciò potrebbe lasciar pensare che egli riduca il reale a un’illusione, cosa che ha sempre voluto evitare.
Dunque perché Merleau-Ponty tiene tanto a «nommer l’Être ce qui n’est jamais tout à fait?» [2] Come ridefinisce l’immaginario per farne un principio ontologico e non più l’invenzione arbitraria di questa facoltà mentale soggettiva denominata immaginazione? Possiamo attribuire a ogni essere un’origine immaginaria senza distruggerlo?

Secondo una definizione classica dei termini, la tesi di un’origine immaginaria di ogni essere sembra assurda. Gli esseri possono definirsi come dotati di una certa sussistenza nel tempo e di un’indipendenza rispetto a dei punti di vista soggettivi, i quali impongono a questi ultimi la coerenza ostinata della loro presenza. L’Essere sembra così definire il solido referente in rapporto al quale l’immaginario non è che una deludente imitazione.
L’immaginario è inoltre comunemente definito come il frutto dell’immaginazione, facoltà mentale attiva, caratterizzata dalla libera invenzione. L’immaginario sarebbe dunque non una presenza che si impone al soggetto, ma il prodotto del suo arbitrio. Sulla base di queste condizioni, si comprende che, se l’immaginario conferisce una parvenza di presenza agli oggetti rappresentati, ciò non avviene mai se non attraverso un procedimento che tenti di riprodurre la presenza autentica del reale, ottenendo in tal modo solo una quasi presenza. Sembra dunque impossibile parlare di un’origine immaginaria di ciascun essere, poiché gli esseri immaginari non sono pienamente e più radicalmente perché l’immaginario suppone già l’essere.
Così Merleau-Ponty non prende minimamente in considerazione la possibilità di definire un’origine soggettiva e allucinatoria degli esseri. Ne Le visible et l’invisible egli mostra che è assurdo domandarsi se il reale sia un sogno, poiché, pur sostenendo tale tesi, si ammetterebbe comunque che, poiché il sogno è l’integralità dell’essere, è necessario che esso non sia nulla: resterebbe allora da definire l’essere di questo sogno [3].

Ma questo argomento mostra che Merleau-Ponty dà inizio a un chiarimento dell’essere che non parte dalla supposizione classica secondo cui l’essere è In Sé. Che gli esseri possano ancora lasciarsi riconoscere e conservare una quasi-presenza nell’immaginazione è precisamente un fenomeno che rende problematica la definizione dell’essere come pienezza e autonomia allo sguardo del soggetto. Merleau-Ponty arriva così a mostrare che soggettività e oggettività non potrebbero essere due ambiti separati. Capovolgendo la definizione classica dell’essere e dell’immaginario, va a svelare un modo di essere originariamente sfuggente e lacunoso dell’essere, senza cessare di prendere quest’ultimo termine nel suo senso più autorevole.
Se l’essere fosse puro in sé, non potrebbe mai apparirci: resterebbe murato nella sua identità a sé e non si verificherebbe alcuna diffrazione in esseri particolari che si trasformano gli uni negli altri, né si formerebbe alcuna distanza da sé necessaria all’apparire di una coscienza. Diverrebbe impossibile parlare di esseri, di realtà diverse che ci impongono il peso della loro presenza. Merleau-Ponty concorda con l’idealismo su questo punto: gli esseri sono necessariamente sempre già senso. Ma l’accordo con l’idealismo si ferma qui: è escluso che questo senso sia un insieme di essenze, di idee perfettamente determinate. Divenuti assoluta trasparenza, gli esseri perderebbero la loro trascendenza.
Dunque — e Husserl lo aveva già intravisto — l’essere oggettivo è una sedimentazione — la seconda cristallizzazione, in superficie — di un processo più profondo e oscuro che non può definirsi come opera trasparente di una coscienza trascendentale. Merleau-Ponty definisce questo processo come diacritico, ispirandosi evidentemente alla linguistica di Saussure. Come tra i suoni di una lingua scopriamo instaurarsi relazioni di parentela/differenza che tracciano poco a poco dei poli, degli assi e un sistema di valori che possono progressivamente far indovinare dei significati, così una cosa appare in filigrana come lo stile di molteplici apparenze sensibili.
La genesi dell’essere consiste così nella formazione di un senso fuori da me, più esattamente in un miroitement sensibile al cui interno modulazioni diverse fanno germinare al contempo delle cose e le prime matrici [souches] di soggettività, poiché l’io non penserà che riprendendo e sviluppando questo senso più vecchio di lui. Gli esseri sono, di conseguenza, solamente nell’orizzonte di una genesi aperta. Un valore non ha in effetti una realtà positiva di cui il contenuto sarebbe perfettamente determinato, non è che il foyer virtuel [4], indicato in negativo da una moltitudine di variazioni: queste ultime, essendo singolari e apportando il loro segno e le loro inflessioni contingenti, mantengono sempre una dimensione di mosso [bougé], di non-adeguamento, nel disegno in filigrana degli assi. Tale incompletezza accenna a una moltitudine di altre variazioni possibili non strettamente determinate.

