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La concezione merleau-pontiana dell'inconscio nei manoscritti tardi [*]
di Emmanuel de Saint Aubert
(Traduzione di Elisa Lucarelli)
14 febbraio 2023
Originale ed audace, la concezione che Merleau-Ponty ha dell'inconscio è un momento culminante della sua fenomenologia ed implica degli assunti essenziali tanto della sua antropologia quanto della sua ontologia; indissociabile dalla sua teoria del primato della percezione ma anche dalla sua filosofia della chair, questa concezione conduce al cuore della sua comprensione del nostro essere-al-mondo. L'insieme degli inediti tardi che vanno a costituire le Notes sur le corps si rivelano essere, a questo proposito, un documento di capitale importanza.
Riteniamo opportuno affrontare questa tematica cominciando da una ricostruzione d'insieme che segue l'evoluzione del filosofo: si profila un percorso connotato da un primo movimento in negativo (la critica agli attributi assolutizzanti della coscienza, ma anche dei nostri errori relativi alla concezione dell'inconscio), destinato però a culminare poco a poco in una descrizione positiva.
Attraverso questa dinamica, e all'interno dei suoi orizzonti, si acquisisce progressivamente la consapevolezza dell'originalità dell'approccio di Merleau-Ponty: la sua concezione dell'inconscio va ben oltre una recezione della psicoanalisi, poiché essa è orientata da un interesse che inerisce all'intenzione filosofica stessa dell'autore; un'intenzione che si situa al di qua del rapporto (comunque ricco e costante) con la psicoanalisi [1] e che determina una ricezione parziale e un'interpretazione piuttosto libera di quest'ultima. Questo interesse si radica in quello che abbiamo definito scenario (anti)cartesiano di Merleau-Ponty [2]; il suo dispiegamento chiama in causa l'intero lavoro del filosofo: dalla fenomenologia della percezione al suo lavoro più tardo sull'espressione e l'immaginario, che sfocia nella delicata questione dei rapporti tra chair e essere .
Nelle rappresentazioni comuni, siamo portati ad immaginare l'inconscio come il contenitore di un contenuto, come un magazzino di stoccaggio, che può essere più o meno chiuso e sigillato, tagliato fuori e che un'istanza esteriore, quale la coscienza, potrebbe, in determinate condizioni, penetrare ed esplorare, facendolo così passare dall'interno all'esterno. Certo, l'inconscio è anche rappresentato come dotato della facoltà di esprimersi (di passare dall'interno all'esterno), ma questa espressione resta selvaggia e incontrollata, ossia distruttrice in altre parole, essa non edifica il nostro essere-al-mondo, non edifica un vero legame con l'altro.
Merleau-Ponty mira a rovesciare questa prospettiva, questa messa in scena dell'inconscio, che è piuttosto una messa in scena della coscienza contrapposta all'inconscio. Nei manoscritti tardi, semplificando i termini, la coscienza diviene autistica, cieca, mentre l'inconscio si fa portatore degli aspetti più positivi, se non i più espressivi e fecondi del nostro essere-al-mondo, esso partecipa al contempo sia di ciò che c'è di più primitivo sia degli aspetti più raffinati della nostra relazione con il mondo, con l'altro e con l'essere: l'inconscio, riconsiderato alla luce dei fondamenti della nostra istituzione corporea e dell'intercorporeità che la struttura, non è né collettivo né anonimo, bensì personale e interpersonale.
1. Le riforme merleau-pontiane della coscienza
Il famoso «primato della percezione» è indissociabile dall'infinito dibattito critico sulla nozione di coscienza, all'interno del quale il fenomenologo ha tentato di svilupparne una concezione positiva, senza però mai raggiungere un risultato definitivamente stabile. Le infelici avventure della coscienza in particolare della «coscienza percettiva» finiscono per lasciare il posto , negli ultimi manoscritti, ad un'opposizione radicale ed irriducibile ad essa, come se Merleau-Ponty avesse dimenticato che la coscienza non è un fenomeno monolitico .
Come è dunque possibile che il filosofo sia passato dal tentativo positivo di Phénoménologie de la perception che voleva ripensare in termini nuovi la coscienza al di fuori del regime della rappresentazione [3], come «l'essere in rapporto alla cosa grazie alla mediazione del corpo» [4] alla condanna in blocco che emerge, al polo opposto dell'opera, in una famosa Nota di lavoro del maggio 1960, che descrive una coscienza cieca, incapace di vedere «il suo legame con l'Essere (...) la sua corporeità (...) la chair», una coscienza che «per principio disconosce l'essere a vantaggio dell'oggetto, cioè un Essere con il quale ha rotto i rapporti» [5]?
