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Dell’unità dell’immaginazione 1
Le immagini appartengono tutte alla stessa famiglia?*

di Philippe Cabestan

(Traduzione di Giuseppe Crivella)



20 gennaio 2018


Contemplo l’incisione di Dürer; [1] poi, abbandonandola, immagino un cavaliere che affronta la morte; infine mi addormento ed ecco che ciò che contemplavo o immaginavo, lo sogno. Messo da parte il soggetto in questione, che cosa hanno in comune questi atti differenti della mia coscienza? L’uno suppone il sonno e gli altri due la veglia. In un caso siamo di fronte ad un foglio di carta ricoperto di tratti neri e iscritto nello spazio della percezione, negli altri due casi la coscienza forma, indipendentemente, sembra, da ogni supporto, un’immagine scelta da lei. Non dobbiamo parlare solo in questi due ultimi casi propriamente di ri-presentazione [Vergegenwärtigung] o, sulla base della traduzione adottata da Sartre, che noi conserveremo in questo studio, di presentificazione? [2] È possibile invocare a fronte di queste condizioni ogni volta una sola e medesima funzione della coscienza? Non bisogna forse al contrario distinguere con attenzione tra una coscienza di immagine a partire da un supporto materiale percepibile nello spazio oggettivo e l’immagine mentale? La spazialità della prima è la medesima di quella della seconda?

E tuttavia, se diciamo /vedere/ o /guardare/ un ritratto, delle fotografie, un’incisione, nessuno dirà che il cavaliere di Dürer è percepito. Né percepito, né significato, ovvero colto a vuoto; dobbiamo allora forse dire che nel sogno, nell’immaginazione come nella “percezione” dell’incisione, il cavaliere è dato in immagine? E con uno stesso movimento, non si deve allora ampliare il campo dell’immaginazione e introdurvi tutte quelle “immagini” che sono il riflesso del mio viso in uno specchio o la superficie dell’acqua, l’ombra di un corpo o di una casa incendiata dalla luce del sole, il viso che io scopro negli arabeschi del tappeto o nelle volute di una nuvola, ecc.?

Nel suo libro L’imagination selon Husserl Maria Manuela Saraiva indica immediatamente quello che costituisce l’interesse e la novità a suoi occhi della riflessione fenomenologica di Husserl in merito all’immaginazione. [3] Egli sarebbe il primo a raccogliere in una sola teoria quelle due specie di immagini che sono l’immagine mentale [Phantasie] e l’immagine fisica [Bildbewusstsein], e ciò grazie alla teoria dell’intenzionalità costituente: è una medesima intenzionalità, una stessa attitudine che costituisce come immagini alcune rappresentazioni interne e certi oggetti del mondo; [4] vi sarebbero quindi delle strutture di base comuni a tutti i tipi di immaginazione che la fenomenologia avrebbe come compito di enucleare. In tal modo Husserl metterebbe insieme due questioni fino ad allora distinte: da una parte una problematica aristotelica secondo la quale l’immaginazione designa un atto psichico determinato mediante una facoltà intermedia tra la percezione e l’astrazione delle idee universali; dall’altra parte una problematica platonica secondo la quale una cosa si dà come immagine di un’altra cosa e rimanda per via di rassomiglianza alla realtà primitiva; è così che nel Timeo o nella Repubblica l’idea è il paradigma e la realtà mondana la sua immagine o copia.

Ma non è piuttosto Sartre a sostenere questa concezione unitaria dell’immaginazione sebbene essa sembri agli occhi di Saraiva il contributo essenziale di Husserl alla teoria dell’immaginazione? In effetti, L’imaginaire studia come appartenenti alla stessa famiglia — che Sartre denomina esattamente La famille de l’image [5] — tanto il ritratto, la caricatura, quanto l’immagine mentale o ancora l’immagine onirica e si impegna a stabilirne in modo essenziale la parentela al fine di enuclearne in tutta la sua ampiezza la funzione immaginante. Tuttavia questo approccio non è così naturale e noi stiamo per vederlo. È possibile identificare l’immagine mentale [Phantasie] e la coscienza d’immagine [Bildbewusstsein], ovvero l’immagine materiale? La spazializzazione dell’immagine, la sua realizzazione o la sua incarnazione non implicano un’alterazione profonda, tramite l’intervento della percezione, della coscienza immaginante? È questo il nocciolo duro dell’opera di Husserl? Seguendo in particolare la prospettiva di Eugen Fink che fu, ricordiamolo, dal 1928 l’assistente privato di Husserl e che rimase fino alla fine di quest’ultimo «il suo collaboratore più stretto», [6] non si devono piuttosto separare profondamente questi due tipi di coscienza? Non abbiamo allora noi a che fare, nel caso della Phantasie come nel caso della coscienza immaginante, con due tipi di presentificazione [Vergegenwërtigung]?

Nati entrambi nel 1905, Fink e Sartre lessero prima della seconda guerra mondiale sia le Logische Untersuchungen, le Ideen I che Sein und Zeit; ed entrambi hanno nel corso del medesimo decennio, 1930-1940, tentato di accostarsi da fenomenologi alla questione dell’immaginazione e della realtà del suo correlato. Fink pubblica nel 1930 nello Jahrbuch für Philosophie und Phänomenologische Forschung XI uno studio consacrato all’immaginazione e alla coscienza d’immagine e qualche anno più tardi L’imagination e L’imaginaire testimoniano della stessa preoccupazione presso Sartre. [7] Ma anche se entrambi si rifanno a Husserl, non si tratta dello stesso autore. Sintomatico della maniera creativa in cui i filosofi si leggono è il fatto che Sartre evoca ne L’imagination, a sostegno della sua concezione unitaria della coscienza immaginante e come suo innesco [amorce] «un passaggio di Ideen I che merita di restare tra i classici» e nel corso del quale Husserl analizza l’apprensione intenzionale di un’incisione di Dürer. [8] Tuttavia, nel corso di quel famoso § 111 di Ideen I, Husserl analizza la contemplazione dell’incisione di Dürer proprio al fine di stabilirne una differenza di importanza capitale, scrive l’autore, tra la modificazione neutralizzante del ricordo che caratterizza l’immaginazione e la modificazione di neutralizzazione applicata ad ogni vissuto posizionale, da cui dipende la modificazione di neutralità della percezione che è costitutiva della coscienza d’immagine. Da parte sua Fink, denunciando «la concezione fatale che interpreta la presentificazione [e quindi la Phantasie] in analogia con una coscienza di immagine», e rimandando a questo stesso paragrafo di Ideen I, intitolato Neutralitätsmodifikation und Phanatsie, [9] rimprovera ad Husserl di non distinguere tra la neutralità del compimento e la neutralità del tenore [Gehalt] e di confondere in tal modo la coscienza di immagine e l’immaginazione. [10] Certo Husserl non ha mai sostenuto la stessa concezione dell’immaginazione e forse non è un caso il fatto che Fink e Sartre siano potuti ripartire da Husserl per sviluppare due fenomenologie dell’immaginazione radicalmente opposte nella misura in cui il secondo cade proprio nell’equivoco che condanna e si sforza di chiarire il primo. [11]

In questo studio vorremmo esaminare l’approfondimento della teoria husserliana dell’immaginazione di Fink e Sartre, interrogandoci prima di tutto sull’unità del concetto di immaginazione: immaginare, sognare, contemplare un’opera d’arte sono atti similari, riferibili tutti ad una medesima famiglia? In un primo momento studieremo la tesi di Fink, poi, in un secondo frangente quella di Sartre; infine tenteremo molto brevemente in sede di conclusioni di situare queste due tesi l’una in relazione all’altra e nella loro comune filiazione rispetto alle ricerche husserliane.


