La frattura che incrina il pensiero greco originario, quando ellenizzandosi incontra l’orizzonte storico del monoteismo ebraico è la radice profondissima dell’antisemitismo heideggeriano. Heidegger stesso non la riconosce, parla come se quella frattura fosse tutta interna al pensiero greco, un gioco di “decisione” interno al platonismo, ma ciò che egli vede iniziare in controluce nell’idealismo platonico avverrà solamente in quello spazio storico monoteista la cui radice è ebraica (Cfr. Taubes,
La teologia politica di san Paolo). Heidegger qui non sa o non vuole pudicamente vedere che la storia occidentale inizia all’incontro tra pensiero greco e monoteismo ebraico: significherebbe immergere in questo cono d’ombra tutto il cristianesimo, fare di tutto il pensiero occidentale uno spazio ibrido e in ultima istanza riconoscere la paternità del monoteismo ebraico sulla civiltà occidentale.
Questo è il primo punto da chiarire. Poi bisogna cogliere qual è la
questione ebraica della storia, ovvero quale forma l’ebraismo dà alla storia come apertura dilaniata e irrisolta, avventura nomade di un “piccolo resto” di uomini, salvato a brandelli dalla gola del leone (Cfr. Quinzio,
La fede sepolta). Perché l’ebraismo è storia di una salvezza amara e incomprensibile. Storia di una non salvezza. Storia che nella disperazione speranza oltre ogni speranza si fa esodo (e poi croce, e poi martirio, e misticismo, e poi riforma, e poi rivoluzione… e dall’altra parte, allo stesso tempo e necessariamente si fa potere, Ecclesia Catholica, impero, stato moderno, progresso e mondo (cfr. Schmitt,
Ex captivitate salus). Così si inaugura la questione ebraica della storia come duplicità di sradicamento e radice, universalità e popolo, modernità e fedeltà, che presto diviene la duplicità della storia occidentale, dove l’ebraismo rimane sia come radice sepolta, seme, sia come esito atteso, promessa messianica. In mezzo al deserto corre il cammino segreto e inaccessibile della fedeltà, il tentativo di ricomporre la duplicità dello sradicamento dell’uomo sulla terra nell’indiviso essere-con-Dio (cfr. Buber,
I discorsi di Praga).
Ma allo stesso tempo, nel deserto della storia cresce l’antisemitismo, cresce come scelta dell’astratta neutralità, del rifiuto e della rivolta, che sembra un fuoco purificatore ma ci lascia sterili, impotenti e furiosi dentro la sofferenza esistenziale ma anche storica e politica della contraddizione. È la pretesa di astrarre e purificare, espellere e rifiutare l’ebraismo come elemento di scandalo e di contraddizione anziché assumerne a nostra volta la figura come stella polare (Cfr. Celan,
Conversazione nella montagna). La questione dell’ebraismo allora si pone al limite dell’ebraismo stesso, non è mai una questione identitaria: è nel secolo cristiano che si pone, nella disattesa dell’annuncio messianico che si fa incredulità e nella domanda ebraica che quella croce non sia davvero la nuova legge da accettare e portare.
Ma questa reciproca domanda è un abisso che si apre. L’antisemitismo si fa intrinseco all’occidente perché l’occidente si apre dentro la dimensione divisa della questione ebraica, e qui è il rifiuto dell’ampiezza incomprensibile e insopportabile di questa contraddizione. Per questo l’ebreo diviene la figura ambigua che incarna e esaspera sia la modernità più sradicata e alienata, sia la fedeltà intima a una promessa che si estrania e ci estrania da tutto il resto. Una promessa che non sappiamo più sopportare, davanti alla quale ci sentiamo negati, diseredati della nostra storia. Estranei e sradicati dalla promessa, questa ferita è il nostro antisemitismo. Ci sforziamo di ignorarla guardando altrove, volgendo lo sguardo ancora
a occidente. L’
altro inizio heideggeriano come esito del suo pensiero e exitus dalla storia è la cristallizzazione pura di questa illusione.
TESTI CITATI:
M. Buber, I discorsi di Praga, in Id, Rinascimento ebraico, a cura di Andreina Lavagetto, Mondadori, Milano 2013.
P. Celan, “Conversazione nella montagna”, in Id., La verità della poesia, a cura di G. Bevilacqua, Einaudi, Torino 1993.
S. Quinzio, La fede sepolta, Adelphi, Milano 1978.
C. Schmitt, Ex Captivitate Salus, trad. it. di C. Mainoldi, Adelphi, Milano 1987.
J. Taubes, La teologia politica di san Paolo, trad. it. di Petra Dal Santo, Adelphi, Milano 1997.
Martin Heidegger