Non miriamo, in questa sede, a ricostruire tutti i meandri delle infelici avventure della coscienza, ma vorremmo piuttosto indagare rapidamente il gesto filosoficamente fecondo che le attraversa e le oltrepassa e porta progressivamente ad emergere la nozione d'inconscio, poiché le riforme merleau-pontiane di coscienza fungono in maniera eminente da preparazioni, se non da anticipazioni, della sua futura concezione di inconscio.
a) «L'origine della posizione ingenua»
Ricordiamo la formula di Phénoménologie de la perception: «la coscienza è l'essere in rapporto alla cosa grazie alla mediazione del corpo» come vedremo, l'ultimo Merleau-Ponty potrà scrivere all'incirca la stessa definizione, ma attribuendola, a questo punto, non più alla coscienza ma all'inconscio. Essere in relazione alla cosa grazie alla mediazione del corpo che è evidentemente più di un semplice intermediario fa riferimento a tutto un programma fenomenologico, all'interno del quale il riferimento di Merleau-Ponty ad Husserl disvela tutta la sua fecondità; ma che si radica al di qua di esso, proprio in quel progetto di tesi del 1933 che, senza alcun riferimento ad Husserl o alla fenomenologia, si intitola «La letteratura recente sulla percezione del corpo proprio» [6]. In questo momento Merleau-Ponty pensa al Journal de métaphysique pubblicato da Gabriel Marcel nel 1927, nonché al suo famosissimo Je suis mon corps [7].
Merleau-Ponty riprende questa espressione, in senso più ampio, sviluppando la tematica della percezione del corpo proprio in un articolo del 1936, dedicato proprio a Être et avoir di Marcel [8]: Je suis mon corps si oppone nettamente al cogito ergo sum, al Cogito dunque di stampo cartesiano, ed il giovane filosofo chiosa:
le Cogito est bien loin d'être la première vérité, la condition de toute certitude valable. La racine de l'affirmation ingénue, c'est plutôt la conscience de mon corps qui sous-tend peut-être toute affirmation d'existence touchant les choses. «L'incarnation, donnée centrale de la métaphysique», «elle est la donnée à partir de laquelle un fait est possible (ce qui n'est pas vrai du Cogito)» [9].
Dal Je suis mon corps, dalla coscienza del mio corpo che sottende ogni giudizio di esistenza sulle cose (1936), alla coscienza come «essere in rapporto alla cosa grazie alla mediazione del mio corpo» (1945), è già percepibile un avanzamento teorico: l'affermazione ingenua non è più Je suis mon corps che «è questo», ma si è trasformata in «è questo» indissociabile dalla mia apertura corporea al mondo, un'espressione intra-linguistica che costituisce un'unità con l'espressione corporea.
Quando Merleau-Ponty, come vedremo in seguito, parla negli ultimi manoscritti, non più della coscienza, ma dell'inconscio come di un «si» [on] e di un «si iniziale», sta riproponendo una riscrittura di questa affermazione ingenua: la sua risposta al Cogito è, a partire da «la coscienza del mio corpo», passando per «l'essere in relazione alla cosa grazie alla mediazione del mio corpo», fino ad arrivare all'inconscio come «si iniziale», la riproposizione del medesimo gesto filosofico, gesto che nel corso del tempo si è approfondito in maniera considerevole.
b) Un essenziale margine d'inattenzione
Nel corso del tempo, ciò che interessa Merleau-ponty è sempre meno ciò che la coscienza apporta, che essa dà, rispetto a ciò che ad essa manca e che ad essa sfugge; un'incompletezza costitutiva, essenziale al suo funzionamento, un punto cieco su se stessa [10], un margine d'inattenzione necessario affinché si produca un qualcosa d'altro rispetto alla coscienza e di cui essa non può darci conto. Dalla lezione inedita dei corsi tenuti a Lyon nel 1947-1948, intitolati Les sens et l'inconscient [11] è chiaro che questo «margine d'inattenzione, che non è un supplemento, ma un elemento essenziale» è proprio «ciò che Freud chiama erroneamente inconscio » [12].