Phantasie e coscienza d’immagine, presentificazione (Vergegenwärtigung) e presentazione (Gegenwärtigung)

Lo studio di Fink consacrato all’immaginazione, Vergegenwärtigung und Bild, è purtroppo essenzialmente incompiuto, o almeno, non ha beneficiato che di una pubblicazione parziale; e la seconda parte, inedita, incontestabilmente la più importante agli occhi dell’autore che numerose volte vi rinvia per la soluzione di varie difficoltà, doveva esporre l’interpretazione temporale-costitutiva della presentificazione e dell’immagine. [12] Tuttavia tale studio resta estremamente ricco, a volte difficile da seguire, ma chiaro, nel suo progetto complessivo. Senza poterne riprendere qui tutti gli aspetti, noi vorremmo più precisamente schizzare e tentare di comprendere la separazione radicale che Fink stabilisce tra l’immaginazione da una parte, nel senso largo, che è nel suo vocabolario sinonimo di presentificazione e di cui l’immaginazione, nel senso stretto, o Phantasie è un tipo, e dall’altra parte la coscienza d’immagine (Bildbewusstsein).

In effetti, mentre la prima rimanda all’ordine delle presentificazioni (Vergegenwärtigungen), la seconda è un atto presentante, una presentazione (Gegenwärtigung). Il piano della prima parte dello studio di Fink manifesta d’altronde senza ambiguità tale rigorosa separazione, proponendo nella prima sezione «un’analisi provvisoria della coscienza d’immagine». Fink vuole delucidare l’equivoco che, pur trovando la sua causa nella struttura dell’immagine, è essa stessa un fatto storico che domina l’interpretazione quotidiana e filosofica della presentificazione e dell’immagine. L’immagine non è una presentificazione. Noi seguiamo qui il cammino di Fink esaminando in un primo momento la Phantasie e il sogno in quanto presentificazione, poi in un secondo momento, la coscienza d’immagine. Precisiamo preliminarmente lo statuto fenomenologico queste analisi.

Fink iscrive naturalmente i suoi lavori «nello spazio della ricerca fenomenologica inaugurata dai lavori fondamentali di Husserl». Ma, lettore attento di Heidegger, Fink situa ugualmente il suo lavoro nel rapporto con certe tesi esposte in Sein und Zeit. A tal proposito, così come nella prospettiva di un confronto del cammino finkiano e della psicologia fenomenologica sartriana della coscienza immaginante, è interessante notare le relazioni che stabilisce Fink tra «l’ontologia dell’uomo», la psicologia, la fenomenologia trascendentale e la psicologia fenomenologica.

Bisogna partire dall’attitudine quotidiana o ordinaria dell’uomo di fronte al mondo — che non è l’attitudine naturale nella misura in cui quest’ultima è l’attitudine appartenente alla natura dell’uomo e costituisce l’essere-uomo stesso [13] — all’interno della quale noi incontriamo di nuovo i fenomeni di presentificazione e d’immagine e ne abbiamo una «comprensione pratica di compimento». Da questa auto-comprensione fattuale dell’uomo risulta un sapere immediato che non è ancora un sapere teorico e che è sufficiente per le esigenze della vita quotidiana. Va da sé che per Fink la psicologia acquisisce la sua dignità filosofica solo liberandosi dall’attitudine quotidiana e dalla comprensione che le è correlativa, sostituendo ad essa un’attitudine teorica interamente nuova che scuote l’auto-comprensione immediata dell’uomo. In breve, la psicologia è una scienza unicamente in forza della formazione dell’ontologia materiale che le corrisponde e, più in generale, in forza di un’ontologia o metafisica dell’uomo. [14] Poiché quest’ultima ha per quadro il mondo, l’analisi fenomenologica la precede necessariamente grazie al suo questionnement a ritroso al di là della mondanità dei vissuti al fine di coglierli nella purezza originaria della vita trascendentale. Fink decompone allora l’analisi fenomenologica in analitica costitutiva dei vissuti stessi e in teoria costitutiva della mondanizzazione [Verweltlichung] del soggetto trascendentale che è eo ipso costituzione della sua finitudine e della sua umanità e da cui risulta l0ontologia dell’uomo. [15]

Ormai noi possiamo situare la psicologia fenomenologica o analitica psicologica dei vissuti: essa coincide, ci dice Fink nello stesso § 3, con «l’analitica fenomenologica dei vissuti nel momento in cui essa non è ancora inclusa nella teoria costitutiva della mondanizzazione». Noi troviamo da un lato il famoso tema del parallelismo, evocato da Husserl a più riprese e in nome del quale Fink dichiara che le analisi fenomenologiche di tale studio sono anche delle analisi psicologiche, nel senso di una psicologia fenomenologica, sebbene esse siano sviluppate in regime riduttivo a partire da una riduzione ad una soggettività egologica e anche se esse dipendono pertanto da una analitica trascendentale. [16] D’altra parte, situata parallelamente all’analitica trascendentale, la psicologia fenomenologica occupa un posto del tutto distinto dalla psicologia tradizionale, se è corretto dire che essa viene dopo l’ontologia dell’uomo, della sua auto-percezione come essenza umana finita, essa stessa posteriore alla fenomenologia trascendentale e alla psicologia fenomenologica. [17] Inoltre tale architettonica, per il posto che essa conferisce all’ontologia dell’uomo, ovvero per Fink all’analitica esistenziale heideggeriana, richiama essenzialmente ed anche se essa le è posteriore, la conferenza di Husserl consacrata alla critica dell’antropologismo heideggeriano. [18] Infine, in ragione del piano riduttivo adottato in questo studio, in altri termini, dal momento che ci si attiene qui alla via detta cartesiana e dal momento che le sue analisi rimangono nel quadro dell’egologia trascendentale, Fink considera queste ultime come provvisorie poiché esse possono essere «trasformate, perfino messe in rilievo, nel passaggio alla problematica intersoggettiva». [19] Questi studi sono quindi incompiuti a causa del loro carattere unicamente egologico, ma non per questo essi rappresentano un interesse minore.


