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Husserl è il problema dell’univocità dell’intuizione*
di Dominique Pradelle

(Traduzione di Giuseppe Crivella)



19 maggio 2017


Esiste un concetto formale e univoco dell’intuizione dell’oggetto? In altri termini, se ogni intuizione di oggetto si realizza sullo sfondo di un afferramento intenzionale preliminare e mediante un processo di riempimento di tale afferramento, esiste un concetto univoco di tale riempimento, indipendente dal campo di oggetti presi come paradigma e uniformemente applicabile ad ogni regione di oggetti? In particolare, fin dal suo testo del 1894 Studi psicologici sulla logica elementare, [1] e poi nella V Ricerca Logica, [2] la percezione sensibile fornisce a Husserl il modello per ogni intuizione in generale; è allora possibile trasporre ai differenti tipi di essenze o categorie di oggetti il paradigma di intuizione (o di riempimento) già enucleato nella sfera della percezione sensibile? È possibile, per esempio, trasporre presso le differenti discipline eidetiche – dunque presso i diversi tipi d’intuizione d’essenza che essi mobilitano – ciò che vale per l’afferramento e l’intuizione degli oggetti individuali del mondo spazio-temporale?


DUE PRINCIPI OPPOSTI: DIVERSIFICAZIONE REGIONALE DELL’ANALISI INTENZIONALE E GENERALIZZAZIONE DEL CONCETTO DI INTUIZIONE

Esiste nel seno della fenomenologia husserliana una tensione essenziale tra due principi fondamentali: il principio del pluralismo regionale dell’analisi intenzionale e l’esigenza metodica di universalizzazione dei concetti operativi della fenomenologia.

Il primo è un principio strutturale. Esso enuncia l’esistenza di una correlazione a priori tra le categorie ontiche d’oggetti d’esperienza possibile e i tipi noetici dell’intuizione donatrice d’oggetto:
ad ogni regione [Region] e ad ogni categoria [Kategorie] d’oggetti presunti corrisponde sul piano fenomenologico […] una specie fondamentale di coscienza originariamente offerente [eine Grundart von originär gebendem Bewusstsein] […] e correlativamente un tipo fondamentale di evidenza originaria [ein Grundtypus originärer Evidenz] che è essenzialmente motivata dalla donazione originaria di questo tipo. [3]

Tutte le categorie ontiche [Seinskategorie] rimandano, tramite la correlazione, a delle forme categoriali fondamentali della coscienza offerente [kategoriale Grundformen gebenden Bewusstsein]. [4]
In effetti ogni categoria regionale (materiale) d’oggetti è un’essenza che deve essere condotta all’evidenza adeguata, ovvero alla donazione chiara e completa; una volta ricondotta ad una tale evidenza, essa prescrive per ogni oggetto singolare che ne dipende una regola generale di integrazione [complétion] progressiva della sua evidenza offerente; ora, dal momento che quest’ultima si compie sul fondo di afferramento intenzionale presuntiva ed attraverso un riempimento di quest’ultima, è allora al riempimento dell’afferramento che la categoria regionale prescrive una struttura specifica. Così, in una maniera generale, ogni essenza regionale prescrive a priori all’intuizione d’oggetto singolare una struttura regolatrice — ovvero lo stile delle sue modalità dinamiche di riempimento dell’afferramento, di donazione dell’oggetto, di integrazione [complétion] dell’evidenza o ancora di convalida del senso oggettuale. [5] Per esempio, una volta ricondotta all’evidenza adeguata, l’essenza della res extensa prescrive alla percezione spaziale di ogni oggetto esterno lo stile strutturale di un afferramento prospettico per schizzi, votato a moltiplicare i profili prospettici sull’oggetto al fine di completarne progressivamente l’apparenza globale. Da qui risulta un principio di regionalizzazione dell’analisi intenzionale: non esiste né struttura, né modalità universale di riempimento o della donazione; questi si specificano in funzione delle regioni mondane d’oggetti; il riempimento che legittima l’afferramento di un vissuto immanente (per esempio una percezione passata) non ha la stessa struttura di quello che attesta i tratti specifici di una cosa spaziale trascendente, né quello che offre un’altra persona o un’idealità matematica.

Il secondo principio, contrapposto al precedente, si situa nell’esigenza metodica di universalizzazione dei concetti operatori della fenomenologia: lo scopo della teoria fenomenologica è in effetti quello di ottenere dei concetti che siano validi per tutte le sfere ontiche e che ammettano solo delle declinazioni (o modalità) regionali di una stessa struttura invariante. Si tratta di una esigenza di validità trasversale di tali concetti operatori — nello specifico quelli di intuizione, di percezione, di donazione o di riempimento — i quali devono in principio possedere un senso universale che trascenda la differenza tra regioni di oggetti. In particolare, il loro senso deve trascendere la distinzione tra individui e essenze, oggetti singolari e eidetici, se non proprio puramente categoriali [6]: bisogna enucleare e tematizzare dei concetti di intuizione, di evidenza, di donazione e di riempimento che possiedano una validità, non solo per gli oggetti singolari di ogni regione, ma anche per le essenze o categorie di oggetti stessi; è necessario riconoscere l’estensione dei concetti rispetto alla donazione delle essenze regionali. Di fatto, uno dei punti cruciali della VI Ricerca si colloca in relazione all’«ampliamento dei concetti di intuizione e di percezione, che in origine sono sensibili [unentbehrliche Erweiterung der ursprünglich sinnlichen Begriffe, Anschauung und Wahrnehmung] [7]», ovvero la sua trasposizione dal campo delle percezioni di oggetti individuali a quello delle evidenze donatrici di oggetti sovra-individuali – classe che riunisce le singolarità generali (per esempio, i numeri definiti), le essenze materiali e le essenze formali o puramente categoriali.

Ora, lungi dall’essere fondato su una trasposizione o estrapolazione artificiale, tale ampliamento non deve in alcun modo presentare un carattere puramente estensionale:
il valore rischiarante che possiede tale ampliamento del concetto di intuizione non può in alcun modo consistere nel fatto che si tratterebbe in tal caso di un ampliamento di concetto puramente disgiuntivo, esteriore rispetto all’essenza [ausserwesentliche, bloss disjunktive Begriffs Erweiterung] […], ma al contrario si tratta di una vera generalizzazione che risposa sull’esistenza di caratteri essenziali comuni [eine echte, auf der Gemeinschaft wesentlicher Merkmale beruhende Verallgemeinerung]. [8]
In altri termini, non si tratta in alcun modo della fabbricazione di un artefatto concettuale d’intuizione e di riempimento, il quale si otterrebbe tramite una semplice aggiunta estensionale integrando alla classe delle intuizioni sensibili una nuova classe di intuizioni non sensibili, onde poi riunirle in una classe unitaria; non si producono semplicemente i concetti tramite una delimitazione arbitraria dell’estensione degli individui che essi sussumono. Al contrario, il fondamento della posizione di tali concetti deve essere nello stesso tempo intuitivo e intenzionale; deve esistere un’essenza universale dell’intuizione donatrice e della struttura del riempimento, caratterizzabile tramite dei tratti eidetici generali — essenza che, sebbene possa specificarsi post hoc in diversi sotto-concetti, deve a priori trascendere molteplici differenze: la distinzione tra i tipi regionali d’oggetti individuali (res temporalis, extensa, materialis, oggetto culturale, essere vivente, persona, società...); tra intuizione sensibile e eidetica o, in maniera più generale, tra donazione di oggetto individuale e specifico; infine, tra i differenti tipi di essenze (essenze sensibili, miste, puramente categoriali). Ritroviamo in Idee I questa stessa esigenza di univocità del concetto di intuizione: tra i differenti tipi di intuizioni, non deve regnare «un’analogia puramente estrinseca [bloss aüsserliche Analogie]», ma una «comunità radicale» d’essenze [radikale Gemeinsamkeit] — di modo che la generalizzazione dei concetti correlativi di intuizione e di oggetto non sia «un’idea arbitraria» [ein beliebiger Einfall] ma «imperiosamente richiesta dalla natura delle cose». [9]

Dal confronto di questi due principi risulta una questione centrale: è possibile operare un ampliamento dei concetti correlativi di intuizione, percezione, evidenza e riempimento che sia fondato sull’essenza dei fenomeni, ovvero su un insieme di tratti eidetici comuni, senza però che ciò contravvenga al principio di diversificazione regionale delle strutture noetico-noematiche? È possibile effettuare una generalizzazione valida dell’idea di intuizione donatrice al fine di ottenerne un concetto universale, senza per questo ridurre le differenze strutturali tra i tipi di evidenze?