Ciò che dice qui Merleau-Ponty dell'inconscio, influenzato dalla Gestalttheorie, è frutto di una formulazione abbastanza diffusa, che va però dissolvendosi attorno agli anni '50; un approccio di questo tipo inficia profondamente quello di Freud (forse snaturandolo essenzialmente): esso infatti tende ad includere l'inconscio nella coscienza percettiva, assimilandolo ad un fenomeno d'impercezione.
c) Il mondo sensibile e il mondo dell'espressione
È necessario evocare un'ultima tappa fondamentale nelle riforme merleau-pontiane della coscienza e di ciò che esse introducono, rendendo così possibile la sua concezione dell'inconscio: il primo corso al Collège de France, Le monde sensible et le monde de l'expression (1953); mi limiterò qui a qualche accenno, rimandando per maggiori informazioni alla prefazione redatta per l'edizione di questo corso [13].
Il corso, nel suo complesso, assume come orizzonte di riferimento esplicito una riforma della nozione di coscienza che oscilla tra la rivendicazione di un rinnovamento e quella di un definitivo abbandono. Merleau-Ponty nel corso delle lezioni denuncia gli aspetti disincarnati e statici degli approcci classici della coscienza: una coscienza che contempla i suoi oggetti, li possiede attraverso un atto esplicito di intenzionalità, ma tratta anche se stessa come un oggetto, si possiede come coscienza in quanto tale davanti alla riflessione; una coscienza siffatta si trova in un rapporto ambiguo con le cose: è totalmente priva di legame con esse (sia per eccesso di distanza che per eccesso di prossimità), ma è piuttosto in una relazione (fusiva) con le cose. Per Merleau-Ponty, invece, si tratta di ritrovare la coscienza come apertura e relazione apertura e relazione effettive saranno, più tardi, proprio gli attributi dell'inconscio.
Il corso del 1953 si prefigge dunque di risalire alla coscienza percettiva e di tematizzarla come rapporto espressivo, che si sviluppa in una relazione di reciprocità, in un rapporto d'essere, e non più in un semplice rapporto unilaterale di possesso, d'avere. Merleau-Ponty riprende così tutto quel fascio di questioni a partire da cui si erano sviluppate le riflessioni sullo schema corporeo, compreso nella sua portata antropologica complessiva, «strato esistenziale» che struttura la nostra apertura al mondo e l'orienta immediatamente nel senso dell'intercorporeità e della coesistenza; lo schema corporeo non è veramente cosciente di se stesso, esso «non è percepito» e la sua comprensione implica una «revisione della nostra nozione di coscienza» [14].
«Meno strumento di percezione che strumento di azione» [15], il corpo percepisce se stesso nella misura in cui sono attivi i suoi processi motori e desiderativi: «la coscienza del nostro corpo dipende strettamente da ciò che noi facciamo» [16], anche se questa coscienza si possiede soltanto attraverso un'espressione per cui, paradossalmente, finisce col perdere se stessa, non raggiunge mai la perfetta quadratura data dalla riflessività, poiché tale coscienza è vincolata a se medesima nella modalità stessa della sua apparizione.
Nel complesso, il corso del 1953 descrive una coscienza intessuta di fenomeni d'impercezione [17] e di proiezione [18], che nasce dal rapporto espressivo tra il corpo e il mondo, che consiste soltanto in questa costatazione e sfugge a se stessa non appena l'abbandona. Merleau-Ponty mette così in luce il carattere illusorio delle appropriazioni della coscienza, ciò che resiste al suo desiderio di appropriazione (delle cose) come ciò che le impedisce di appropriarsi di se stessa a vantaggio dello spossessamento che, ancora una volta, apre la via alla descrizione futura dell'inconscio.
2. Ciò che l'inconscio non è
a) Tre errori di concezione
Analizziamo ciò che Merleau-Ponty dice dell'inconscio, non più indirettamente, cioè attraverso i suoi tentativi di riformare la nozione di coscienza che la avvicinano all'inconscio, finendo per dissolverla ma direttamente ed esplicitamente; cominciamo dunque dall'aspetto più semplice: stabilire ciò che l'inconscio non è.
Merleau-Ponty stigmatizza costantemente tre errori fondamentali nella concezione dell'inconscio:
I. In primo luogo l'inconscio, a suo avviso, è un termine mal costruito: l'inconscio non è inconscio, nell'accezione di non-cosciente [19]; in senso più ampio, esso non è negazione, non è «non è», né tanto meno è il semplice negativo della coscienza o ciò che posso negare [20]; soprattutto l'inconscio non può essere ridotto ad una formazione secondaria e di reazione, all'inconscio come ambito della rimozione [21].