Da ciò deriva la nozione di istituzione in Merleau-Ponty [5]. L’istituzione è un fatto sociale, la sua realtà è sparsa ed evolve secondo le molteplici applicazioni che ciascuno ne fa. Le leggi, ad esempio, integrano incessantemente il riassetto della giurisprudenza. Un’istituzione continua a vivere al di là delle intenzioni di chi l’ha creata e opera su un avvenire indefinito di riprese che sono inevitabili deformazioni.
Si assiste così a metamorfosi spettacolari: quella che trasforma la geometria greca in scienza della natura universalmente matematica [6], per esempio, o il dirottamento del calvinismo in capitalismo [7]. Indissociabile da situazioni concrete, l’istituzione è un senso diacritico e Merleau-Ponty mostra che, al contrario, ogni apparizione diacritica del senso, dunque ogni senso, è un’istituzione. Sottolinea cosi il carattere sparso, aperto e fecondo di ogni realtà. Ogni essere è istituzione.
Ciò significa, da una parte, che è tormentato da un avvenire indefinito: lo stile di essere della montagna Sainte-Victoire — poiché non è contenuto nelle variazioni contingenti della mia percezione attuale ed è il tema per nuove variazioni che supererà sempre — richiama ogni sorta di ripresa e soprattutto continua a risplendere in colori e forme nelle tele di Cézanne «autrement mais non moins énergiquement que dans la roche dure au dessus d’Aix» [8]. Così le creazioni artistiche, singolari e inattese, devono essere integrate dall’essere stesso delle cose rendendole molteplici e evasive.
Un abisso simmetrico si apre, dall’altra parte, non appena ci si rivolge verso l’origine degli esseri. In effetti la straordinaria fecondità delle istituzioni a valle lascia intendere che, a monte, l’Urstiftung di ogni istituzione e di ogni ripresa successiva non può essere un fondamento assoluto e rigido. Merleau-Ponty si oppone così a Husserl che definiva talvolta l’Urstiftung come acquisizione evidente di un’essenza. Husserl ricercava specialmente l’intuizione che i primi matematici hanno avuto di un certo assioma o teorema: non si trattava in effetti di scoprire verità atemporali?

Ma Husserl stesso mostrava che i proto-fondatori avevano solo una concezione incompleta di ciò che la geometria doveva diventare: l’idea di una totalità razionale infinita, la formalizzazione del metodo sono novità «senza precedenti» [10] che non erano state individuate dai greci e costituiscono autentiche deviazioni in rapporto al loro progetto iniziale ancorato all’intuizione. Così la prima istituzione in geometria era un progetto oscuro e una «visée à côté qui sera rectifiée» [11]. Merleau-Ponty amplia questa insufficiente definizione di Urstiftung. Ogni senso deve comportare all’origine una dimensione di indecisione; stando così, in qualche modo mancato, sarà aperto a tutto e la sua storia sarà infinita. Di conseguenza, la presenza di un essere è possibile solo grazie a una dimensione di assenza e questo fondo immaginario lo istituisce.
Gli esseri che cristallizzano in superficie sono più profondamente e originariamente dei fantasmi. Tale è in effetti il modo di essere di uno stile diacritico: l’ossessione [12]. Esso si profila all’orizzonte di una diversità aperta, in alcun modo circoscritta. È insieme in me e laggiù, davanti a me così come in diversi oggetti affini. Così il miele può contemporaneamente presentarsi con una consistenza collosa, un gusto zuccherino e nelle parole di un adulatore [13]. Il senso è inizialmente simbolico, si dà e si nasconde in un mosso [bougé] tra riflessi contingenti e fluenti.