I TRATTI EIDETICI DELL’INTUIZIONE ENUCLEATI SECONDO IL FILO CONDUTTORE DELLA PERCEZIONE ESTERNA

L’enucleazione dei tratti eidetici dell’intuizione e del riempimento — opposti all’afferramento inizialmente vuoto dell’oggetto tramite la mediazione del suo senso intenzionale — può effettuarsi sulla base di un doppio paradigma; ed è la scelta di questo paradigma che in seguito porterà ad accordare ad un dominio di oggetti e di fenomeni lo statuto di terreno o di sito naturale del pensiero fenomenologico — quindi a caratterizzare o nei termini di una fenomenologia della percezione o in quelli di una fenomenologia degli atti di pensiero. Nella I e nella VI Ricerca prevale il paradigma della coscienza di espressione significante e del passaggio dal semplice afferramento (o comprensione) del significato alla conoscenza dell’oggetto: l’apprensione di un’espressione linguistica si supera verso il coglimento di un senso ideale e questa oltrepassa se stessa a sua volta verso l’afferramento di un oggetto, di una referenza data dalla mediazione del senso che gli corrisponde (per esempio uno stato di cose presi di mira tramite una proposizione). [10] A partire dal 1907 di contro, anche se L’idea della fenomenologia fa variare gli esempi degli oggetti, prevale il paradigma della percezione esterna dell’oggetto spaziale, privilegiato come filo conduttore trascendentale dell’analisi della costituzione del periodo idealistico; ciò vale anche per Idee I, ma già prima per la V Ricerca e certi passaggi della VI, ove la percezione esterna funziona come terreno privilegiato dell’afferramento vuoto d’oggetto. [11] Quali sono quindi i tratti eidetici del processo di riempimento progressivo che conduce all’evidenza l’oggetto esterno? Citiamo il decisivo § 10 della VI Ricerca:
le percezioni esterne ci forniscono in generale un’infinità di esempi di tal genere […]. Ogni percezione e ogni concatenazione di percezioni si edificano a partire da componenti che devono essere comprese sotto questi due punti di vista: l’intenzione e il riempimento […]. Per parlare dal punto di vista dell’oggetto: l’oggetto si mostra da differenti lati […]; ciò che, visto da un lato, era unicamente co-intenzionato [nur indirekt mitgemeint] o anticipato [vorgedeutet] dal fatto della contiguità, viene, una volta visto da un altro lato, a profilarsi in immagine, appare in prospettiva […]. Secondo la nostra concezione, ogni percezione e ogni immaginazione sono un tessuto di intenzioni parziali [ein Gewebe von Partialintentionen], fuse nell’unità di un’intenzione globale [verschmolzen zur Einheit einer Gesamtintention]. Il correlato di quest’ultima è la cosa, mentre i correlati delle intenzioni parziali sono le parti o momenti della cosa [dingliche Teile und Momente]. La coscienza può, per così dire, intenzionare al di là [hinausmeinen] e l’atto intenzionale può riempirsi. [12]
Troviamo qui la descrizione della struttura intenzionale che era già stata messa essenzialmente in luce negli studi del 1894 e non smette di essere in seguito ripresa — nello specifico in La cosa e lo spazio. Idee I e Meditazioni cartesiane. [13] Cerchiamo di esplicitarne i tratti strutturali:

1. La struttura fondamentale, messa in luce tramite un atto humeano di scomposizione della coscienza, si situa nello scarto o nella discrepanza tra l’unità dell’intenzione globale e la pluralità delle intenzioni parziali che essa implica — tra l’atto intenzionale delle differenti facce, sfaccettature o momenti dell’oggetto (parti e determinazioni) e quella dell’oggetto intero nella sua identità e nella sua determinazione completa. Ciò che vedo è il tavolo intero, così come esso si presenta dinanzi a me; ma solo una faccia e certe determinazioni del tavolo mi sono intuitivamente presenti, mentre la mia visione implica una pluralità di aspetti e determinazioni co-intenzionale [mitgemeint], ma non date. [14] E uno scarto strutturale non oltrepassabile oppone le intenzioni parziali e l’intenzione globale: la presa intenzionale di una faccia può essere integralmente soddisfatta — sia che essa sia poco visibile, sia nel caso in cui sia esposta in maniera completa — mentre la presa intenzionale globale, nella misura in cui racchiude l’infinità delle sfaccettature concrete e delle determinazioni astratte dell’oggetto, non può per principio accedere all’intuizione adeguata o al riempimento completo. La percezione esterna presenta quindi la struttura di una Mehrmeinung — oltre-intenzionamento, atto intenzionale orientato al di là: l’intuizione della cosa ha luogo sulla base ontologica dell’atto intenzionale spontaneo, da parte della coscienza, di un senso che eccede per principio la possibilità di una presentazione originale completa. [15] L’intenzione globale, nella misura in cui essa mira all’integralità delle determinazioni della cosa, è orientamento verso un riferimento X, polo o indice rigettato all’infinito di tutte le esposizioni possibili; essa possiede la struttura regolatrice di un’idea kantiana, ovvero dell’impossibile donazione completa di un oggetto che non è tuttavia suscettibile di alcuna presentazione integrale. [16]

2. Tale struttura fondamentale si raddoppia in una struttura teleologica d’anticipazione e d’attesa. Certo, nel caso della percezione statica — per esempio quello di un tappeto il cui motivo si prolunghi sotto i mobili che lo ricoprono — «l’intenzione non è un’attesa [Intention ist nicht Erwartung]». [17] Però, nel caso dinamico di una percezione esterna fluente [ein Fluss kommend] [18] ove io sono in grado di far variare le prospettive sull’oggetto, l’intenzione offre esattamente una struttura temporale di attesa o di anticipazione: dal momento che, a partire da una certa angolazione, del tavolo non vedo che una faccia e le sue determinazioni, io anticipo l’aspetto delle facce contigue, delle facce posteriori dell’oggetto. Ogni afferramento [Ergreifen] percettivo si lascia quindi riassorbire in un pre-coglimento [Vormeinen] o in un’anticipazione [Vorgreifen] di un senso globale inizialmente molto lacunoso – quello di un oggetto tridimensionale che presenti la faccia effettivamente vista, ma che al tempo stesso includa inoltre un orizzonte di determinazioni presunte: il tavolo ha quattro piedi anche se io ne vedo due, l’asse d’appoggio è piano sia sopra che sotto; o ancora, rispetto a una semi-sfera rossa, io presumo spontaneamente che la faccia nascosta è sferica e rossa nello stesso modi di quella visibile. Lungi dal limitarsi al nucleo della donazione o della presenza effettiva, l’apprensione implica il co-intenzionamento di un alone di senso, quindi contiene un orizzonte di potenzialità intenzionali che richiedono di essere attualizzate; essa possiede una struttura dinamica di sollecitazione di anticipazioni e di interessi percettivi diretti sulle determinazioni occulte dell’oggetto, ovvero di un’aspirazione [Streben] che tende teleologicamente verso la sua soddisfazione, verso la Darstellung intuitiva di ciò che non è presente; il riempimento percettivo designa una teleologia del completamento dell’esposizione. [19] Tuttavia, nel caso di ogni oggetto trascendente il campo dei vissuti della coscienza, tale processo dinamico di riempimento graduale è indefinitamente differito, poiché il numero delle sfaccettature presentabili è infinito; la donazione completa possiede quindi una struttura di accostamento [atermoiment] illimitato. [20]