II. Queste considerazioni ci conducono già ad analizzare la seconda concezione erronea: l'inconscio non è un serbatoio di contenuti, una sorta di pattumiera del rimosso; non è riducibile ad un risultato, un prodotto, un accumulo ad un ricettacolo di residui della coscienza (di ciò che avrebbe potuto o avrebbe dovuto permanere in essa). In qualche misura si dovrebbe considerare l'inconscio più come una facoltà che come un prodotto; ma nemmeno questa concezione si adatta perfettamente a ciò che stiamo descrivendo, sia perché ci si esporrebbe al rischio di ricadere nel terzo errore, sia perché l'inconscio copre un campo più vasto di una semplice facoltà: esso è coestensivo al nostro essere-al-mondo.
III. Infine, la terza concezione erronea criticata costantemente da Merleau-Ponty fa dell'inconscio una secondo Io penso, una seconda coscienza, che sarebbe ciò che noi ignoriamo di noi [22] e che completerebbe la coscienza come un'istanza parallela e, in ultima analisi, segretamente equivalente: come se ci fosse «qualcuno che vede chiaramente nei miei più profondi recessi, ciò che io vedo confusamente» [23] (si potrebbe definire, in certa misura, un inconscio «cartesiano»), o, per converso, affida all'inconscio la realizzazione di ciò che la coscienza dovrebbe (senza mai effettivamente riuscirci) effettuare. L'inconscio qui risulta implicitamente modellato sulla concezione della coscienza o, detto in termini più corretti, modellato sui presunti attributi dati alla coscienza.
Dunque l'inconscio non è né negazione (della coscienza), né residuo (della coscienza), né una seconda versione (della coscienza); come abbiamo visto, si tende ad innestare l'inconscio sulla coscienza, o meglio su una falsa concezione di quest'ultima, e questa triplice forma dello stesso errore si basa, a sua volta, su un'incomprensione ancora più fondamentale che Merleau-Ponty definisce costantemente «la follia della coscienza», che è, più precisamente, la folle concezione che noi abbiamo della coscienza. Per Merleau-Ponty, qui si arriva al colmo del paradosso perché si tratta di mettere in gioco un'operazione simmetricamente opposta: di rinunciare a questa follia, ai deliranti attributi prestati alla coscienza per riscoprire e prendere atto di una situazione totalmente diversa nel nostro rapporto con il mondo.
b) Dal prosaico all'onirico, dalla rappresentazione all'essere
Merleau-Ponty rintraccia nella «rappresentazione inconscia» [24] una delle varianti tipiche delle tre concezioni erronee; ben più di una critica a Freud, si dispiega qui la concezione merleau-pontiana del nostro essere-al-mondo, che si presuppone come svolgentesi al di qua della rappresentazione, ridotta ad una «immagine interna davanti alla coscienza». Per Merleau-Ponty il nostro essere al mondo si dispiega attraverso la percezione e attraverso ciò che inevitabilmente l'accompagna: un rapporto onirico con ciò che è [25].
Merleau-Ponty dunque non fa riferimento allo schema classico: rappresentazione intollerabile, dunque rimozione, dunque inconscio; tale schema infatti riduce quest'ultimo ad essere una parte indecifrabile ed estromessa di noi stessi, estromessa (intesa come formazione secondaria), indecifrabile (destinata ad un interminabile processo di decodifica). In filosofia l'inconscio pone in primo luogo le questioni del senso e della verità; in fenomenologia ripropone queste stesse questioni nei termini di un'individuazione del ruolo che esse svolgono in relazione al nostro rapporto al mondo, a cominciare dalla vita percettiva e dalle dimensioni immaginativo-desiderative che sempre la accompagnano. Il senso e la verità non si riducono a quello che Merleau-Ponty chiama il prosaico della rappresentazione (al letterale), gli sfuggono nel loro «senso pieno», cioè un senso figurato, che si fa portatore di dimensioni oniriche [26]: sono proprio queste dimensioni analogiche (oniriche) ad essere represse, e non le rappresentazioni univoche (prosaiche).
Potrebbe essere proprio questo principio analogico a risultare inconscio in una maniera ancora più fondamentale, per dei motivi epistemologici, in virtù della sua situazione antropologica: poiché questo principio si inscrive nelle nostre strutture più profonde e risiede nel cuore pulsante della nostra animazione; esso è in grado di portare alla luce una forma di inconscio primordiale e non un inconscio di rimozione.