È in questa ossessione che si tiene l’istituzione originaria. Dicevamo che deve essere inappropriata, ed è in effetti una presenza-assenza, sempre frustrante, capace di esacerbare il desiderio e in possesso di un’infinita fecondità. Nel suo corso sull’istituzione [14]. Merleau-Ponty mostra attraverso numerosi esempi che il campo dell’immaginazione è il migliore istituente. L’Edipo specialmente è una fase di sessualità immaginaria che fa apparire, secondo i modi della confusione e dell’assenza, un’unione simbiotica con l’altro; ed è precisamente la deviazione per l’immaginario che è feconda: il paradossale progetto di fusione con l’altro non può svilupparsi positivamente e questo insuccesso gli permetterà di continuare a ossessionare ogni relazione amorosa futura [15].
Così, in maniera generale, l’Urstiftung, l’istituzione originaria, è definita da Merleau-Ponty non sul modello della sostanza, ma come immaginaria: «toute origine est mythe» [16]. Gli eventi mitici sono immaginari, poiché si assentano da sé stessi e diventano una fonte simbolica di ispirazione per ogni nuova situazione, senza pertanto comunicare un significato razionale positivo. È questa parte di assenza e di apertura che conferisce loro la straordinaria fecondità. Lo stesso potere simbolico anonimo e sfuggente, immanente al sensibile, apre all’origine ultima di ogni senso.
Ne La phénoménologie de la perception Merleau-Ponty identificò già questa creazione poetica anonima che si dispiega senza un piano, senza un concetto, nel vuoto del sensibile, riferendosi all’immaginazione definita da Kant: non come facoltà, ma più originariamente e misteriosamente [17] come «un art caché dans les profondeurs de l’âme humaine» [18]. Nella Critica della ragion pura, la riflessione trova il suo punto di partenza nell’esposizione kantiana di una netta distinzione tra tre facoltà mentali: sensibilità, intelletto, immaginazione.
La sensibilità è la capacità di ricevere impressioni, l’intelletto è l’attitudine a produrre concetti. La pura passività sensibile ci fornisce dati sparsi e informi, i concetti dell’intelletto e, più essenzialmente, le categorie a priori, impongono a questi dati una struttura necessaria all’apparizione di un qualcosa, di un mondo, di un senso e dei fenomeni. Ma si pone inevitabilmente il problema delle modalità di applicazione dei concetti ai dati sensibili. L’opposizione radicale tra pura passività e pura attività rende, in un primo tempo, questa applicazione semplicemente impossibile. L’immaginazione è allora definita come un intermediario.