3. La nozione di riempimento implica una dualità essenziale, nella misura in cui essa richiama rispettivamente il senso e l’oggetto denotato. Riferito all’oggetto, il riempimento ha lo statuto di una donazione, di una evidenza donatrice originaria: ciò che io vedo dinanzi a me è il tavolo stesso, situato nello spazio esteriore e non un’immagine mentale del tavolo che, in un secondo tempo rimanderebbe ad essa. [21] Riferito al senso oggettuale preso di mira, esso ha lo statuto di una convalida, attestazione, conferma o legittimazione [Ausweisung, Bestätigung, Rechtsfertigung] sulla base di una esposizione progressiva delle determinazioni oggettuali prese anticipatamente di mira. È al § 14 della I Ricerca che si trova esposta la dualità tra senso riempiente e oggetto denotato, ma nel quadro specifico di un’analisi intenzionale dello strato del logos, ovvero nel quadro di un riempimento dell’intenzionamento di un significato ideale: nel caso di un enunciato percettivo (un merlo prende il volo), il senso riempiente designa il contenuto identico comune a tutti gli atti di percezione aventi di mira tale merlo nell’atto di prendere il volo (ovvero vi è significato nella percezione); tuttavia, l’oggetto è la denotazione presa di mira tramite l’enunciato — da una parte il merlo, ovvero l’oggetto in merito al quale si esprime un giudizio, dall’altra parte lo stato di cose designante «il merlo che prende il volo», ovvero l’oggettualità giudicativa. [22] Tentiamo ora di applicare alla sfera propriamente percettiva questa distinzione tra senso riempiente e oggetto. L’oggetto è preso di mira tramite la mediazione di un senso intenzionale o noema. Che cos’è tale senso? Non si tratta di un significato ideale dipendente dallo strato del logos: non consiste nel possedere il senso ideale /tavolo/ che mi permette di vedere tale tavolo dinanzi a me in quanto res extensa, [23] ma è (sebbene Husserl non lo precisi mai) l’immagine ancora vaga di un oggetto che occupa lo spazio, tridimensionale, il quale possiede il profilo che io vedo attualmente e le determinazioni che mi sono date, nonché un orizzonte di aspetti e di determinazioni non date secondo lo stesso stile; allora, la presentazione di tali aspetti e determinazioni è proprio un processo di attestazione e di completamento di tale senso lacunoso tramite un senso riempiente — ovvero l’apparenza completa dell’oggetto. D’altra parte, ciò che è intenzionato al di là di tutte le determinazioni già attestate è l’oggetto stesso, il riferimento o la X che è substrato di ogni determinazione conoscibile e trascendente tutti i modi di datità (percezione, immaginazione, rimemorazione) e che viene ad essere dato in se stesso nel riempimento graduale.

4. La struttura del riempimento graduale dell’intenzionare è una sintesi di identificazione dell’oggetto. Che cosa significa ciò? Quali sono i termini che collega questo atto di sintesi e qual è la nuova unità a cui essa dà luogo? La sintesi può essere analizzata dal punto di vista dell’oggetto denotato e del senso. Riferita all’oggetto, essa è il collegamento continuo dei noemi parziali presentati intuitivamente (il tavolo presente secondo tale aspetto, secondo quest’altro e così di seguito) rispetto ad uno stesso oggetto-sostrato X (il tavolo stesso nella sua interezza), di cui i primi sono soltanto dei profili incompleti; alla molteplicità delle percezioni istantanee e parziali si oppone l’unità della percezione continua che li riconnette; è una sintesi degli atti noetici parziali, così come degli aspetti noematici incompleti. [24] Riferita al senso, la sintesi ha il significato di un ricoprimento o di una congruenza [Deckung] progressiva tra il senso presunto e il senso riempente — ovvero tra le determinazioni co-intenzionate a vuoto e quelle che pervengono alla donazione intuitiva, lo stile di cosa spaziale tridimensionale ancora indeterminata e l’aspetto di cosa spaziale tridimensionale determinata. Così la sintesi è chiamata al § 17 delle Meditazioni cartesiane forma originaria [Urform] di ogni coscienza, ovvero di ogni coscienza d’oggetto: secondo la tesi dell’idealismo trascendentale nessuna identità si dona già del tutto compiuta, ma ogni rapporto ad un’identità oggettuale riposa su di un atto di identificazione. [25] Ma a tale identificazione non bisogna ancora attribuire il senso di una coscienza esplicita di identità; poiché la coscienza di un oggetto identico non è la tematizzazione esplicita della sua identità. [26]

5. C’è infine una correlazione tra il processo di riempimento e l’operatività, l’io posso del soggetto percipiente, ovvero la sua potenza di attualizzazione di potenzialità intenzionali pre-tracciate dal senso dell’oggetto. [27] In effetti la coscienza, teleologicamente orientata sul senso oggettuale globale — per esempio il tavolo come oggetto tridimensionale sotto tutti gli aspetti — predetermina un processo di riempimento progressivo secondo delle vie tracciate in anticipo da questo senso: far girare l’oggetto o girargli attorno in modo da portare ad esposizione intuitiva i tratti e le determinazioni presunte. Troviamo qui una doppia operazione: da una parte, la messa in gioco della operatività del corpo animato (auto-motricità e percezione volontaria), d’altra parte l’attività di anticipazione e l’aspirazione della coscienza percipiente a completare la sua visione della cosa. Rimarchiamo che lungi dall’essere riducibile ad un sistema di atti soggettivi, l’oggetto spaziale ne è il correlato; l’operatività resta una semplice condizione operatoria dell’intuizione dell’oggetto e lascia intatta la dualità tra l’aspetto noetico e noematico, sistema d’atti e oggetto intuito.


TIPOLOGIA DELLE ESSENZE E SPECIFICAZIONE DEL PROBLEMA

Enumeriamo i tratti eidetici enucleati a partire dal paradigma della percezione esterna: struttura d’orizzonte o idea kantiana, struttura teleologica di riempimento indefinito, dualità tra convalida del senso e donazione di oggetto, struttura sintetica di ricoprimento, struttura operatoria di correlazione tra sistema d’atti e di oggetto. Tali tratti del riempimento percettivo si lasciano trasferire nell’intuizione di essenze? All’intuizione dei differenti tipi di essenze?

In primo luogo ricordiamo che, lungi dal designare una categoria omogenea di oggettualità, la nozione di essenza racchiude une pluralità di tipi. Nel § 60 della VI Ricerca Husserl espone une tipologia delle essenze e degli atti correlativi di intenzionamento e di intuizione eidetica distinguendo tre tipi di essenze a cui corrispondono tre tipi di evidenza donatrice: le essenze puramente sensibili, le essenze sensibili mescolate a delle forme categoriali e le essenze puramente categoriali. [28] I concetti puramente sensibili [rein sinnliche Begriffe] [29] come colore, casa, giudizio, augurio, sono dati per astrazione sensibile [sinnliche Abstraktion] [30] o astrazione semplice [schlichte Abstraktion]: sono le essenze materiali, mondane o irreali, noematiche o noetiche, date per ideazione sulla base dell’immaginazione libera e della variazione eidetica. I concetti sensibili mescolati a delle forme categoriali [sinnliche, mit kategorialen Formen gemischte Begriffe] come essere colorato, virtù o assioma delle parallele sono di due forme: si tratta o di idee nel senso kantiano, essenze ideali ottenute per idealizzazione a partire da concetti puramente sensibili (per esempio di idealità morfologiche), ovvero tramite passaggio al limite in un processo puramente intellettuale di completamento di una proprietà (dal diritto alla retta, dalla buona azione alla virtù); oppure si tratta della composizione di un’essenza sensibile con una forma sintattica (essere-colorato). Infine i concetti puramente categoriali [reine kategoriale Begriffe] come unità, pluralità, relazione o concetto designano le essenze analitico-formali totalmente indipendenti dalla particolarità dei materiali o di ogni consistenza reale [Sachhaltige]; esse sono accessibili tramite formalizzazione, ovvero tramite un’evacuazione di ogni consistenza materiale che permette di liberare una pura forma sintattica (e) o ontologica (insieme).