L'inconscio, per riprendere l'espressione di Merleau-Ponty, inerisce all'esperienza arcaica di una dimensione onirica, che non è rappresentazione nel profondo dell'inconscio (questo, a rigore sarebbe prosa, prosa prosaica), ma una dimensione inscritta nel simbolismo stesso dello schema corporeo [27]. Per quanto riguarda la psicanalisi, al contrario di quanto emerge da un malinteso piuttosto frequente, si deve comprendere come questa non operi affatto una riduzione al prosaico, ma miri proprio a facilitare l'emersione di questa scaturigine profonda e ciò che può significare questa esperienza onirica dell'essere [28].
3. L'inconscio eccessivo
a) L'eccesso del percettivo e l'eccesso dell'onirico
Merleau-Ponty dunque abbandona lo schema classico precedentemente descritto in favore di uno schema maggiormente fenomenologico, centrato sulla nostra apertura carnale al mondo, inconscia per principio. Un'apertura, questa, dalle molteplici stratificazioni (senso-motoria, immaginario-desiderante), ma che il filosofo, come si sa, intende riconsiderare a partire dai fondamenti percettivi della vita intellettiva. «L'inconscio non è sprofondamento di pensieri, meccanismi nascosti, ma funzionamento di legami percettivi » [29], afferma il corso sulla passività del 1955; e, simmetricamente, «la percezione è il vero inconscio» [30]. «L'incoscio: eccesso del percettivo sul nozionale» [31]: se l'inconscio è implicato nell'eccesso del percettivo sul nozionale, esso chiama in causa anche l'eccesso dell'onirico sul percettivo: è anche «il fondo onirico pre-oggettivo di ogni percezione» [32].
Questo «fondo onirico di ogni percezione» [33] va compreso in continuità con l'ispirazione che Merleau-Ponty trae, sin dal 1948, dalla psicanalisi degli elementi di Bachelard; questo eccesso dell'onirico sul percettivo non rinvia esattamente ad un al di qua della percezione, perché il sensibile è già carico di questa eccedenza; ogni sensibile sollecita ciò che Merleau-Ponty chiama, fin da Phénoménologie de la perception, il nostro «sistema di equivalenze», il funzionamento analogico dello schema corporeo. Ogni sensibile è, a suo modo, capace di creare una «circostanza analogica», cioè di risvegliare in noi una dimensione essenziale del nostro essere al mondo, un'«esperienza dimensionale» [34], un fascio di esistenza.
Ogni dato sensibile è per noi espressivo, determina una qualcosa di tipico nel nostro rapporto al mondo, un modo d'essere, il nostro stile: la nostra carne, se ci si richiama a ciò che dice il filosofo ne Le visible et l'invisible. In virtù del «rapporto espressivo» e della «relazione carnale» che esso intrattiene con noi, ogni dato suscita in noi una testimonianza e non solo, né da principio, una rappresentazione rimandiamo, a questo proposito, alle belle pagine de La prose du monde, in cui Merleau-Ponty oppone l'espressione alla rappresentazione [35].
Come accade nel caso della pittura e del disegno, il dato sensibile «risveglia [.] in noi il profondo accordo che ci ha istallati nel nostro corpo, e per suo mezzo, nel mondo» [37]. Come il quadro moderno, il dato «sanguina», «interroga [.] direttamente il nostro sguardo», e «mette [.] il patto di coesistenza che noi abbiamo stretto con il mondo attraverso tutto il nostro corpo» [38]; questo «profondo accordo», questa «risonanza segreta», tale «patto di coesistenza» sono l'inconscio.
b) L'emersione, o gli eccessi del corpo e del desiderio
Eccesso del percettivo, eccesso dell'onirico, l'uno corrisponde all'altro, l'inconscio si dispiega in ciò che L'Oil et l'Esprit chiamerà la «texture imaginaire du réel» [39], ma, se ci fossero ancora dubbi, opera con altrettanto profitto negli eccessi del corpo e del desiderio. L'inconscio di cui qui si sta parlando non ha nulla a che fare con quello relegato nell'immanenza della fantasticheria, recisa e riparata dalla presa del mondo sul nostro corpo; al contrario, per Merleau-Ponty è necessario articolare l'onirico sulla base dell'organico, l'inconscio con la trascendenza effettiva del percepito che attiva i fondamenti della nostra istituzione corporea.