Il possibile e l’immaginario

È l’immaginazione che estende per noi la misura del possibile. [20]

La definizione finkiana delle presentazioni e delle presentificazioni, degli atti presentati e degli atti presentificanti, è a prima vista estremamente ortodossa. Gli atti presentanti non sono soltanto gli atti presenti, ma «tutti gli atti in cui una oggettività intenzionale appare essa stessa, in cui quindi ha luogo una auto-donazione originaria, non modificata, di un essente», [21] e il correlato intenzionale del quale è caratterizzato come presenza-stessa [Selbstanwesenheit], come presentazione [Gegenwärtigung] e non semplicemente come presente. Gli atti presentificanti sono essenzialmente delle presentificazioni di atti presentanti passati o possibili, la cui noesi appare con l’indice presentificato e si dà in se stesso come modificazione [Modifikation] di un altro noema; [22] o ancora, essi possono essere definiti come dei quasi-compimenti d’atti presentanti. Ma Fink modifica profondamente tale prima definizione introducendo la nozione di de-presentazione (Entgegenwärtigung) ed allora egli ci fa comprendere che la presentificazione «non è null’altro che la presentazione di un de-presentificato [eine Gegenwärtigung eines Entgegenwärtigung]». [23]

In questo paragrafo 9, nel corso del quale Fink azzarda l’espressione di de-presentazione, l’autore si interroga su quelle intenzionalità come le ritenzioni, le protensioni [24] e le appresentazioni. Noi non possiamo chiamarle presentificazioni, le quali sono dei vissuti autonomi, dal momento che queste intenzioni sono dipendenti; inoltre la presentificazione presuppone un primo atto presentante rispetto al quale tali intenzionalità sono la condizione; infine, ciò riporterebbe a cadere nell’errore di Brentano, ovvero a non distinguere ritenzione e presentificazione e a considerare il fatto che l’immaginazione in quanto presentificazione, è all’inizio dell’apprensione del tempo. Non si tratta neppure di presentazioni poiché, da una parte esse partecipano alla costituzione del presente vivente, l’archi-impressione del quale è il limite, senza avere unità intenzionale, e non sono degli atti in cui una oggettità intenzionale appare in se stessa; dall’altra parte, ritenzione e protensione, lungi dall’avere secondo Fink il carattere di un presentare [gegenwärtigen] hanno al contrario la funzione originaria di de-presentare [entgegenwärtigen], di allontanare [fernhalten]. Fink scrive:
l’intenzione ritenzionale […] è nella sua essenza la più autentica regressione continua [Fortrückung] di ciò che è impressionalmente cosciente nell’orizzonte del passato. La protenzionalità è nello stesso modo primariamente allontanamento [Fernhaltung]. [25]
Al fine di rimarcare una differenza d’essenza, Fink introduce tale termine di de-presentazione; le «de-presentazioni formatrici di orizzonte» sono quindi un modo di temporalizzazione della temporalità originaria stessa.

Così, a partire dalla teoria della modificazione coniugata con una rielaborazione della nozione husserliana di presentificazione e con un allargamento della sua estensione, Fink porta alla luce «conformemente alla molteplicità degli orizzonti del tempo [nach der Mannigfaltigkeit der Zeithorizonte] nei quali si mantiene a priori la vita attiva presentante [Gegenwartiges Aktleben]» sei tipi fondamentali di presentificazione che egli chiama anche tipi fondamentali dell’immaginazione [die Grundarten der Imagination]: da una parte noi abbiamo la Wiedererinnerung, [26] o presentificazione d’atti presentanti passati che sono caduti nell’orizzonte del passato ritenzionale, studiato nei §§ 10-16, ove la Wiedererinnerung serve in questo studio come filo conduttore per stabilire certi momenti comuni a tutte le presentificazioni; [27] dall’altra parte, le presentificazioni di atti presentanti possibili, cioè la Vorerinnerung, [28] il ricordo del presente e la Phantasie. Nella Vorerinnerung la presentificazione è riferita al futuro in quanto possibile; la Vorerinnerung è la presentificazione dell’atteso potenziale (§ 17); [29] il ricordo del presente [Gegenwartserinnerung] o presentificazione relativa all’orizzonte del presente (co-presentificazione) da cui dipende per esempio il verso (possibile) del libro che io leggo e che co-costituisco in un’appresentazione; [30] il sogno (§ 26) e la Phantasie (§§ 20-23), che vorremmo studiare qui più precisamente, ma per essere esaustivi bisogna indicare qui il sesto tipo: le presentificazioni semplicemente signitive, non suscettibili di intuizione, come ad esempio quella che ci porta a tentare di presentificare un decaedro regolare o una superficie senza colore e le cui intenzionalità costituiscono gli orizzonti di impossibilità intuitive (§ 25). Se, conformemente all’essenza intenzionale delle presentificazioni, l’oggetto preso di mira nella Phantasie non si mostra nella sua presenza stessa in carne ed ossa (in leibhaftiger Selbstanwesenheit [31]), in che modo è possibile allora considerare la Phantasie come una presentificazione e quindi come un atto rinviante, secondo la ridefinizione finkiana della presentificazione, a una de-presentazione [Entgegenwärtigung]? E, nello stesso modo, in quale maniera il sogno si rapporta a uno degli orizzonti qualsiasi del tempo della vita presentante? Noi prenderemo in esame questi due tipi di presentificazione che sono la Phantasie e il sogno — ma i tratti messi in rilievo si applicano mutatis mutandis ai differenti tipi di presentificazione — insistendo sulla loro dimensione temporale che è essenziale agli occhi di Fink.

Il rapporto della Phantasie al tempo e, più precisamente ad un orizzonte temporale originario, non è per nulla manifesto. A quale orizzonte temporale corrisponde la Phantasie? In che modo la Phantasie è una presentificazione, una presentazione o un de-presentato? Noi possiamo già rispondere invocando in maniera generale l’orizzonte del possibile, ma aggiungiamo immediatamente che Fink non ci offre, in particolare nel corso dei §§ 20-24, che un inizio di risposta e che solo la seconda parte inedita dell’opera in quanto interpretazione temporale-costitutiva potrebbe rendere davvero ragione dell’orizzontalità della temporalità che fonda la Phantasie.

Risveglio delle intenzioni d’orizzonte, le presentificazioni possono essere dette in un senso largo coscienza originaria d’accesso agli orizzonti del tempo [32]. Così la Wiedererinnerung diventa la coscienza originaria d’accesso al passato. Per ciò che concerne la Vorerinnerung, il ricordo del presente e la Phantasie ognuno di essi è a suo modo coscienza originaria di accesso al possibile come tale: in ognuno di questi tipi di presentificazione non è mai questione di ciò che è problematicamente, di ciò che può essere e non di ciò che è o di ciò che fu. Dobbiamo allora determinare la sfera del possibile propria alla Phantasie. Fink distingue la Phantasie localizzata e la pura Phantasie. Il caso della pura Phantasie è nello stesso tempo il più semplice e il più oscuro, nella misura in cui, invece di essere riferita al mondo fattuale, la pura Phantasie si muove liberamente, soggiacendo alle sole leggi a priori dell’intuitività in generale, nella sfera del possibile. Ma, si domanda allora Fink, «è essenzialmente necessario che una de-presentazione determinata sia alla base di ogni presentificazione? E quale sarebbe in questo caso la de-presentazione della possibilità pura?». In altri termini, Fink si domanda come collegare la pura Phantasie alla sua concezione della presentificazione e degli orizzonti temporali; e risponde rimandando la questione alle analisi tempo-costitutive che si rivelano necessariamente lacunose.