Il problema inizialmente posto si specifica quindi nel modo seguente: esiste un concetto di intuizione o di riempimento che sia univoco, ovvero in grado di trasgredire le distinzioni tra intuizione d’individuo, d’essenza puramente sensibile, d’essenza ideale e d’essenza puramente categoriale? I tratti eidetici del riempimento sensibile valgono nello stesso modo per l’astrazione sensibile, l’idealizzazione e la formalizzazione?


CASO DELL’AFFERRAMENTO D’ESSENZE PURAMENTE SENSIBILI

Le essenze sensibili, in particolar modo quelle morfologiche, presentano una particolarità essenziale: esse possiedono nella loro estensione degli oggetti individuali o ancora delle proprietà o momenti di oggetti individuali. Anche il loro modo d’intuizione è immediatamente fondato sugli oggetti e sulle proprietà individuali: il metodo che permette di coglierli è la variazione eidetica, che consiste precisamente nel percorrere una parte della loro estensione presentificando tramite l’immaginazione degli esempi analoghi fino ad enuclearne l’invariante eidetica che è il concetto inteso nel suo versante intensionale. [31] Ma allora, tale intuizione d’essenza, attuata sul fondamento di una variazione immaginativa, possiede la stessa struttura di riempimento della intuizione sensibile esterna?

1. Troviamo in questo caso uno scarto strutturale tra la Gesamtintention e le Partialintentionen? Evidentemente sì. Nel § 92 di Esperienza e giudizio Husserl nota che a partire da uno stesso esempio iniziale (una sfumatura di rosso) è possibile pervenire a differenti invarianti eidetiche (l’eidos di rosso, di colore, di qualità sensibile...); [32] la variazione riposa quindi per tutta la durata del suo processo sulla conservazione di un’orientazione tematica di una stessa generalità eidetica, la quale è nello stesso tempo pre-intenzionata [vor-gemeint] all’inizio della variazione e intenzionata ulteriormente [hinuasgemeint] al di là di ogni enumerazione di varianti individuali: nel corso della variazione tale intenzionamento della generalità si riempie parzialmente sulla base di presentazione immaginativa di oggetti individuali. Così le varianti immaginarie sono, per l’intuizione eidetica, gli analoga di ciò che sono le sfaccettature noematiche dell’oggetto spaziale nella percezione; sfaccettature dell’eidos tramite cui quest’ultimo si espone o si manifesta.

2. C’è una struttura operatoria? Evidentemente sì. Poiché la variazione risposa sulla spontaneità produttrice di immagini analoghe [ähnliche Bilder] — analoghe non semplicemente per il fatto che esse sarebbero simili tra di loro, ma dal momento che esse risultano ricadere sotto lo stesso concetto, dunque manifestano la stessa essenza. [33] Sulla base di una spontaneità tematica mirante ad una generalità si compie un atto di libera produzione [freie Erzeugung] di una molteplicità aperta di varianti; [34] tale produzione spontanea è per l’intuizione d’essenza l’analogon di ciò che è nella percezione spaziale la variazione delle prospettive sull’oggetto in relazione all’io posso motore del corpo animato.

3. C’è una struttura sintetica? Anche in questo caso sì. C’è nell’intuizione eidetica la messa in gioco di una doppia struttura sintetica. Da una parte, la sintesi designa la conservazione dell’afferramento e l’articolazione di una molteplicità di varianti individuali con l’unità di un’invariante eidetica: è un’articolazione dell’Uno e del molteplice in cui l’identità dell’essenza si costituisce tramite un atto di identificazione sintetica sulla base di un ricoprimento progressivo delle varianti multiple. D’altra parte di tratta di una sintesi di ricoprimento tra il senso presunto e il senso convalidato, il concetto tematico e l’essenza vista, la generalità presa di mira e l’oggetto eidetico dato; c’è una sintesi tra i due, nella misura in cui il processo di riempimento è la purificazione di una generalità all’inizio oscuramente presa di mira – ovvero l’attestazione graduale delle determinazioni costitutive di un’essenza appartenente alla sua intensionalità (o comprensione).

Quali sono ora i tratti eidetici la cui trasposizione dall’intuizione esterna all’intuizione d’essenza pone problemi?

4. Il primo consiste nella possibilità di assimilare la convalida del senso e la donazione di un oggetto — l’equazione tra senso riempiente e oggetto. In effetti la variazione eidetica è ciò che permette, a partire da un’intuizione di individui, di enucleare i caratteri [Merkmale] che compongono l’intensione (comprensione) del concetto – dal momento che il carattere del concetto è una proprietà di ogni oggetto che esso sussume. Tuttavia, la convalida di un insieme di caratteri concettuali consiste nella donazione di un oggetto eidetico? La risposta di Husserl a questa domanda si trova nel § 87 di Esperienza e giudizio: l’idea di relazione a un oggetto si fonda qui su un tratto comune ai riempimenti percettivi ed eidetici, ovvero rimanda alla pre-costituzione passiva dell’oggetto spaziale in un caso, dell’invariante eidetica nell’altro. Quest’ultimo è in effetti passivamente pre-costituito [passiv vorkonstituiert], dato tramite un ricoprimento progressivo [fortlaufende Deckung] delle varianti immaginarie secondo dei momenti comuni; [35] i caratteri intensionali dell’essenza non sono prodotti dal soggetto conoscente, ma si impongono a lui dall’esterno, sul modello delle determinazioni dell’oggetto percettivo – sono scoperti dallo sguardo e non costruiti dalla iniziativa teoretica. [36] Il complesso dei Merkmale dell’eidos è esattamente un oggetto (Gegen-stand): ovvero un’unità costante che sta dinanzi alla coscienza e che essa può soltanto scoprire o raccordare, senza istituirla.

5. Il secondo tratto problematico è la struttura d’idea kantiana, ovvero la mancata adeguazione di principio che condanna ad un processo di riempimento indefinito. La donazione di una res extensa è un processo indefinito poiché essa è il polo di un’infinità di determinazioni di momenti o di aspetti senza che una certezza empirica assoluta possa arrestarla. Vale la stessa cosa nel caso dell’intuizione di un’essenza materiale? Due argomenti si oppongono a ciò.

In primo luogo regna un’opposizione tra la contingenza delle generalità empiriche (erba, cespuglio, pesce, balena...) e la necessità a priori delle generalità pure (tempo, spazio, materia): l’intensione dei primi non è mai chiusa poiché non è escluso per principio che un nuovo oggetto arrivi a rivelare delle nuove determinazioni e ad imporre una revisione del concetto; di contro, la specificità delle seconde è data dal fatto che la loro intensione è chiusa in anticipo o a priori, poiché indipendente da ogni confronto diretto con una nuova presentazione d’oggetto. [37] Se la donazione delle essenze empiriche possiede una struttura d’approssimazione e di riempimento indefiniti, di contro quella delle essenze pure è un processo di riempimento finito, saturabile a priori, ove l’evidenza delle regole valide per ogni singolarità sussunta sotto l’essenza rende in anticipo inutile ogni progresso indefinito; l’intuizione delle generalità pure contravviene quindi al modello dell’intuizione inadeguata e votata all’approssimazione all’infinito.

In secondo luogo Husserl afferma nel § 142 di Idee I che ogni categoria d’oggetto in generale, ovvero ogni essenza regionale richiede l’elevazione alla donazione adeguata completa. [38] Ne risulta che, anche se una regione sussume degli oggetti singolari, che non possono essere dati se non in maniera inadeguata, la regione stessa può essere ricondotta all’evidenza adeguata; può esistere una discrepanza tra le strutture rispettive dell’intuizione d’individuo e dell’intuizione di essenza corrispondente. Così l’essenza pura di cosa spaziale o materiale sembra poter essere donata in maniera adeguata sebbene nessuna cosa singolare possa esserlo; l’indefinitezza o la struttura di orizzonte della donazione di cosa individuale non si trasferisce alla donazione dell’eidos, per il fatto che «l’idea di un’infinità per essenza motivata non è essa stessa un’infinità». [39] Certo l’eidos di cosa materiale impone ad ogni percezione individuale una struttura regolatrice e fa della donazione completa un’idea per principio irrealizzabile; tuttavia questo eidos non è un’infinità, ma l’insieme finito dei caratteri del concetto di cosa materiale (o delle proprietà comuni ad ogni cosa). Quindi la struttura regolatrice non è un infinito categorematico che ricorrerebbe ad un’esposizione finita, ma un infinito sincategorematico, cioè la legge di concatenazione e di completamento della percezione di ogni cosa; la donazione dell’eidos, intuizione di un insieme finito di caratteri e di una legge strutturale, può quindi essere adeguata.