L'inconscient: ce qu'il en reste, en dernière analyse [.], c'est la corporéité: l'élément proprement onirique de l'inconscient est de même sorte que ces surfaces calleuses qui gonflent dans l'hallucination, ou que cette transformation qui fait d'une annexe de notre corps le siège d'un acte presque autonome (érection) = ce bourgeonnement, cette marée, ce tissu soudain immense qui s'engendre en un moment et à partir de presque rien, comme un champignon, comme une meringue, cette naissance d'un avenir qui surgit du passé, c'est la corporéité, la sensorialité, en tant qu'ouverture d'un champ à un autre transcendant qui s'y installe [40].
Questo passaggio, purtroppo non pubblicato, tratto dal corso sulla passività (1955) è basato su di una nuova struttura, messa a punto da Merleau-Ponty nel contesto della riflessione sulla «fecondità del desiderio» nella dimensione onirica e nell'inconscio: la surrrection. Figura congiunta della nascita e della libertà, la surrrection racchiude in sé una dimensione esistenziale, legata al suo radicamento assolutamente corporeo: «surrection ou insurrection ou résurrection [.] questa fecondità o produttività» [41], scrive Merleau-Ponty:
c'est la puissance de ce que nous avons désiré, d'autant plus grand que nous l'avons aussi réprimé [.]. L'inconscient = modalité de corporéité [.]. Surrection de l'inconscient et érection du corps [.]. Donc inconscient = logique perceptive = position d'un inaccessible (transcendance vraie) et par là même orientation sur lui et accès à lui [42].
Emersione dell'inconscio ed erezione del corpo nell'insorgere del desiderio: queste audaci affermazioni che descrivono l'articolazione tra inconscio, corporeità e desiderio si inscrivono perfettamente nel lavoro costante di Merleau-Ponty sulla logica percettiva, e ne costituiscono un esito; esito che conduce ad un rovesciamento di prospettiva: se l'inconscio, negli scritti anteriori, veniva assimilato ad una «coscienza percettiva» dai contorni mal definiti, ora siamo di fronte ad un processo di assimilazione reciproca.
c) L'inconscient d'état, tenant à notre incarnation
Dopo il corso sulla passività, gli ultimi scritti si fanno sempre più radicali: l'inconscio, come emerge dalle Notes sur le corps (1956-1960, soprattutto 1960) va cercato dietro la «sensorialità», come «un'implicazione più fondamentale» [43]. Da alcuni anni, e soprattutto nel 1960 questa «implicazione più fondamentale» che si situa alle spalle della sensibilità e che di fatto la sostiene, questa «dimensionalità universale» che è «simbolizzazione primordiale» e che si esprime attraverso «la topologia dello schema corporeo e le sue equivalenze» [44] ha un nome: il desiderio.
Merleau-Ponty riconosce così all'inconscio uno statuto antropologico radicale, infatti vede in esso la «struttura fondamentale dell'apparato psichico» [45] e «la nostra relazione primordiale al mondo» [46]; questo è proprio ciò che il filosofo definisce «l'inconscient d'état» [47], «la condizione inconscia, relativa alla nostra incarnazione» [48], che costituisce sostanzialmente «il tessuto de[lla] vita» [49] dell'«essere indiviso come corporeità umana» [50] che noi siamo. Sapendo che Merleau-Ponty, sulla scorta di Schilder, descrive la nostra animazione come desiderio, questo tessuto della nostra vita è esso stesso tramato di desiderio, questa corporeità umana che noi siamo è, ancor prima di essere «corpo estesiologico», compresa come «corpo libidinale».
Siamo dunque giunti al cuore dell'antropologia merleau-pontiana, ma questa acquisizione viene trasposta anche su un altro livello teoretico: siamo giunti, infatti anche alle porte delle dimensioni essenziali dell'ontologia di Merleau-Ponty.
Lista delle abbreviazioni (scritti di Merleau-Ponty)
CDU(SHP): versione del Centre de Documentation Universitaire de la Sorbonne della prima parte (1951-1952) del corso su Les sciences de l'homme et la phénoménologie (vedi anche Sorb(SHP); ripreso in Parcours deux 1951-1961, Lagrasse, Verdier, 2000, pp. 49-128.
ChRe: «Christianisme et ressentiment», reso conto della traduzione francese de L'Homme du ressentiment de Max Scheler, in La Vie intellectuelle, 7e anno, nuova serie, tomo XXXVI, 10 giugno 1935, pp. 278-306; ripreso in Parcours 1935-1951, Lagrasse, Verdier, 1997, pp. 9-33.
EM: Être et Monde (inedito, B.N.F., volume VI); EM1: soprattutto autunno 1958, qualche pagina di marzo 1959; EM2: diverse porsioni di lavoro ripartite nel corso dell' 1959; EM3: soprattutto aprile maggio 1960, qualche riscrittura in ottobre 1960.