Nel caso della Phantasie localizzata noi abbiamo a che fare con delle finzioni [Umfiktionen] che modificano delle determinazioni del mondo fattuale dato — possiamo allora considerare, anche se Fink non dice nulla in merito, la pura Phantasie come il limite della Phantasie localizzata, nella quale tutte le determinazioni del mondo dato sono trasformate. Le finzioni sono sia finzioni dell’avvenire, del co-presente ignoto, sia finzioni del presente o del passato. Traendo spunto del personaggio di Jarry, possiamo illustrare i differenti casi presi in esame immaginando che:
  1. Ubu sarà il prossimo capo di stato francese (finzione dell’avvenire).
  2. Ubu è il capo di uno stato qualsiasi di questo mondo (finzione del co-presente ignoto).
  3. Ubu è il capo dello stato francese (finzione del presente).
  4. Ubu fu il capo di stato francese in passato (finzione del passato).
La difficoltà sorge immediatamente: come distinguere nettamente la Phantasie in quanto finzione dell’avvenire e finzione del co-presente ignoto e certe forme di ricordi come la Vorerinnerung e il ricordo del presente che, come abbiamo detto, sono delle coscienze originarie di accesso al possibile? L’ambiguità tra i due tipi di presentificazioni, tra il ricordo del presente e la finzione del co-presente ignoto appare in maniera molto più esplicita quando noi «immaginiamo», o meglio, quando noi presentifichiamo uno stato governato da un malato. Si prenda l’affermazione: /è possibile che domani lo stato sia retto da un malato/; si tratta di una Vorerinnerung o di una finzione d’avvenire?

Ciò conduce Fink a prendere in considerazione due ridefinizioni eventuali della Phantasie. [33] Da principio se ne vuole ridurre l’estensione a partire dall’idea che vi sia finzione solo in relazione a ciò che è e quindi gli orizzonti temporali della Phantasie sono i possibili del presente e del passato. Pertanto le finzioni d’avvenire e del co-presente sarebbero delle Vorerinnerungen e dei ricordi del presente. Ma Fink prende in considerazione anche un’estensione del concetto di Phantasie che si amplierebbe a tutte le presentificazioni riferite a dei possibili e che includerebbe allora Vorerinnerung e ricordo del presente. Infine, per evitare la riduzione come l’estensione evocata, Fink propone di considerare le Vorerinnerungen e i ricordi del presente «non-prefiguranti» come delle Phantasien. Ma questa stessa soluzione non lo soddisfa del tutta a causa della sua relatività, sebbene essa permetta di ritrovare la sua prima definizione di Phantasie.

Ci sembra che sia a partire da queste riflessioni che dobbiamo comprendere la relativa incertezza inerente al carattere posizionale della Phantasie. Fink scrive:
d’abitudine si oppone la Phantasie alle altre presentificazioni come una presentificazione non posizionale. Per ora non ci interessa sapere fino a quale punto la differenza tra presentificazione posizionale e non posizionale è legittima. [34]
Dapprima la Phantasie è esplicitamente opposta in quanto presentificazione non posizionale alle presentificazioni posizionali che sono la Wiedererinnerung, la Vorerinnerung e il ricordo del presente. Infine, in merito alla Phantasie localizzata, rigettando il suo carattere misto, simultaneamente posizionale e non posizionale, Fink dichiara che essa «non è una forma mista di momenti posizionali e non posizionali, ma possiede come totalità un mondo possibile». [35] Se ci si attiene alla definizione della Phantasie come presentificazione del possibile, così come alla teoria husserliana dei caratteri d’essere, [36] bisogna allora ricordare che la negazione non è la soppressione ma la modificazione della posizione e, in maniera analoga, che «il possibile, equivale in se stesso a essente possibile». [37] Altrimenti detto, la Phantasie o presentificazione del possibile è allora necessariamente una presentificazione posizionale. Tuttavia, se andiamo a distinguere rigorosamente la presentificazione pre-figurante e non pre-figurante del possibile, in altri termini, tra un possibile reale e un possibile neutralizzato, la Phantasie sarebbe allora una presentificazione non posizionale. A dispetto della sua parentela in quanto presentificazione con le differenti forme di ricordo e quindi con la percezione, essa conserverebbe allora una singolarità che la distinguerebbe dalle altre presentificazioni. Ci sembra che Fink tenga per buona quest’ultima soluzione a partire dal modo in cui essa deriva dalla concezione dello spazio e del tempo della Phantasie pura o localizzata. In effetti, alla Phantasie pura come a tutte le altre presentificazioni si applica la distinzione tra la vita attuale nel compimento della presentificazione e la vita nel mondo della presentificazione, tra l’ego che compie attualmente la presentificazione e l’ego del mondo della presentificazione. [38] Da questo punto di vista noi non potremmo confondere lo spazio, il tempo e l’ego proprio di ogni mondo, del mondo presentificato o al mondo presente, quali che siano le regole che determinano le loro relazioni e che variano secondo il tipo di presentificazione. Nel caso della Phantasie il tempo e lo spazio del mondo della presentificazione non coincidono con quelli del mondo originario dell’ego reale. Rimandando in merito a ciò alle Vorlesungen, Fink oppone il mondo del ricordo che è, conformemente al suo carattere posizionale, orientato verso il mondo attuale — cosa questa che si applica sia alla Wiedererinnerung e alla Vorererinnerung che al ricordo del presente — e il mondo della Phantasie. Nel primo caso la temporalità e la spazialità del mondo del ricordo si inseriscono in quella dell’ego attuale, di modo che, per esempio, il presente del mondo del ricordo coincida con un punto del passato dell’ego attuale. Di contro, se c’è nel mondo della Phantasie un flusso di presente che scorre, questo tempo «non ha alcuna relazione d’orientazione rispetto a questo presente in seno al quale si costituisce il vissuto della Phantasie». [39]

Tale tesi si applica indistintamente al caso in cui la Phantasie sia localizzata, ovvero quando il mondo della Phantasie coincida con il mondo reale, allorché io immagino — riprendiamo l’esempio di Fink — un uomo sulla luna. [40] In opposizione alle pure Phantasien Fink definisce le Phantasien localizzate come delle «Umfiktionen del mondo dato e fattuale che ne trasformano le determinazioni isolate pur conservando la totalità delle altre». [41] Non bisogna allora dire che il mondo della Phantasie è in parte del mondo reale in parte del mondo immaginario, parti che possiederebbero la loro temporalità rispettiva e che si tratta in tal caso di una forma mista di momenti ponenti e non ponenti, ma piuttosto che la finzione «possiede un mondo chiuso, in sé completamente determinato, nel quale il tenore di determinazione del mondo reale è neutralizzato, ovvero non posto come reale». [42] Localizzato o meno, il mondo della Phantasie possiede il suo proprio tempo completamente immaginario. Pura o meno, la Phantasie possiede il suo proprio tempo e il suo proprio spazio senza che il momento presente dell’immagine e il suo luogo abbiano una relazione qualsiasi di orientazione al presente e allo spazio del mondo reale.