In terzo luogo l’ultimo argomento deve essere relativizzato. In effetti esiste in Husserl una tendenza opposta che consiste nel trasferire all’eidos e al suo modo d’intuizione i tratti essenziali dell’oggetto individuale che esso sussume e del suo modo d’intuizione: «così come regna per gli oggetti individuali la distinzione tra oggetti immanenti e trascendenti, nello stesso modo funziona per le essenze corrispondenti». [40] Vi sono quindi delle essenze immanenti e delle essenze trascendenti; le essenze, che sussumono delle singolarità immanenti (per esempio l’eidos del vissuto o delle classi di vissuto), sono esse stesse immanenti, mentre le essenze che sussumono delle singolarità trascendenti (per esempio l’eidos della res extensa, della res materialis, di essere animato, di persona) sono trascendenti. Vi è una trasmissione dei tratti ontologici degli oggetti individuali alle essenze che corrispondono ad esse. Ora, se il carattere trascendente si trasferisce dall’oggetto individuale al suo eidos, l’evidenza di quest’ultimo potrà essere solo inadeguata; la struttura d’approssimazione indefinita della percezione spaziale apparterrà allora proprio ad ogni evidenza eidetica. Tale tesi però non è sostenibile senza difficoltà, dal momento che la coerenza delle tesi husserliane resta qui soggetta a cauzione. Da un lato l’essenza di un oggetto trascendente è trascendente, quindi non può essere data in un’intuizione completa (Idee I, § 60); dall’altro lato, ogni essenza regionale deve poter essere condotta all’evidenza adeguata (Ibid, § 142); infine, ogni generalità pura è suscettibile di un’intuizione a priori ed adeguata che chiude per sempre l’insieme dei suoi caratteri (Esperienza e giudizio, § 86). Dove si situa la verità? Se la prima tesi fosse vera, essa condannerebbe all’incompiutezza di principio la disciplina eidetica deputata ad enucleare i fili conduttori trascendentali della costituzione trascendentale: dell’eidos della res extensa non si potrà mai avere un’intuizione valida dal momento che ogni res extensa è trascendente. Inoltre, non è assurdo attribuire all’essenza le proprietà degli oggetti che essa sussume? Il concetto dell’infinito non è forse un insieme infinito di caratteri? E non è quindi vero ciò che diceva Spinoza allorché affermava che il concetto di cane non abbaia?

In conclusione, esiste qui una tensione tra il paradigma infinitista ereditato dal paradigma del riempimento percettivo e il tratto finitista legato alla riflessione diretta sull’evidenza propria agli eide; la pluralizzazione dei modi di evidenza sconfessa l’unità del paradigma.


IL CASO DELLE INTUIZIONI DELLE ESSENZE MISTE

La seconda classe di essenze è quella delle essenze sensibili mescolate a delle forme categoriali. Noi ne avevamo viste due specie: le idee kantiane raggiunte tramite idealizzazione, il cui paradigma è offerto dalle idealità geometriche materiali (punto, retta, ecc, presi nel loro senso intuitivo in geometria euclidea), e le essenze sensibili congiunte a una forma categoriale (essere-colorato). Limitiamoci alle prime: qual è il modo di riempimento delle idealità punto e retta?

1. Un tratto essenziale delle essenze miste del tipo delle figure geometriche è che esse non sussumono alcuna rappresentazione sensibile singolare e quindi non possono essere rese sensibili in maniera adeguata. Husserl ricorre all’esempio berkeleyano delle figure tracciate sul foglio come ausiliarie o punti di appoggio del ragionamento matematico: un segmento di retta immaginato o tracciato sul foglio non è e non può essere un’esposizione sensibile [Versinnlichung] adeguato della retta, esattamente come un punto visuale scritto non può esserlo per un punto geometrico. [41] Esiste un’irrappresentabilità intuitiva delle figure geometriche le quali hanno lo statuto di limiti ideali o di idee kantiane e non sussumono alcuna figura sensibile. Non avendo nella sua estensione alcuna figura sensibile, un’essenza geometrica non può essere esposta sulla base diretta di immagini sensibili: non vi è qui scarto tra Partialintentionen, aventi di mira le singolarità sensibili prese come esempi, e la Gesamtintention mirante invece alla figura ideale; alcun scarto strutturale tra le ostensioni intuitive e la presa intenzionale dell’essenza, dal momento che questa non può riempirsi sul fondamento di quelle. Se la struttura fondamentale dell’intuizione spaziale qui scompare, possiamo avere ancora una struttura di riempimento progressivo?

2. In positivo: qual è il modo di donazione delle figure geometriche? È puramente discorsivo, perché fondato sull’atto di definizione dei concetti e di deduzione delle loro proprietà? O forse è intuitivo? Il riempimento è intra-teorico, puramente simbolico, legato allo sviluppo geometrico della teoria? O infra-teorico, ovvero legato all’evidenza delle essenze geometriche elementari anteriori ad ogni teorizzazione?

In negativo: dal momento che le essenze geometriche non sussumono alcuna singolarità sensibile, la loro intuizione non può fondarsi sulla convalida immaginativa: una figura (la retta) non è una classe di possibilità immaginarie accessibili alla libera phantasia, ma di possibilità intellettuali accessibili per intellectio; non è quindi la variazione eidetica che permette di accedere a tali eide. In maniera generale, la variazione eidetica non è il metodo di accesso alle essenze miste.

In positivo: nella misura in cui le figure geometriche sono delle idee kantiane, il loro modo di donazione è l’idealizzazione a partire dalle idealità morfologiche:
essa [l’immagine] offre solo l’esempio di forme sensibili di questa specie sensibile, forme che sono i punti di partenza naturali di ogni idealizzazione geometrica [Ausgangspunkte für die geometrische Idealisierungen]. In questo processo puramente intellettuale di pensiero geometrico si costituisce l’idea della figura geometrica che trova la sua realizzazione nel significato fisso preso di mira dall’espressione della definizione. [42]
Prendiamo l’idealizzazione produttrice del punto geometrico, il quale è l’adattamento del modello aristotelico della riduzione nell’ordine delle dimensioni: partendo da una linea tracciata, la si divide con l’immaginazione in segmenti intuitivi sempre più piccoli: tale divisione arriva alla fine ad un minimum visibile, un segno minimale; si prosegue allora in maniera puramente intellettuale il processo di divisione fino a toccare il limite ideale che è l’indivisibile; si pone allora col pensiero questo limite supposto dell’atto intellettuale di divisione, limite di una serie convergente di segmenti inclusi l’uno nell’altro. [43] Quali sono i tratti essenziali di un tale processo di idealizzazione?

3. Essa possiede una struttura sintetica? Evidentemente sì. Visto che il punto geometrico è la «figura intenzionata» [intendiertes Gebilde] dall’inizio del processo, ognuna delle sua fasi implica il rapporto a questo telos ideale; vi è qui una sintesi che raccorda le tappe successive del processo unitario d’approssimazione intuitiva orientata verso l’indivisibile visuale, poi quelle dell’iterazione intellettuale dell’atto di divisione, orientate verso l’indivisibile non intuitivo; poi una sintesi tra l’orizzonte di iterazione della divisione intellettuale e l’oggetto che si suppone lo chiuda. Nulla di sorprendente, poiché la sintesi è la forma originaria di ogni coscienza d’oggetto.