L’immaginazione produrrebbe così degli schemi, cioè trasformerebbe il concetto in regola operante, in un’attività di sintesi collaudata nel tempo e nello spazio. Ma perché supporre una sensibilità e un intelletto da principio distinti, mentre le sensazioni e i concetti isolati sono assurdi e non sono mai percepiti in questa forma? Questa prima versione di sintesi trascendentali non è soddisfacente. Kant stesso ne conviene e in numerosi testi suggerisce il superamento di questo schema troppo caricaturale.
Il testo a cui si riferisce Merleau-Ponty è uno degli esempi più sorprendenti: «ce schématisme de notre entendement est un art caché dans les profondeurs de l’âme humaine, dont nous arracherons toujours difficilement les vrais mécanismes à la nature pour les mettre à découvert devant nos yeux» [19]. Lo schematismo è in effetti il nome dato a un accordo tra sensibilità e comprensione che sorge senza alcuna regola: i concetti sono le regole dei giudizi e l’immaginazione applica queste regole alle intuizioni sensibili.
Essa non può quindi, per fare questo, disporre di alcuna regola altrimenti occorrerebbe trovare, all’infinito, nuove regole per applicare le regole già note. Così lo schematismo è un’arte, una competenza, una messa in forma senza concetto. Qui non abbiamo più dunque facoltà mentali dominanti e capaci di contenere una sintesi che inizia in modo assoluto. Si tratta piuttosto di provare, con stupore e meraviglia, la nascita, imprevista e fragile, del senso nel cuore del sensibile. Le profondità dell’animo umano ci rinviano, al di là del l’io trascendentale e delle facoltà che vi regnano, a una natura, un principio anonimo che delinei già una certa organizzazione, un senso.
Kant suggerisce così che, al di là dell’immaginazione definita come facoltà mentale soggettiva, dobbiamo supporre un immaginario fondamentale. Perché è precisamente alla radice dell’immaginazione che scopriamo tale arte? Non c’è dunque un’attività soggettiva, ma come senso diffuso in un flusso sensibile, che emerge indipendentemente da ogni regola, e di conseguenza sorprendente e aperto, esso prende piuttosto la forma di entità immaginarie che di concetti nettamente definiti. Così, ugualmente, ne Les aventures de la dialectique, Merleau-Ponty designa il senso nascente tra gli avvenimenti, le strutture economiche e politiche e infine le parole e i gesti di una moltitudine di individui, con la nozione di imagination de l’histoire [20], che sostituisce alla nozione hegeliana della ragione della storia.
C’è così un senso che si tesse tra i vuoti degli eventi storici, ma non si tratta di un piano razionale predeterminato, di un destino implacabile. I gesti, le parole, le istituzioni, le produzioni artistiche e tecniche ecc. non sono puro caos assurdo: alcune strutture appaiono e fanno pressione sulle decisioni individuali, imponendo loro il peso di un contesto. Ma questi assi che definiscono un certo senso della storia restano tracce diacritiche ambigue. Si offrono a riprese diverse, non ci costringono ma sollecitano la nostra immaginazione.
Così Merleau-Ponty fornirà finalmente una portata esplicitamente ontologica alla riflessione sull’immaginario. In una nota di lavoro, del 1960, riferita al sogno, afferma radicalmente che dobbiamo comprendere l’immaginario non «comme néantisation qui vaut pour observation» ma, come abbiamo visto, «comme la vraie Stiftung de l’Être dont l’observation et le corps articulé sont variantes spéciales». Merleau-Ponty inverte la gerarchia classica: l’immaginario non è la riproduzione del mondo reale, e il corpo immaginario del sogno non è il prodotto di un’attività fisica del corpo reale addormentato.