A dispetto della vicinanza tra la Phantasie e il ricordo in generale, più precisamente della vicinanza tra la Phantasie e la Vorerinnerung come ricordo del presente, noi possiamo evidenziare la specificità di questi differenti tipi di presentificazione e definire la Phantasie come una presentificazione non prefigurante di un possibile non neutralizzato. Prima di lasciare il campo delle presentificazioni noi vorremmo prendere in considerazione il caso del sogno.


Il sogno

Se il carattere presentificante e specifico della Phantasie, così come la sua genesi a partire dall’esperienza impressionale e dei suoi orizzonti temporali non vanno da sé, la stessa cosa accade per il sogno, in merito al quale Fink dichiara: «questo paragrafo in cui il sogno è considerato come una presentificazione non può da principio esplicitare tale tesi». Si può inoltre deplorare il fatto che il sogno sia definito «un tipo fondamentale e essenziale di presentificazione» [43] e Fink si limita a darci qualche indicazione, rimandando di nuovo all’analisi tempo-costitutiva e alla fenomenologia genetica nel suo sforzo la preoccupazione di dare consistenza alle sue tesi. Pertanto tale studio si limita a presentare il sogno senza indicarci il tipo di de-presentazione e di orizzonte temporale — in effetti bisognerebbe cercare dal lato del possibile — a cui sarà poi possibile raccordarli. Ci è quindi difficile comprendere realmente il carattere presentificante del sogno e dobbiamo accontentarci di esporre i tratti che esso condivide con le altre presentificazioni. Ma tale sussunzione del sogno sotto la nozione di presentificazione ci concerne nella misura in cui, in un senso, essa tocca la concezione sartriana secondo la quale la coscienza onirica e la Phantasie sono della stessa famiglia e dipendono dalla coscienza immaginante. [44] Inoltre, lo studio del sogno ci permetterà di evidenziare certi tratti caratteristici della Phantasie e delle presentificazioni in generale dal punto di vista della loro irrealtà e della libertà dell’ego.

Il sogno è certo una presentificazione, se è vero che esso presenta tutte le strutture comuni ai differenti tipi di presentificazione. Nello stesso modo si possono distinguere nel sogno il vissuto di sogno e il mondo del sogno, l’ego del mondo del sogno, l’ego svegliato che vive nel suo mondo e l’ego dormente ecc. sul modello degli altri tipi di presentificazione che possiedono sempre la possibilità di una iterazione, cioè di una presentificazione della presentificazione, anche il sogno, dal momento che esso è una presentificazione, è iterabile e le relazioni iterative nel sogno sono le stesse della Phantasie: io posso, per esempio, sognare che sogno o ancora ricordarmi in sogno. [45] Tuttavia, come vorremmo mostrarlo ora, il sogno è un tipo determinato di presentificazione.

È possibile dapprima definirlo come «Phantasie assorbita» [versunkene Phantasie] e tale assorbimento [Versunkenheit] — il più intenso che si possa realizzare nel sonno e nella perdita del mondo — permette di comprendere «l’apparenza del presentare» nel sogno che si trova nello stesso modo nell’allucinazione o in altre forme di immaginazione patologica. [46] In effetti «l’irrealtà» o il carattere del come se della presentificazione — che non bisogna confondere col carattere ponente o non ponente, posizionale o neutralizzato della Phantasie che noi abbiamo esaminato poco sopra — non risulterebbe forse dal contrasto tra il mondo della presentificazione e il mondo originario dell’ego reale, tra «l’intuitività immaginativa e l’intuitività reale»? [47] Secondo Fink la questione si decide sul piano dell’affezione e sulla base del principio in relazione al quale «maggiore è l’assorbimento, più si forma l’apparenza del presentare». In altri termini, maggiore è l’affezione che esercita una presentificazione sull’ego, più debole è l’affezione impressionale del mondo del presente, così come il carattere del come se della presentificazione; reciprocamente, più il mondo reale si impone violentemente, meno l’ego si oblia nella sua presentificazione e l’apparenza del presentare si dissipa nello stesso modo. Così un ricordo può coinvolgerci al punto che l’ego dimentica il suo presente originario, così che il carattere presentificante del ricordo si attenua; ma un colpo di arma da fuoco ci richiama alla realtà, la finzionalità del fictum è allora messa in evidenza; se la condizione del carattere del come se della presentificazione riguarda proprio lo stato di veglia dell’ego, l’apertura dell’ego al suo presente impressionale e il contrasto del presentificato — presentificato neutralizzato, poiché il sogno è Phantasie assorbita — e del presentato, noi capiamo allora che nel sogno tale carattere come se scompare e il sogno viene preso per una presentazione.

È possibile allora sostenere che il sognatore, che è necessariamente un dormiente, sia un senza mondo? Quale è il significato di questa assenza del mondo [Weltlosigkeit] in merito alla quale si interrogano anche sia Sartre che Médard Boss [48]? Il nostro studio in merito offre solo qualche indicazione e ci invita a vaste ricerche; naturalmente tale assenza di mondo non potrebbe essere assimilata a quella della pietra, nel senso in cui Heidegger afferma che la pietra è senza mondo. [49] Essa è, scrive Fink, «un mondo determinato della possessione di mondo» poiché il rifiuto del mondo impressionale è un comportamento in relazione al mondo. Inoltre il dormiente lungi dall’essere senza mondo (nel senso di una «pura e semplice immanenza senza orientazione costitutiva del senso verso il mondo») è assorbita ad un grado estremo nel suo mondo, affermazione che richiama per forza di cose quella quasi contemporanea di Binswanger secondo la quale il sogno e la veglia s’oppongono come la rivelazione al mondo singolare e al mondo universale. [50] E tramite questo mondo, che è il suo mondo, bisogna intendere il mondo dell’ego del mondo di sogno, ego svegliato distinto dall’ego che dorme e sogna.