4. Constatiamo la presenza di una struttura operatoria nel processo di idealizzazione? Chiaramente sì e questo sotto la forma di una tripla operatività o spontaneità operatoria dell’io posso: il processo che conduce al punto geometrico in effetti mette in gioco un atto volontario di divisione sensibile che conduce al minimum visibile, poi di divisione intellettuale che ci porta al minimum pensabile e infine di passaggio al limite e di posizione esplicita del limite del processo. La parte della spontaneità operatoria è quindi ancor più grande rispetto al caso dell’intuizione eidetica fondata sul sensibile.

5. Infine e soprattutto, la convalida del senso tramite questi atti successivi deve avere il carattere di una posizione esplicita d’oggetto, di una paradossale intuizione produttrice dell’oggetto ideale grazie al passaggio al limite che si ritiene possa chiudere una sequenza indefinita. C’è per Husserl donazione in carne ed ossa dell’oggetto ideale /punto/ o /retta/ in un’intuizione idealizzante — e questo prima di ogni teorizzazione matematica, prima di ogni atto di definizione intra-teorica e di ogni deduzione di proprietà dell’oggetto. Si tratta di un’evidenza infra-matematica dell’oggetto /punto/, sul quale deve in seguito regolarsi l’atto sintattico di definizione geometrica — il quale precede e fonda quindi l’evidenza degli assiomi ed offre l’oggetto come correlato intenzionale isolato, preliminare a ogni delucidazione di relazioni rispetto ad altre oggettualità geometriche.

Tale evidenza idealizzante pone tuttavia due problemi essenziali. Innanzitutto, per ciò che concerne il carattere stesso della donazione dell’oggetto o del riempimento intuitivo, abbiamo il diritto di chiudere tramite il pensiero un processo indefinitamente reiterabile di divisione o di inclusioni successive? Una sequenza indefinita d’atti può essere fermata da un atto di passaggio al limite che pone un’idea? Si è in tal modo davvero dato un oggetto, o forse è stata effettuata un’ipostasi, pseudo-posizione illegittima? Ricordiamo la reticenza di principio che oppongono Brouwer e gli intuizionisti ad ogni posizione di infinito attuale (foss’anche l’infinito numerabile dell’insieme N dei numeri naturali), [44] così come il concetto di quasi-oggetto tramite cui Carnap designa ciò che non ha lo statuto di singolarità originaria (di oggetto individuale), ma è l’estensione di una funzione proposizionale ad uno o più argomenti. [45] In quanto frutto dell’idealizzazione operata a partire dall’idealità morfologica «superficie di tipo puntuale» il punto non si trova allora ridotto ad un simile pseudo-oggetto?

Riferiamoci ad un testo del 1893, studio preparatorio di Husserl per il suo Buchraum in cui egli esplicita il concetto di idealizzazione [Idealisierung] geometrica: idealizzare significa che quando si raggiunge un minimum visibile e quando ogni pluralità di parti visuali ha smesso d’essere intuitivamente rappresentabile (anschauliche vorstellbar), una diminuzione [Verkleinerung] rimane tuttavia pensabile [denkbar]: si tratta di un’idealizzazione poiché si transita da possibilità reali di divisione intuitiva (effettivamente realizzabili tramite un atto) ad una «perspicacia idealmente acuta [ideale Bedingungen des Sehen]» che noi «creiamo [schaffen]» tramite il pensiero; è una finzione metodologica non realizzabile. [46] Da qui il problema dell’ipostasi o di finzione idealizzante:
un’estensione può ridursi fino a zero, in modo continuo [stetig]. Zero è il punto limite ideale [idealer Grenzpunkt], come il punto-zero dell’intensità. Qui, esattamente come nel caso dell’intensità, zero non significa niente, se non un limite ideale del processo [ideale Grenze des Prozess]. Noi perveniamo continuamente al punto, all’indivisibile. Certo, troviamo qui un’ipostasi [freilich ist das seine Hypostasierung]. Noi poniamo un indivisibile come limite dell’estensione divisibile. Ma con tale concetto ideale [Idealbegriff] noi possiamo operare [operieren] senza problemi. [47]

Le idealizzazioni non sono nulla di arbitrario [nicht Willkürliches], ma sono al contrario in merito alla loro possibilità, fondate sulla cosa stessa. Risulta che lo spazio della rappresentazione deve approssimativamente [angenähert] corrispondere ai concetti ideali della geometria. [48]
In altri termini troviamo qui un’ipostasi, ovvero la posizione di un nuovo quasi-oggetto non intuibile in maniera sensibile, o la convalida di un senso che non può essere riempito in modo intuitivo. Ma tale posizione oggettivante riceve una doppia legittimazione: inizialmente in relazione al rapporto di approssimazione che lega le figure ideali e le forme intuitive – è proprio della costituzione intrinseca delle intuizioni morfologiche il fatto di tendere verso un limite; [49] in seguito una giustificazione operativa, legata alla possibilità di ragionare deduttivamente sulle figure così idealizzate, dal momento che la dimostrazione si sostituisce all’evidenza iniziale della rappresentazione sensibile [50]. Si tratta quindi di una donazione d’oggetto geometrico in senso stretto? Certo, ma a condizione di adottare uno statuto di oggetto che sia lo stretto correlato della dimostrazione di proprietà e di relazioni convalidate sulla base degli assiomi; oggetto, ciò designa unicamente un substrato di proprietà e di relazioni stabilite a partire da proposizioni vere, che sono gli assiomi o delle conseguenze logiche di questi ultimi. [51] Il processo di riempimento ha quindi mutato natura: riempimento discorsivo, e non strettamente intuitivo, dal momento che la donazione di oggetto è strettamente equivalente alla convalida di un senso concettuale tramite la dimostrazione formale di proprietà e relazioni. E il concetto di oggetto designa un nucleo o un substrato tematico mantenuto identico nello sviluppo della teoria: concetto d’oggetto amplissimo, strappato al paradigma della permanenza e della donazione immediata e incarnata nell’oggetto percettivo.

Il secondo problema è quello dell’evidenza infra-teorica dei concetti geometrici elementari: si ritiene che le figure geometriche elementari si presentino in un’intuizione isolata, preliminare rispetto ad ogni posizione assiomatica così come ad ogni dimostrazione intra-teorica, così da normare la definizione del loro concetto; così, i nuclei intenzionali isolati come /punto/, /linea/, /retta/ si danno in persona e in modo originario, in un’evidenza preliminare rispetto ad ogni teoria. È sufficiente, per convincersene, constatare l’ordine che Husserl assegna al «dispiegamento della questione della genesi dell’origine delle rappresentazioni e dei concetti geometrici»: in primis troviamo il problema dell’«origine e del contenuto dei concetti geometrici elementari [geometrische Elementarbegriffe]», poi quello degli assiomi e, nello stesso tempo, dello spazio geometrico. [52] In egual modo Husserl tematizza nell’Origine della geometria un’evidenza originaria che si ritiene precedere quella degli assiomi; [53] ciò significa che i concetti geometrici primitivi non sono semplicemente fissati negli assiomi intesi come definizioni implicite, ma piuttosto che gli oggetti primitivi sono dati in un’evidenza pre-assiomatica, un atto d’idealizzazione delle forme percettive che precede ogni teorizzazione e fornisce a quest’ultima uno sfondo ontologico di idealità disponibili e in seguito determinabili.

Ora, è questo effettivamente il caso? Esiste un’evidenza infra-teorica degli oggetti isolati? Prendiamo l’esempio del punto e della linea. Euclide ne dà la definizione all’inizio del primo libro degli Elementi: «un punto è ciò che non ha parti», «una linea è una lunghezza senza spessore», «i limiti di una linea sono dei punti». Che ne è dell’evidenza che sottende tali definizioni?