In modo molto sorprendente, bisogna comprendere il corpo articolato a partire dall’immaginario e non il contrario. Il corpo immaginario è il principio del corpo articolato. Meglio: è il principio di tutte le cose, la Stiftung dell’Essere, cioè la Stiftung realizzata dall’Essere e che rende l’Essere possibile (l’Essere in quanto origine ultima non ha modo di domandarsi se, nell’espressione «Stiftung de l’Être» il genitivo è soggettivo o oggettivo). In che modo il nostro corpo reale può essere una variante di un corpo immaginario fondamentale? In che modo questo corpo reale nettamente definito, articolato, può riposare sul corpo evanescente del sogno?
Tutta la riflessione merleau-pontyana in effetti permette di comprenderlo e conduce a questa ontologia stupefacente. Se i corpi fossero prima e essenzialmente corpi nettamente circoscritti, collocati in un punto oggettivo limitato, non ci sarebbe un mondo. Poiché noi siamo al mondo e capaci di percepire ben al di là del nostro posto oggettivo, occorre che vi sia prima un potere simbolico evasivo che permette a ogni cosa e ad ogni essere di essere al di là di sé stesso.
Così il corpo immaginario del sogno, multiplo, proteiforme, che risuona in tutti gli oggetti trascendenti, che traversa le frontiere tra luoghi e cose, deve essere definito, contro ogni aspettativa, come nostro corpo fondamentale, mentre il corpo articolato non è che una cristallizzazione superficiale. Tutto deve sorgere da una carne universale in cui i corpi articolati e le loro articolazioni si dividono. Questa carne universale è un brillare di riflessi in cui non possiamo distinguere dei limiti netti: «le sujet du rêve (et de l’angoisse et de toute vie) c’est on» [21]. Il corpo onirico resta dunque continuamente la fonte viva dell’esistenza cosciente.
Tuttavia parlare di origine immaginaria di ogni essere non lascia intendere che l’essere sia illusorio? Merleau-Ponty precisa che i fantasmi originari restano dietro le quinte del reale. Non prendono il posto degli esseri, ma sono al contrario la condizione necessaria della donazione degli esseri nel senso più autentico del termine. La loro origine fantasmatica non smaschera gli esseri come meno-essere, ciò farebbe ancora supporre che potrebbe esserci un essere ancor più pregnante, cosa che Merleau-Ponty rifiuta.

Così il miroitement, sempre in cammino e senza una strada pretracciata, deve essere denominato Essere poiché malgrado o, piuttosto, grazie al suo carattere fluente è il principio senza il quale non ci sarebbero esseri. L’Essere come definito da Merleau-Ponty è dunque retrait [22], latence [23]. La sua virtù è di farsi vedere, di rendere possibile un c’è, si cancella dunque e deve cancellarsi: il suo modo di essere immaginario è così perfettamente adattato. Certo, Merleau-Ponty mantiene la distinzione tra l’immaginario come registro speciale (sogni, quadri, immagini mentali...) e la realtà.
Eppure: da una parte, così come mostrato dalle riflessioni sulle tele di Cézanne, l’immagine diviene una delle varianti del modo di essere stesso della cosa: il senso non è meno in filigrana nella presenza percettiva, si dà semplicemente nelle immagini, un corpo nuovo, plus vivant [24], plus agile [25] scelto per farlo affiorare. La creazione immaginaria costituisce, secondo Merleau-Ponty, la prima tappa di un movimento culturale che tematizza per sé stesso il contrario delle variazioni percettive, istituendo, al servizio di questi temi nascosti, variazioni nuove scelte per esprimerlo meglio.
Il senso si profilerebbe, nella percezione, secondo il grado delle variazioni contingenti, sarebbe «épars dans l’expérience [...] il n’arrivait pas à se rassembler» [26]. Nella pittura, diviene principio direttivo, prescrittivo di variazioni. «Le sens du tableau exige cette couleur ou cet objet de préférence a toute autre [...] il commande l’arrangement du tableau aussi impérieusement qu’une syntaxe ou qu’une logique» [27]. Così non solo la cosa persegue la sua esistenza in persona nella sua immagine, ma Merleau-Ponty aggiunge che essa vi acquisisce una presenza più radiosa: gli assi segreti che animano le variazioni percettive divengono più visibili: è la dimensione spirituale della cosa, la sua potenza di suggestione e di avvenire che ci sono rivelate. La pittura svela così secondo Merleau-Ponty «le chiffre secret du réel» [28].