Il sogno si distingue dagli altri tipi di presentificazione inoltre per la sua passività. In una maniera generale la libertà caratterizza gli atti presentificanti e in particolare quelli della Phantasie. La costituzione originaria del mondo pre-dato nelle percezioni, o archi-costituzione, è passiva e sottratta alla volontà dell’ego che di conseguenza gode di una libertà solo condizionata. Completamente diversa è la libertà dell’ego nel caso delle presentificazioni. In effetti l’ego possiede in tal caso un’intera libertà di messa in scena. Questa da una parte concerne la possibilità di soggiornare più o meno lungamente nel mondo della Phantasie (o del ricordo in un’accezione ampia) inteso come d’altra parte suo tempo. [51] Certo, l’ego non può regolare il tempo dell’esperienza originale che è la velocità del tempo trascendentale del puro flusso di vissuti stesso; non può neppure regolare il tempo del presentificare che, in quanto atto, risulta dallo stesso tempo originario, ovvero dal tempo trascendentale del puro flusso di vissuti. E tuttavia io posso immaginare che una successione si svolga più o meno rapidamente, così come io posso lasciar scorrere un ricordo, ci dice Fink, ora rapidamente ora lentamente.

Ogni volta il tempo rinvia al rapporto tra il tempo del vissuto, del presentificare, e il tempo del mondo della presentificazione, il tempo non orientato del mondo della Phantasie; nello stesso modo il tempo del ricordo designa un rapporto tra il tempo del ricordo e il tempo del rimemorato. Noi ritroviamo in un caso come nell’altro una relazione originaria tra i due tempi la quale determina i termini di rapido e di lento. [52] E anche se Fink non li sviluppa, va da sé che queste stesse analisi potrebbero essere applicate allo spazio. Concependo lo spaziamento come analogo del tempo, potremmo sottolineare la libertà dell’ego nello spaziamento presentificante, sia che si tratti dello spaziamento nel ricordo, sia che si tratti dello spaziamento immaginario: per esempio, mettere Parigi in una bottiglia. L’ego può conferire liberamente a ciò che esso presentifica le proporzioni spazio-temporali della sua scelta.

L’ego però non gode della stessa libertà presso i vari tipi di presentificazione e possiamo sottolineare che essa è maggiore nella Phantasie rispetto al ricordo inteso nel senso ampio delle presentificazioni posizionali in cui l’ego non è libero relativamente al contenuto del ricordo e si trova legato alla ritenzionalità così come alla protenzionalità; mentre il ricordo dipende dall’archi-costituzione, la Phantasie dispone del campo dei possibili e il mondo della Phantasie è la libera creazione dell’ego. Ma, aggiunge Fink, «tale libertà di messa in scena si riduce man mano che l’assorbimento aumenta». [53] In altri termini, in un modo che ricorda la passività della costituzione originaria del mondo pre-dato nelle percezioni, l’ego perde nel sogno la libertà che gli permette nella Phantasie di regolare il tempo, lo spaziamento, il mondo stesso; l’ego non dispone neppure di questa relativa libertà dell’attenzione di cui esso beneficia nella percezione.

Sulla base della confessione stessa di Fink, tale concezione del sogno e della Phantasie come due tipi di presentificazioni solleva non poche difficoltà o almeno meriterebbe d’essere sviluppata e approfondita.

Per ciò che concerne la relazione della Phantasie al possibile, in che senso il centauro che io immagino è possibile? Se è vero che il centauro non si confonde affatto con le presentificazioni signitive — come la superficie senza colore, la cui impossibilità ne interdice ogni intuizione — possiamo ammettere che, sebbene esso sia impossibile secondo le leggi della nostra natura, di fatto il centauro possa essere possibile all’interno di un altro mondo, nel senso in cui Leibniz inquadra altri mondi possibili in seno ai quali ciò che non è possibile nel nostro lì lo diventerebbe? Fink ci dice:
tutte le possibilità sono essenzialmente riferite a un mondo fattuale […], tutti i mondi possibili sono riferiti al mondo fattuale. Ma tale referenza pone all’evidenza un problema difficile. [54]
Inoltre abbiamo forse operato una distinzione rigorosa tra il possibile della Vorerinnerung e del ricordo del presente e il possibile della Phantasie? Infine e soprattutto quale rapporto intrattiene il possibile con l’orizzonte del presente? Se il possibile non è apparentemente una determinazione temporale ma logica, resta da mostrare come il possibile formi un orizzonte temporale originario, in breve bisogna mostrare come riconnettere il possibile al presente in quanto de-presentazione.

Per quanto concerne il sogno, bisogna ricordare che tali analisi sono, secondo Fink, provvisorie e che egli prende in considerazione inoltre, annunciando in tal modo un rovesciamento che egli non esplicita purtroppo affatto, la possibilità di mostrare che il sonno è un modo determinato di presentare [ein bestimmtes Modus des Gegenwärtigens] [55] — e in tal caso Fink si avvicinerebbe curiosamente alla concezione di M. Boss concernente i rapporti del sogno e dello stato vigile — e che l’egoità è solo una proprietà della soggettività sveglia.

A dispetto di queste difficoltà noi abbiamo visto che la Phantasie e il sogno sono distinti l’uno dall’altro dal punto di vista della neutralità, dell’irrealtà, dell’assorbimento e della libertà dell’ego, ma non sono perciò in misura minore due tipi di presentificazione e saremmo quindi tentati di dire, benché Fink non lo espliciti, che sono due tipi particolarmente prossimi: oltre i tratti comuni a tutte le presentificazioni, non solo il sogno è definito come una Phantasie assorbita [versunkene Phantasie], ma, di più il sogno e la Phantasie presentificano, ci sembra, lo stesso possibile: il possibile immaginario in opposizione al possibile reale.


* Saggio apparso in ALTER, Revue de Phénoménologie, n. 4/1996, “Espace et imagination”, pp. 69-122. Per gentile concessione dell’autore. Il saggio di Cabestan è tradotto qui in tre parti. Per la seconda parte clicca qui: Cabestan II. La terza parte verrà pubblicata un seguito.