EtAv: Être et Avoir, recensione di Être et Avoir di Gabriel Marcel, in La Vie intellectuelle, 8e anno, nuova serie, tomo XLV, 10 octobre 1936, pp. 98-109; ripreso in Parcours 1935-1951, pp. 35-44.
MSME: note di preparazione al corso al Collège de France del 1953 su Le monde sensible et le monde de l'expression, B.N.F., volume X. Genève, MétisPresses, 2011.
N-Corps: Notes sur le corps (1956-1960), soprattutto 1960), inedito. B.N.F., volume XVII.
Natu3: note di preparazione al corso al Collège de France del 1960 sul concetto di Natura, Nature et Logos: le corps humain, B.N.F., volume XVII. Trascrizione in La Nature. Notes, cours du Collège de France, Paris, Seuil, «Traces Écrites», 1995.
NPVI: note di preparazione inedite a Le Visible et l'invisible, BNF, volume VII. NPVIf: Notes pour choses faites (mars-avril 1959).
NT: note di lavoro edite in appendice a Le Visible et l'invisible, Paris, Gallimard, 1964.
OE: L'Oil et l'Esprit (juillet-août 1960), Paris, Gallimard, 1964.
OntoCart: note di preparazione al corso al Collège de France de 1961 su L'ontologie cartésienne et l'ontologie d'aujourd'hui, B.N.F., volume XIX. Trascrizione in Notes de cours 1959-1961, Paris, Gallimard, 1996.
PbPassiv: note di preparazione al corso al Collège de France de 1955 su Le problème de la passivité: le sommeil, l'inconscient, la mémoire, B.N.F., volume XIII. Trascrizione in L'institution. La passivité. Notes de cours au Collège de France (1954-1955), Paris, Belin, 2003.
PhilAuj: note di preparazione al corso al Collège de France de 1959 su La philosophie aujourd'hui, B.N.F., volume XVIII. Trascrizione in Notes de cours 1959-1961.
PhP: Phénoménologie de la perception, Paris, Gallimard, 1945.
PM: La prose du monde, Paris, Gallimard, 1969.
Proj: Projet de travail sur la nature de la Perception (8 aprile 1933), testo manoscritto per ottenere una sovvenzione dalla Caisse nationale des Sciences. Le primat de la perception et ses conséquences philosophiques, Grenoble, Cynara, 1989, pp. 11-13 (2e ed. Verdier, 1996).
RC: Résumés de cours. Collège de France, 1952-196/0, Paris, Gallimard, 1968; RC55: L'«institution» dans l'histoire personnelle et publique/ Le problème de la passivité: le sommeil, l'inconscient, la mémoire; RC60: Husserl aux limites de la phénoménologie/ Nature et Logos: le corps humain.
S(xxx): Signes, Paris, Gallimard, 1960; S(HoAdv): L'homme et l'adversité (settembre 1951); S(Préf): Préface (febbraio settembre 1960).
SNS(xxx): Sens et non-sens, Paris, Nagel, 1948 (ed. citata 1958); ripresa in, Paris, Gallimard, 1996; SNS(roman): Le roman et la métaphysique (mars-avril 1945).
Sorb: Merleau-Ponty à la Sorbonne, résumé de cours 1949-1952, Grenoble, Cynara, 1988; Sorb(EVA): L'enfant vu par l'adulte (1949-1950); Sorb(PSE): Psycho-sociologie de l'enfant (1950-1951); Sorb(RAE): Les relations avec autrui chez l'enfant (1950-1952); Sorb(SHP): Les sciences de l'homme et la phénoménologie (1951-1952).
UAC: L'union de l'âme et du corps chez Malebranche, Biran et Bergson. Notes prises au cours de Maurice Merleau-Ponty à l'École Normale Supérieure (1947-1948), Paris, Vrin, 1968; nuova edizione rivista e aumentata di un frammento inedito, 1978.
VI1, VI2, VI3, VI4: Le visible et l'invisible, Paris, Gallimard, 1964 (capitoli 1-4). VI-ms: manoscritto de Le Visible et l'invisible, B.N.F., volume VII.
NOTE
[*] Per gentile concessione dell'autore.
[1]. A questo proposito, cf. il nostro Être et chair I, Paris, Vrin, 2013.
[2]. Cf. Le scénario cartésien, Paris, Vrin, 2005.
[3]. Cf. p. ex. PhP, p. 163.
[4]. PhP, p. 161.