D’altra parte Merleau-Ponty scopre la definizione di un immaginario più profondo e anonimo. Questo immaginario primordiale consiste in fenomeni d’eco, simbolizzazioni attraverso cui emergono le modulazioni del senso, ancora evasive, nel vuoto del sensibile. In qualità di Stiftung, l’Essere è origine comune della realtà e dell’immaginario come registro speciale. L’immaginazione della storia, l’arte nascosta nelle profondità dell’animo umano, devono essere distinte dall’insieme delle rappresentazioni particolari classificate comunemente nella categoria dell’immaginario, cioè escluse dalla categoria del reale.
L’Urstiftung onirico delle cose è anteriore a questa dualità tra reale e immaginario. Nondimeno la scelta di eleggere l’immaginario, piuttosto che la sostanza, a principio ontologico conduce a ripensare e a rivalorizzare il registro particolare delle rappresentazioni immaginarie. Ciò permette ugualmente di svelare una certa continuità tra percezione e immaginazione e mostra che è possibile e anche fortemente auspicabile che si utilizzino le immagini nel contesto di una ricerca della verità (così Merleau-Ponty riconosce all’artista un ruolo cruciale nella conoscenza del mondo).
Merleau-Ponty assume pienamente il carattere sconcertante dell’ontologia da lui fondata e che fornisce come ogni fondamento agli esseri un Essere poreux [29] e onirique [30]. La fine de L’oil et l’esprit lo mostra bene: «quoi dit l’entendement [...] n’est-ce que cela? Le plus haut point de la raison est-il de constater ce glissement du sol sous nos pas, de nommer pompeusement [.] Être ce qui n’est jamais tout à fait?» [31]. Questo fallimento è secondo Merleau-Ponty quello del «faux imaginaire, qui réclame une positivité qui comble exactement son vide» [32]. Questo immaginario, che crede di essere unicamente del vuoto, si definisce relativamente a un Essere pieno che si suppone il solo degno del nome di essere e il solo degno di essere ricercato. Il falso immaginario aspira all’eradicazione definitiva di questo vano riflesso del non-essere alla superficie dell’Essere che è l’immaginario.

Così Merleau-Ponty rinvia implicitamente, per opposizione a questo falso immaginario, a un immaginario autentico definito essenzialmente da ciò che si accetta come immaginario. Coglie in questo modo il carattere infinitamente fecondo della fluttuazione, del mito e dell’assenza. Ed è precisamente in questo assunto dell’immaginario che l’Essere potrà essere definito nel modo più giusto possibile. Ritrovare l’Essere è accettare che le cose e il mondo non sono semplicemente, che c’è più in profondità un principio enigmatico dove l’essere si fa e si disfa, dove sorgono la coscienza, le domande, l’errore, la vita e la morte.
L’Essere non è mai pienamente perché opera, perché gioca, ma possiamo sentirlo giocare in noi e entrare in questo gioco. La tesi audace di un’origine immaginaria di ogni essere permette dunque a Merleau-Ponty di richiamare il carattere spirituale, ma anche plastico e incompleto, di ciò che tendiamo a considerare come una sostanza che si impone a noi in modo rigido e assurdo. L’origine immaginaria di tutti gli esseri è istituzione: essa li indirizza alla nostra ripresa creatrice, alla nostra immaginazione.

NOTE

[*]. Versione originale apparsa in K. Novotny, P. Rodrigo, J. Slatman, S. Stoller, Corporeity and affectivity. Dedicated to Merleau-Ponty, Bril, Leiden 2013. Per gentile concessione dell’autrice.