[1] Incisione del 1513.
[2] Noi ci conformeremo in maniera generale al lessico stabilito in comune per le traduzioni dei testi in lingua tedesca. Una sola eccezione: noi manterremo in questo studio il lemma /Phantasie/ che designa, diciamo, l’immagine mentale, in opposizione all’immagine materiale [Bildbewusstsein], al fine di conservare /immaginazione/ per il termine /imagination/ utilizzato da Fink per i differenti tipi di presentificazione.
[3] M. M. Saraiva, L’imagination selon Husserl, La Haye, Martinus Nijhof, 1970, Pheanomenologica 34, p. 22.
[4] Ivi, p. 55.
[5] J-P Sartre, L’Imaginaire, Gallimard, Paris 1940. Si tratta del titolo del secondo capitolo della prima parte.
[6] Cfr l’articolo di F. Dastur, in La philosophie allemande de Kant à Heidegger, p. 289, sous la direction de D. Folscheid, PUF, Paris 1993. Lasciamo la paginazione delle note delle edizioni originali segnalate da Cabestan. Per quanto riguarda i testi di Husserl rimandiamo invece direttamente ai paragrafi specifici presi in considerazione dell’autore dell’articolo. Tutte le traduzioni dei passaggi di Husserl e Fink sono nostri.
[7] E. Fink, “Vergegenwërtigung und Bild”, in Jahrbuch für Philosophie und Phänomenologische Forschung XI, 1930, Max Niemeyer Verlag. J-P Sartre, L’Imagination, PUF, Paris 1936. Walter Biemel segnala che in un certo senso il lavoro di Roman Ingarden, Das litterarische Kunstwerk, apparso nel 1931, è all’origine del testo di Fink, dal momento che Husserl era così interessato alla riflessione di Ingarden da aver assegnato a Fink come tema della sua dissertazione dottorale l’analisi dell’immagine, cfr W. Biemel, “Réflexions sur l’interprétation di Bild par Roman Ingarden”, in La part de l’œil, Art et Phénoménologie, n. 7, 1991.
[8] J-P Sartre, L’imagination, cit., p. 149.
[9] E. Husserl, Ideen zu einer reinen Phänomenologie und Phänomenologischen Philosophie. Opera in 3 volumi normalmente ctati come Ideen I, II, III. Qui Ideen I, § 111.
[10] E. Fink, “Vergegenwërtigung und Bild”, cit., pp. 85 e 71.
[11] Ivi, p. 16.
[12] Ivi, p. 33. È possibile tuttavia, come lo segnala D. Franck nell’avvertimento che precede la traduzione, trovare in Das Spiel als Weltsymbole, una propaggine di questo studio. Saremo tuttavia un po’ delusi dal momento che tale testo studia, per quanto ci concerne, solo il carattere di irrealtà del sogno. E così, poiché il ludico è una categoria del fare-come-se e più precisamente, come vedremo, poiché esso suppone una neutralizzazione del contenuto che si incontra, in egual modo nella coscienza d’immagine la questione del gioco e dell’immaginazione di riuniscono.
[13] Ivi, p. 25. Quando Fink denuncia la confusione delle nozioni husserliane di attitudine naturale e di attitudine quotidiana, egli non introduce una distinzione che gli sia propria, sebbene non vi sia il problema della descrizione dell’attitudine naturale di Ideen I (sezione 2, capitolo 1). Ideen II in effetti distingue nettamente due attitudini naturali: l’attitudine naturalista e l’attitudine pesonalista, ed è quest’ultima ad essere detta attitudine quotidiana, attitudine nella quale «noi siamo in ogni momento, quando noi viviamo insieme […], quando noi siamo in rapporto gli uni con gli altri, nell’amore e nell’avversione, il sentimento e l’azione, la parola e la discussione» (Ideen II).
[14] Ivi, pp. 22-23.
[15] Ibid.
[16] Segnaliamo che Derrida ne La voix et le phénomène consacra non poche pagine della sua introduzione alla questione della psicoanalisi fenomnologica e al tema del parallelismo. Nello stesso modo cfr l’articolo di J. Benoist, “Sujet phénoménologique et sujet psychologique”, in Autour de Husserl, Vrin 1994, p. 160.
[17] E. Fink, “Vergegenwërtigung und Bild”, cit., p. 27.
[18] In questa conferenza del giugno 1931 Husserl dichiara: «la fenomenologia originaria, maturata in fenomenologia trascendentale, rifiuta alla scienza dell’uomo, qualunque essa sia, ogni partecipazione alla fondazione della filosofia e combatte a titolo di antropologismo di psicologismo ogni tentativo che vada in tal senso», cfr Husserliana XXVII, Vorträge und Aufsätze (1922-1938). In tal modo, ciò che Fink chiama ontologia dell’uomo non potrebbe prendere il posto della fenomenologia trascendentale ed è la ragione per la quale la questione del senso esistenziale dell’immaginazione concernente l’insouciance dell’immaginazione nonché la questione di sapere se l’immaginazione sia o meno interamente situata nell’arbitrarietà dell’ego e se l’ego possa astenersi o meno da ogni immaginazione prende posto nella teoria della costitutiva della mondanizzazione [Verweltlichung] o ontologia dell’uomo, e quindi dopo l’analitica fenomenologica (o psicologica) dei vissuti. Sottolineiamo che, in maniera analoga, Sartre si pone esattamente la stessa domanda al termine della sua psicologia fenomenologica della coscienza immaginante: «la funzione di immaginare è una specificazione contingente e metafisica dell’essenza “coscienza”, o al contrario essa deve essere descritta come una struttura costitutiva di questa essenza? Altrimenti detto: si può concepire una coscienza che non sappia immaginare?» cfr J-P Sartre, L’imaginaire, cit., p. 344.
[19] E. Fink, “Vergegenwërtigung und Bild”, cit., p. 31. L’egologia trascendentale, dice l’autore, precede «in quanto apertura dell’archi-fondamento, ogni dispiegarsi della intersoggettività trascendentale» (§ 4). Che Fink evochi la necessità di una riduzione non cartesiana che si estenderebbe al di là della sfera dei dati assoluti e che ridurrebbe non solo i vissuti attuali dell’io nel suo ora puntuale, ma anche i vissuti inattuali, non può sorprendere in un testo ove la prima parte è consacrata ai differenti tipi di presentificazione che si articolano, come vedremo, secondo la molteplicità degli orizzonti di tempo, ovvero per Fink, secondo la molteplicità delle de-presentazioni. Sulla riduzione intersoggettiva, cfr F. Dastur, Husserl, riduzione e intersoggettività, pp. 58-64.
[20] J.J. Rousseau, Emile, in Œuvres complètes, Paris, Gallimard, Pléiade t. 4, p. 304.
[21] E. Fink, “Vergegenwërtigung und Bild”, cit., p. 35.
[22] Fink definisce la presentificazione come presentificazione di atti presentanti passati o possibili. Così il ricordo del passato è relativo a un atto presentate passato. In compenso, nel caso della Phantasie abbiamo a che fare con la presentificazione di un atto presentante possibile.