Il punto è caratterizzato dalla sua indivisibilità, quindi dalla relazione all’operazione di divisione; ora si tratta o della divisione intuitiva, che non definisce affatto il punto geometrico ma il punto visuale come minimum visibile, o della divisione come operazione propriamente geometrica, che presuppone un dominio di figure e di grandezze geometriche date su cui operare. Il punto non è quindi un nucleo intenzionale isolabile di un dominio operativo pre-offerto, ma è da subito inserito in un sistema di relazioni con altre idealità. Lo stesso accade per la caratterizzazione della linea a partire dalla superficie: la linea di presenta all’altezza della penultima tappa della riduzione progressiva delle dimensioni dello spazio a partire dalla tridimensionalità; viene presupposta quindi la tridimensionalità dello spazio, così come la nozione di dimensione quale grandezza geometrica. L’ordine della genesi si trova così invertito: lungi dall’essere una nozione elementare, preliminare rispetto alla costruzione delle altre nozioni, nello specifico quelle dello spazio, la linea presuppone quest’ultima a titolo di dominio operatorio delle figure ideali della geometria euclidea. Infine, la lista stessa delle «nozioni comuni», lungi dal riferirsi ad un insieme di concetti dati in un’evidenza infra-teorica, inserisce da subito le figure geometriche in un dominio operatorio normato: le grandezze vi sono in effetti caratterizzate dall’eguaglianza transitiva, l’ineguaglianza, la congruenza, la relazione tutto-parti, ecc. [54] Tocchiamo da vicino qui la tesi di Desanti e Caveing — quella del carattere intra-teorico degli oggetti matematici [55]: non c’è donazione degli oggetti geometrici elementari tramite un’evidenza idealizzate isolata e preliminare rispetto ad ogni teorizzazione; gli oggetti /punto/, /retta/ sono da subito definiti in un dominio di idealità (figure geometriche dello spazio euclidea) normato da relazioni (eguaglianza, ineguaglianza, congruenza), da proprietà (posizione, forma, grandezza) e da operazioni (tracciato, addizione, sottrazione, divisione, ecc); l’oggetto non è mai dato in maniera isolata, ma sempre nel seno di un dominio di tematizzazione intra-teorica. È ciò che noi abbiamo già denominato struttura olistica dell’intuizione categoriale. [56]


CONCLUSIONI

Quale conclusione trarre da questa analisi dell’evidenza delle essenze miste? Che evidenza e riempimento non si oppongono più radicalmente alla discorsività e alla deducibilità mediate: essi smettono di designare la donazione diretta e in carne ed ossa dell’oggetto, la possessione piena di un’identità isolata, per rimandare alla tematizzazione progressiva di un’essenza in un dominio globale di idealità, così come alla determinazione delle sue proprietà tramite una via sintattica, formale, deduttiva. Il processo di riempimento viene così a designare il divenire del cantiere della teorizzazione — non più quindi di una semplice idealità primitiva isolata, ma di uno o molteplici domini, secondo molteplici modalità possibili: questa può essere la tematizzazione del dominio detto “naturale” in base al quale si definiscono i concetti elementari (per esempio il continuo geometrico); o l’assiomatizzazione che ne svela la struttura assiomatica e deduttiva; o la messa in relazione paradigmatica con un altro campo (qui con il continuo aritmetico); o la formalizzazione che fa passare ad un livello d’astrazione più alto (qui il passaggio della teoria degli insieme di punti) e può dispiegarsi secondo livelli successivi d’astrazione formalizzante, in cui procede l’esaurimento progressivo del dominio iniziale fino ad un piano puramente categoriale (la teoria astratta degli insiemi).

Le nozioni d’intuizione e di riempimento perdono così ogni univocità. L’idea di Darstellung parziale dell’oggetto globale sotto degli aspetti intuitivamente dati scompare e ciò perché un’idealizzazione mista (e senza dubbio ancora meno un’idealità puramente categoriale) non appare in modo proprio e in carne ed ossa. Il primato dell’oggetto singolare e dell’intuizione delle singolarità svanisce; ad esso subentra ormai la prevalenza dei domini operatori normati e della struttura olistica dell’evidenza. L’equivalenza tra la convalida del senso e la donazione dell’oggetto appare problematica, a meno che non si conservi una nozione minimale di oggetto, ormai assimilato al semplice senso convalidato. Tramite la correlazione la portata ontologica dell’intuizione si rivela del tutto problematica e ciò perché essa non è tanto coglimento di un oggetto permanente, ma cantiere mobile di teorizzazione, condannato a restare sul piano discorsivo. Intuizione e riempimento, presi come nozioni strettamente correlative, cessano quindi in definitiva di confondersi: man mano che ci si eleva lungo i livelli dell’astrazione o della formalizzazione e che si passa dalle essenze sensibili a delle essenze più formali, la consistenza del paradigma dell’intuizione di singolarità spaziale scompare, per lasciare il posto alle modalità differenziate di convalida discorsiva e deduttiva del senso. Senza dubbio l’analisi del modo di evidenza delle essenze puramente categoriali lo confermerebbe.

Ritorniamo alla nostra domanda iniziale: è possibile ampliare, se non addirittura universalizzare, i concetti di intuizione, riempimento e oggetto? È necessario allora constatare che l’idea di ampliamento [Erweiterung] delle nozioni, se non deve essere ridotta ad un atto arbitrario della loro estensione, si scontra con il principio di regionalizzazione dell’intuizione: ogni tipo di oggettualità implica la sua modalità propria di evidenza e tale regionalizzazione dell’evidenza non ne lascia intatto il concetto, così come non lascia intatto l’oggetto in questione. Man mano che ci si eleva dal sensibile al categoriale, l’idea di consistenza (Bestehen) dell’oggetto perde il suo significato realistico di denotazione costante e esterna alla coscienza, per avvicinarsi a delle idee di validità [Geltung] del senso e di consistenza [Konsequenz] di una teoria e di un dominio di idealità — indissociabili dalle procedure di convalida e del cantiere di teorizzazione in divenire. Parallelamente i concetti di intuizione e di evidenza cessano di essere equivalenti all’idea realista di donazione in carne ed ossa dell’oggetto: mai un’idealità è offerta in modo isolato, mai essa si trova ad essere data in senso stretto, ma essa è presa di mira in seno ad un dominio di tematizzazione che resta in corso di convalida e di approfondimento. Senza dubbio tale processo di tematizzazione conserva dei tratti eidetici della percezione spaziale: è un processo incompiuto, indefinito, il punto di fuga del quale resta all’orizzonte: è tuttavia legittimo per questo assimilare le tappe di questa tematizzazione progressiva allo svelamento delle sfaccettature di un oggetto permanente, analogo alle prese percettive sull’oggetto spaziale? Ciò significherebbe forse abusare delle agevolazioni dell’analogia.


[*] Pubblicato la prima volta in Philosophique, Vol. 36, n. 2, 2009, pp. 511-532, con il titolo «L’intuizione è un concetto univoco?». Qui per gentile concessione dell’autore.