[1]. M. Merleau-Ponty, Le visible et l’nvisible, Paris, Gallimard, 1964, p. 316.
[2]. M. Merleau-Ponty, L’oil et l’esprit, Paris, Gallimard, 1961, p. 92.
[3]. M. Merleau-Ponty, Le visible et l’nvisible..., pp. 130-131.
[4]. Ivi, p. 154.
[5]. Nozione improntata su Husserl e utilizzata in maniera ricorrente da Merleau-Ponty a partire da Phenomenologie de la perception.
[6]. E. Husserl, Die Krisis der europäischen Wissenschaften und die transzendentale Phänomenologie, Hua VI, La Haye, M. Nijhoff, 1954, trad. francese di G. Granel, Paris, Gallimard, § 9 e appendici II e III.
[7]. M. Merleau-Ponty, Les aventures de la dialectique, Paris, Gallimard, 1955, pp. 22-27, Merleau-Ponty si riferisce a M. Weber, Die protestantische Ethik und der Geist des Kapitalismus, Archiv fur Sozialwisenchaft und Sozialpolitik, hrsg. v. W. Sombart, M. Weber, und E. Joffé, XX e XXI, trad. francese di J. Chavy, Plon, Paris, 1964.
[8]. M. Merleau-Ponty, L’oil et l’esprit..., p. 35.
[9]. Husserl parla di una Urstiftung che scoprirebbe una unbendingte Allgemeingültigkeit in Die Frage nach der Ursprung der Geometrie als intentional-historisches Problem, Krisis, Beilage III, Hua VI, p. 366, trad. francese p. 405.
[10]. E. Husserl, Krisis §8: Die Konzeption dieser Idee eines rationalen unendlichen Seinsalls mit einer systematisch es beherrschenden rationalen Wissenschaft ist das unerhört Neue, Hua VI, p. 19.
[11]. M. Merleau-Ponty, Notes de cours sur L’origine de la géométrie de Husserl, Paris, PUF 1998, p. 30.
[12]. M. Merleau-Ponty, Phénoménologie de la perception, Gallimard, Paris 1945, p. 518. M. Merleau-Ponty, Signes, Paris, Gallimard 1960, p. 55. M. Merleau-Ponty, La nature, Notes de Cours du collége de France, Paris, Seuil 1994, p. 233.
[13]. M. Merleau-Ponty, Psychologie et pédagogie de l’enfant (1949-1952), Lagrasse, Verdier, 2001, p. 522. Merleau-Ponty si riferisce alla analisi di Sartre in L’être et le Néant, Paris, Gallimard 1943, p. 666 e p. 674.
[14]. M. Merleau-Ponty, L’institution, la passivité. Notes de cours au Collége de France (1954-1955), Paris, Belin, 2003.
[15]. Ivi, p. 61.
[16]. M. Merleau-Ponty, Notes de Cours 1959-1961, Paris, Gallimard 1996, p. 127.
[17]. Nella riflessione kantiana sullo schematismo o nella Critica della facoltà di giudizio, a proposito del bello.
[18]. M. Merleau-Ponty, Phénoménologie de la perception, p. XII, poi p. 48 e 491. L’espressione a cui si riferisce Merleau-Ponty si trova nella Kritik der reinen Vernunft, Königlich Preußichen Akademie der Wissenschaft, Georg Reimer (Berlin 1911), III p. 136, A141, B180, trad. francese di A. Renaut, Paris Aubier, 1997, p. 226.
[19]. I. Kant, Kritik der reinen Vernunft, AK, III, 136, A141, B180.
[20]. M. Merleau-Ponty, Les aventures de la dialectique, Gallimard, Paris 2000, p. 29. [21]. Ibid.
[22]. M. Merleau-Ponty, Notes de Cours 1959-1961..., p. 100. Merleau-Ponty si riferisce esplicitamente a Heidegger, Der Statz vom Grund, G. Neske, Pfullingen, 1957.
[23]. M. Merleau-Ponty, Le visible et l’invisible, p. 179.
[24]. M. Merleau-Ponty, La prose du monde, Paris, Gallimard 1969, p. 124.
[25]. M. Merleau-Ponty, Signes..., p. 95.
[26]. M. Merleau-Ponty, La prose du monde..., p. 67.
[27]. M. Merleau-Ponty, Signes..., p. 69.
[28]. M. Merleau-Ponty, Notes de Cours 1959-1961, p. 174.
[29]. M. Merleau-Ponty, Le visible et l& #146invisible..., p. 138.
[30]. M. Merleau-Ponty, Parcours deux 1951-1961, Lagrasse, Verdier, 2000, p. 281.
[31]. M. Merleau-Ponty, L’oil et l& #146esprit..., p. 92.
[32]. Ibid.

Annabelle Dufourcq è Assistant Professor presso la Radbound University. Tra le sue opere ricordiamo i due fondamentali saggi La dimension imaginaire du réel dans la philosophie de Husserl (Springer 2010) e Merleau-Ponty: une ontologie de l'imaginaire (Springer 2011).

Josef Sudek, Sogno di pietra (1953)
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