[5]. NT, pp. 301-302, nota titolata Cécité (punctum cæcum) de la conscience.
[6]. Proj, p. 13.
[7]. Cf. Le scénario cartésien, chap. III.
[8]. Gabriel Marcel, Être et Avoir, Paris, Montaigne, 1935; nouva edizione, Paris, Éditions Universitaires, 1991.
[9].Citazione da Gabriel Marcel, Être et Avoir, p. 15.
[10]. «Toute conscience est par principe autre chose que ce qu'elle croit être [...], ne thématise quelque chose qu'en laissant tout un reste implicite» (MSME, p. 175/[177]).
[11]. L'union de l'âme et du corps chez Malebranche, Biran et Bergson, nuova edizione rivista e aumentata di un frammento inedito, Paris, Vrin, 1978.
[12]. UAC, p. 117.
[13]. Cf. MSME, pp. 7-38.
[14]. MSME, p. 143/[111](XII4).
[15]. MSME, p. 131/[99](X8).
[16]. Ibid.
[17]. Già in L'homme et l'adversité si diceva «cette conscience qui frôle ses objets, les élude au moment où elle va les poser, en tient compte, comme l'aveugle des obstacles, plutôt qu'elle ne les reconnaît, qui ne veut pas les savoir, les ignore en tant qu'elle les sait, les sait en tant qu'elle les ignore» (S(HoAdv), p. 291).
[18]. «Faire nouvelle analyse de la conscience perceptive [.] comme essentiellement conscience projective (au sens freudien): comment on voit sur les choses ce qui manifestement est expression du sujet. En ce sens la conscience perceptive est essentiellement expression» (MSME, p. 176/[172]).
[19]. Cf. p. ex. N-Corps [87]v(8).
[20]. Ibid.
[21]. Cf. N-Corps [84](1), [86](5), [91]v, [92], Natu3 351/[75]v, RC60 179. Merleau-Ponty si basa su una terminologia di Freud: «Tout refoulé demeure nécessairement inconscient, mais nous tenons à poser d'entrée que le refoulé ne recouvre pas tout l'inconscient. L'inconscient a une extension plus large; le refoulé est une partie de l'inconscient» (Freud, «L'inconscient», in Métapsychologie, trad. J. Laplanche et J.-B. Pontalis, Paris, Gallimard, 1968; Folio essais, 1986, p. 65).
[22]. Cf. p. ex. Sorb(EVA) 95, Sorb(PSE) 300, PbPassiv 167/[217], 215/[175](41), 221/[180](46), 222/[181](47), 229/[185](48), 242/[191](54), 245/[258](3), 249/[192](55), 259/[247], [168]/NP, [232]/NP, RC55 69, PhilAuj 149/[77](20bis), N-Corps [91]v, [96], [98], Natu3 351/[75]v.
[23]. Natu3, p. 351/[75]v.
[24]. Cf. p. es. N-Corps [91]v, Natu3 352/[76], RC60 178.
[25]. Cf. p. ex. N-Corps [86]v(6)-[87](7), [91]v.
[26]. A questo proposito, l'insieme dei fogli N-Corps [88](9)-[88]v(10), [96]-[96]v.
[27]. Cf. N-Corps [96]-[96]v.
[28]. Cf. N-Corps [88]v(10).
[29]. PbPassiv, p. 245/[258](3).
[30]. EM3 [247](32).
[31]. PbPassiv, p. 247/[259](5).
[32]. PbPassiv, p. 244/[257](1).
[33]. A questo proposito, cf. il nostro Du lien des êtres aux éléments de l'être, Paris, Vrin, 2004, section B, chap. II.
[34]. N-Corps [87](7).
[35]. Cf. PM, pp. 207-211.
[36]. PM, pp. 208-209.
[37]. PM, p. 209.
[38]. PM, p. 211.
[39]. OE, p. 24.
[40]. PbPassiv [235]/NP.
[41]. PbPassiv [182](48)/NP.
[42]. PbPassiv, pp. 230/[186](49)-231/[187](50), trascrizione corretta.
[43]. N-Corps [84](1).
[44]. Ibid.
[45]. N-Corps [86]v(6).
[46]. N-Corps [87](7).
[47]. N-Corps [86](5), [86]v(6), Natu3 351/[75]v, RC60 179.
[48]. N-Corps [86](5).
[49]. N-Corps [85]v(4)-[86](5).
[50]. N-Corps [85]v(4).
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Wenzel Hablik, Crystal Castle in the Sea (1914)
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