[1] Philosophische Monatshefte, n. 30, 1984, p. 168 e sgg.
[2] Husserliana XIX/I, p. 396. Da ora sempre abbreviato in Hua seguito da numero del volume e numero di pagina.
[3] Hua III/I, p. 320.
[4] Hua V, p. 13.
[5] Hua I, p. 90, nonché Hua III/I, p. 344.
[6] Hua III/I, p. 290. «Il concetto di intuizione si traspone dagli atti monotetici agli sintetici».
[7] Hua XIX/2, p. 541.
[8] Ivi, p. 694.
[9] Hua III/I, p. 14.
[10] Hua XIX/I, pp. 43-62, nonché Hua XIX/2, p. 552-572.
[11] Hua III/I, pp. 82-94, 202-209, 330-331, 344-352, nonché Hua XIX/2 pp. 573-574, 571-575.
[12] Hua XIX/2, p. 574.
[13] Hua XVI, pp. 42-60, nonché Hua III/I, p. 82-94 e Hua I, pp. 77-79.
[14] Hua XIX/2, p. 589: «l’oggetto non è dato effettivamente, ovvero esso non è dato pienamente e integralmente così come esso è. Appare unicamente di fronte, solo in prospettiva e per schizzi».
[15] Hua XVI, pp. 49-54, nonché Hua I, p. 84.
[16] Hua III/I, pp. 330-331: «il dato adeguato di una cosa come Idea nel senso kantiano […]. La donazione perfetta della cosa è prescritta in quanto Idea (nel senso kantiano)».
[17] Hua XIX/2, p. 573.
[18] Ivi, p. 574.
[19] Soprattutto in Esperienza e giudizio, §§ 19-20. Da ora sempre abbreviato con EU, seguito dal riferimento al paragrafo.
[20] Hua III/I, 331: ove si parla dell’Idea kantiana di donazione adeguata come «sistema assolutamente determinato di processi indefiniti [System endloser Prozesser] d’un apparire continuo», e più lontano di una «Idea di un’infinità motivata dall’essenza [wesensmässig motivierte Unendlichkeit]» e di un continuo «da ogni parte infinito». Inoltre Hua III/I, p. 347, che riconosce nell’in infinitum un momento essenziale della percezione della cosa.
[21] Hua XIX/2, p. 588, nonché la critica del rappresentante in Hua III/I, pp. 82-208. Troviamo un’eco di ciò anche presso Heidegger, «Bauen, Wohnen, Denken», in Vorträge und Aufsätze.
[22] Noi metteremo qui in rapporto la tesi esposta da Husserl al § 14 della I Ricerca (Hua XIX/1, pp. 56-57) e l’esempio proposto al § 4 della VI Ricerca (Hua XIX/2, p. 550).
[23] Altrimenti la dottrina husserliana non sarebbe che una ripetizione di quella platonica: noi possiamo percepire una statua come statua solo se noi siamo sempre già in possesso dell’idea di statua; il rapporto agli oggetti sensibili sarebbe condizionato dal possesso di un logos preesistente – Cfr E. Levinas, En découvrant l’existence avec Husserl et Heidegger, Vrin, Paris 1982, p. 217 – Tuttavia il senso intenzionale di un oggetto sensibile rivela uno strato pre-logico che non è quello del significato ideale. Se Husserl parla di ampliare a tutta la sfera noetico-noematica il concetto di significato non si tratta di un senso ideale (Hua III/I, p. 285).
[24] Hua XIX/2, p. 590-591. Husserl parla di ideale Erfüllungssynthese.
[25] Hua I, p. 77.
[26] Hua XIX/2, p. 569.
[27] Hua I, p. 82.
[28] Hua XIX/2, p. 713. Husserl parla in effetti di concetti sensibili e categoriali, ma l’analisi vale per le essenze, poiché queste ultime sono solo dei concetti validi per l’intuizione legittimante. Heidegger riprende questa tipologia degli atti di intuizione in Prolegomena zur Geschichte des Zeitbegriffs, § 6d, GA 20 [95].
[29] XIX/2, p. 713.
[30] Hua III/I, p. 155.
[31] In logica, contrapposto ad /estensione/, con tale termine si indica il contenuto concettuale o cognitivo di una o più espressioni linguistiche. In tal caso esso indica il nucleo eidetico permanente che non può subire alterazioni o modificazioni, pur a fronte delle oscillazioni a cui sono soggette, tramite metodo delle variazioni, le diverse formulazioni estensionali che si riferiscono ad esso [NdT].
[32] EU, § 92.
[33] Ivi, § 87.
[34] Ibid.
[35] Ivi, § 87c.
[36] La dottrina husserliana dell’intuizione d’essenza si oppone quindi ad ogni costruttivismo e ad ogni nominalismo. La tesi radicalmente opposta sarebbe quella di Nietzsche: «è necessario che essi [i filosofi] inizino con il fabbricarli [i concetti], crearli, porli e persuadere gli uomini a farvi ricorso [NF, 1884-1885]» o di Deleuze: «la philosophie est la discipline qui consiste à créer des concepts» (Qu’est ce que la philosophie, Minuit, Paris 1991, p. 10). Nei Prolegomena Heidegger scrive in merito alla costituzione tramite atti categoriali «costituire non significa affatto produrre [Herstellen], nell’accezione di fabbricare o confezionare [Machen oder Verfertigen], ma far vedere l’essente [Sehenlassen des Seienden] nella sua oggettualità» [GA 20]. Questo non significa che Husserl accetti i concetti della tradizione: il metodo della Wesensschau consiste al contrario nel testare la loro validità e purificare la loro applicabilità tramite la variazione eidetica, quindi riformando la concettualità tradizionale.
[37] EU, § 86.
[38] Hua III/1, p. 330.
[39] Ivi, p. 331. Husserl parla di presa evidente e adeguata [mit Evidenz und adäquat] dell’idea di cosa.
[40] Ivi, p. 128. A proposito dell’essenza di cosa, cfr Ivi, p. 345.
[41] Hua XIX/I, p. 662. «La figura, secondo il senso geometrico, come si sa, è un limite ideale [ideale Grenze] che non può essere assolutamente mostrata intuitivamente in concreto [Hua XIX/1, p. 70]. Alcun concetto geometrico in generale può essere reso sensibile [versinnlichen] in maniera adeguata. Noi immaginiamo o tracciamo un tratto e nominiamo o pensiamo una retta. E così per tutte le figure. In ogni caso l’immagine serve solo come punto d’appoggio per l’intellectio [nur als Anhalt für die intellectio]. Essa non offre un esempio effettivo [nicht ein wirkliches Exempel] della figura intenzionata».
[42] Hua XIX/1, p. 70 e Hua III/1, p. 155.
[43] Hua XXI pp. 286-287 e 290, nonché Hua XI, p. 146.
[44] Cfr. Brouwer, Intuitionnisme et formalisme, ed fr. par J. Largeault in Intuitionnisme et théorie de la démostration, Vrin, Paris 1992, pp. 21, 43 e sgg.
[45] R. Carnap, Der logische Aufbau der Welt, § 27. [46] Hua XXI, p. 287.
[47] Ivi, p. 290.
[48] Ivi, p. 308.
[49] Ibid.
[50] Ivi, p. 295. La geometria vi è descritta come un dominio deduttivo [Deduktionsgebiet] in cui è ammissibile solo l’evidenza delle prove [Evidenz der Beweise] che trova il suo analogon nell’evidenza dell’intuizione [Evidenz der Anschauung], ovvero delle costruzioni ausiliarie.
[51] Hua III/I, p. 47, nonché Hua XIX/I, p. 106.
[52] Hua XXI, p. 286.
[53] Hua VI, p. 375.
[54] Ivi, pp. 178 e sgg.
[55] Cfr J-T Desanti, La philosophie silencieuse, Seuil, Paris 1975, p. 228, e Les idéalités mathématiques, Seuil, Paris 1968, pp. 238 e 282. M Caveing, Le problème des objets dans la pensée mathématique, Vrin Paris 2004, pp. 77 e 84.
[56] Cfr. il nostro articolo Qu’est-ce qu’une intuition catégoriale de nombre? In J. Benoist et J-F Courtine, Les Recherches Logiques. Une œuvre de percée, PUF, Paris 2003, pp. 172-175.

Abbreviazioni dell’Husserliana:
Hua I, Meditazioni Cartesiane.
Hua III/I, Idee per una fenomenologia pura e una filosofia fenomenologica. Libro I, Tomo I.
Hua V, Idee per una fenomenologia pura e una filosofia fenomenologica. Libro III.
Hua VI, La Crisi delle scienze europee e la fenomenologia trascendentale.
Hua XVI, La cosa e lo spazio.
Hua XIX/I, Ricerche Logiche, Tomo I.
Hua XIX/2, Ricerche Logiche, Tomo II
Hua XXI, Studi sull’aritmetica e la geometria.


Dominique Pradelle (18 marzo 1964), già ancien élève dell’ENS di rue d’Ulm, allievo di Jean-Toussaint Desanti e di Jean-Fraçois Courtine, attualmente professore di filosofia contemporanea all’Université Paris-Sorbonne IV, nonché direttore degli Archivi Husserl di Parigi e directeur-adjoint de l’UMR 8547-CNRS/ Pays Germaniques. Opere principali: L’archéologie du monde – Constitution de l’espace, idéalisme et intuitionnisme chez Husserl, “Phaenomenologica”, n. 157, Kluwer 2000; Par de-là la révolution copernicienne – Sujet transcendantal et facultés chez Kant et Husserl, PUF, Paris 2012; Généalogie de la raison – Essai sur l’historicité du sujet transcendantal de Kant à Heidegger, PUF, Paris 2013.

Edmund Husserl e Carl Stumpf
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