[23] Questo concetto di /de-presentazione/ – in Entgegenwärtigung bisogna intendere l’elemento /ent-/ come in enthüllen in cui hüllen significa velare e enthüllen svelare – si incontra nella Krisis di Husserl, § 54b. Husserl scrive: «l’auto-temporalizzazione, per così dire per depresentazione (per Wiedererinnerung), ha il suo analogo nella mia alienazione [Entfremdung] (entropatia in quanto depresentazione di ordine superiore, depresentazione della mia archi-presenza in archi-presenza rappresentata)». L’uso di Husserl del termine depresentazione è così commentato da Depraz: «Husserl si serve del termine /depresentazione/ per caratterizzare l’auto-temporalizzazione stessa, caratterizzandola però con un “per così dire”, sia per sottolineare il carattere insolito della nozione, sia per indicare che egli prende questo concetto da Fink». Noi non possiamo prendere posizione in merito a questa alternativa. Se noi abbiamo la sensazione che Fink dia essenzialmente forma a ciò che in Husserl si trova allo stadio embrionale, bisognerà studiare da questo punto di vista i manoscritti sul tempo, ovvero i Bernauer Manuskripte, le Analysen zur passiven Synthesis o i manoscritti del Gruppo C.
[24] Riprendiamo qui i termini /ritenzione/ e /protensione/ direttamente dalla traduzione italiana di E. Husserl, Per la fenomenologia della coscienza interna del tempo (1893-1917), a cura di R. Boehm, ed it a cura di A. Marini, Angeli, Milano 1981 [NdT].
[25] E. Fink, “Vergegenwërtigung und Bild”, cit., p. 38.
[26] Cabestan traduce in francese con /re-mémoration/. Noi preferiamo lasciare il termine in tedesco per tutto il prosieguo del testo [NdT].
[27] Bisogna distinguere tra la Wiedererinnerung et lo Erinnern.
[28] Cabestan traduce in francese con /pro-souvenir/. Noi preferiamo lasciare il termine in tedesco per tutto il prosieguo del testo [NdT].
[29] Fink propone l’esempio seguente: «io gioisco di nuovo per il fatto di rivedere qualcosa. In questa gioia io mi raffiguro quello che sarà. In questo momento non c’è ancora un ri-vedere; non ne ho che un’anticipazione, e questa anticipazione della presenza del ri-vedere è situata nel mondo della Vorerinnerung. Nella Vorerinnerung è ora presente ciò che in verità non è ancora», cfr E. Fink, “Vergegenwërtigung und Bild”, cit., p. 54.
[30] Ivi, §§ 18-19. Il ricordo del presente si raccorda all’esplorazione dell’orizzonte del presente aperto e quindi non percepito, alla totalità mondiale della presenza e tale esplorazione può essere quindi «esplorazione» semplicemente rappresentata come avviene nel caso in cui io mi rappresenti il verso dell’oggetto che guardo.
[31] Ciò non vale tuttavia per la Wiedererinnerung che, tra le presentificazioni, occupa una posizione unica dal momento che essa è la sola presentificazione auto-offerente nel senso in cui la Wiedererinnerung è il modo originario nel quale il passato può mostrarsi in carne ed ossa.
[32] Certo, la coscienza originaria, nel senso più originario, significa unicamente la coscienza presentante (p. 72); ma la presentificazione è proprio coscienza originaria nella misura in cui tramite essa «qualcosa in quanto tale viene esibito», in cui essa si permette l’accesso a qualcosa, che si tratti del passato o del possibile.
[33] E. Fink, “Vergegenwërtigung und Bild”, cit., § 20, p. 61.
[34] Ivi, p. 60.
[35] Ivi, pp. 43, 62 e 67.
[36] E. Husserl, Ideen I, §§ 103 e sgg.
[37] Ivi, § 104.
[38] E. Fink, “Vergegenwërtigung und Bild”, cit,, § 11.
[39] Ivi, pp. 60-61.
[40] Sarebbe meglio scegliere Marte o Sirio, al fine di evitare oggi ogni equivoco con la Wiedererinnerung.
[41] E. Fink, “Vergegenwërtigung und Bild”, cit., p. 61.
[42] Ivi, p. 62.
[43] Ivi, § 26, p. 77.
[44] Possiamo notare rapidamente che Fink, anche se rimanda per la giustificazione alla seconda parte, rigetta con lo stesso vigore di Sartre, la tesi di un’indiscernibilità tra il sogno e la veglia: «la questione corrente in merito alla possibilità di sapere se in ultimo la presentazione [das Gegenwärtigen] non sarebbe un sogno da cui io potrei risvegliarmi è un’assurdità di principio» (p. 81). Ma l’argomento scettico non perde la sua forza: il fatto che si possa distinguere lo stato di veglia da quello onirico non elimina in nulla la questione del carattere illusorio o meno (di uno) di questi due stati.
[45] Tale affermazione non contraddice in nulla la tesi sartriana in base alla quale la coscienza onirica non può ricordare; il sogno supporrebbe il risveglio e il ritorno alla realtà da cui dipende allora che la coscienza onirica sia prigioniera dell’immaginario, poiché i ricordi presi in considerazione da Fink sono dei ricordi immaginari.
[46] Assorbimento e apparenza del presentare che Sartre studia ugualmente ne L’imaginaire allorché egli s’interroga sulla «captivité» della coscienza onirica o della coscienza allucinatoria.
[47] E. Fink, “Vergegenwërtigung und Bild”, cit., pp. 69-70.
[48] Cfr J-P Sartre, L’imaginaire, cit., pp. 254, 261, 322 e 329. M. Boss, Es träumte mir vergangene Nacht, Verlag Hans Hubert, Berne 1975.
[49] Cfr M. Heidegger, I concetti fondamentali della metafisica. Mondo, finitezza, solitudine, a cura di Angelino e Coriando, Il Melangolo, Milano 1992: «la pietra è senza mondo, l’animale povero di mondo, l’uomo configuratore di mondo». Risorge di nuovo la discussione delle tesi heideggeriane, cfr Sein und Zeit, § 12 e più precisamente l’analisi dell’essere-al-mondo come costituzione fondamentale del Dasein. E si può ancora sottolineare che, lungi dal riprendere le analisi heideggeriane, Fink segnala la sua distanza definendo l’assenza di mondo [Weltlosigkeit] del dormiente «attraverso un aver perduto il mondo a partire dal possesso del mondo», come se egli vedesse, sembra, l’avere un mondo e l’essere-al-mondo come sinonimi e rifiutasse di riconoscere l’essere-al-mondo come costitutivo dell’essere della coscienza, cose che si accorderebbe con la sua concezione della mondanizzazione e della ontologia dell’uomo; per Heidegger «l’avere in base alla sua possibilità riposa sulla costituzione essenziale dell’essere-al-», E. Fink, “Vergegenwërtigung und Bild”, cit., p. 91.
[50] L. Binswanger, Le rêve et l’existence, p. 223, articolo del 1930.
[51] In italiano nel testo [NdT].
[52] Ivi, p. 68.
[53] Ivi, p. 80.
[54] Ivi, p. 73.
[55] Ivi, p. 79.


Philippe Cabestan, Professore per le “Classes préparatoires aux Grandes Ecoles” (CPGE) a Janson-de-Sailly, membro degli Archivi Husserl di rue d’Ulm. Le sue ricerche vertono principalmente su questioni di fenomenologia, antropologia e psicanalisi. Tra le sue tante pubblicazioni ricordiamo: Le vocabulaire de Sartre (con A. Tomès, 2001), Qui suis-je? Sartre et la question du sujet (2015), Introduction à la phénoménologie (2017).

Gregory Mazurovskj , «Les trois Miroirs», 1990
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