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Appunti per una fenomenologia della parola digitale
[Odio per il persente]
di Guido Cavalli
19 maggio 2018
1.
Scriveva Simone Weil: Luomo è schiavo finché tra lazione e il suo effetto, tra lo sforzo e lopera trova posto lintervento di volontà estranee. Tale è il caso e per lo schiavo e per il signore, al giorno doggi. Luomo non è mai di fronte alle condizioni della propria attività. La società fa schermo tra la natura e luomo. [1]
Affascinante come in così poco tempo grazie al potere della tecnica si sia concretato questo luogo, questo schermo tra noi, e tra noi e il mondo, al cospetto del quale siamo così deboli.
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La scrittura è un processo di istituzionalizzazione della parola. Un atto attraverso cui la parola è ripensata e trasformata, da qualcosa che accade alluomo a qualcosa che luomo fa accadere attraverso lutilizzo di elementi artificiali, e in quanto tali stabili, riconoscibili e riproducibili. Se esiste uno scarto tra parola e scrittura, ed esiste, ormai è difficilmente praticabile. Quasi impossibile per noi pensare a una parola non istituita, non riscrivibile.
A dire il vero, qualcuno raramente tenta di avvertire esperire la differenza tra levento parola, astorico, e la storia delle parole, ma si tratta di pratiche ormai marginali. Al contrario, è scontato constatare che, in quanto storia, il processo di istituzionalizzazione della parola evolve, progredisce. È un processo tecnologico. Ha a che fare con la capacità manipolatoria, strumentale, utilitaristica con cui ci liberiamo dallinizio, ci assumiamo il rischio di tracciare un nostro cammino, con cui ci allontaniamo da ciò che non siamo.
Questo per dire subito: possiamo indagare la differenza tra parola stampata e parola digitale, ma non confondiamola con la differenza tra parola e scrittura. Entrambe, parola stampata e parola digitale, appartengono già a quel processo tecnologico di istituzionalizzazione della parola che non possiamo revocare. Non si tratta dunque, nel cercare di capire cosa stia accadendo alla parola che diventa digitale, di vagheggiare un ritorno a una presunta autenticità. Si tratta invece di dire e di non ignorare che cosa stia accadendo. Come stia cambiando quello che possiamo dire a partire dal cambiamento dalla forma delle parole con cui lo diciamo.
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La parola digitale è discontinua. Innanzitutto il suo segno è unillusione ottica, puntillistica. È intermittente. Si accende e si spegne. Fantasmatica, appare e scompare. Immaginaria, perché è sempre unimmagine, è sempre su uno schermo. Se appare, è già sullo schermo di qualcuno, è già per qualcuno. Se nessuno la sceglie, non appare. Non resta mai là, inerte, al buio, tra le pagine chiuse di un libro o un quaderno. Non esiste comunque, per nessuno o per se stessa. È una parola nata per comunicare, per informare, molto più che per conservare, trattenere. Infatti è revocabile. Cancellabile, modificabile, sostituibile. La cronologia di un testo digitale non definisce delle varianti, ma degli aggiustamenti progressivi, delle modifiche, appunto. Già destinate a scomparire al refresh della pagina, allaggiornamento del programma, allo spegnimento dello schermo. Questa temporaneità è anche precarietà. Limitatezza. Quanta parte di senso, quanta parte di vero può dire una parola provvisoria? La parola digitale è opinione, difficilmente è idea.
Questa provvisorietà, insieme allavvicinarsi, fino a combaciare sullo schermo, del luogo della scrittura e del luogo della lettura (un tempo separati da diversi momenti, la bozza, il manoscritto, il dattiloscritto, limpaginato) sembra aver insidiato linteriorità del linguaggio, dando ad ogni testo la falsa apparenza dellimmateriale e cancellando la differenza tra il linguaggio come sorge a chi lo pronuncia o lo enuncia o lo evoca, e poi lo porge, e come si presenta a chi lo riceve. La parola digitale, perfettamente identica per chi scrive e chi legge, assottiglia sino quasi ad annullare la distanza tra i due gesti, ovvero la profondità del testo. Lamentiamo la fretta, la superficialità, la distrazione della lettura web, e della parola digitale più in generale, ma ciò non corrisponde che alla sensazione di essere di fronte ad uno spazio poco profondo, dove non cè molto da scavare e cercare, ma solo da smuovere, adocchiare.
Il libro allora riappare come oggetto il cui linguaggio io non posso manipolare se non ripensando, ridicendo e riscrivendo. È questo a rendere il mio leggere compiuto perché separato, indipendente e intero rispetto a un testo a sua volta di per sé intero. Il valore del libro è esattamente il suo essere isolato, essere offline ovvero fuori dal mondo ricalcolato nella parola digitale. Il libro, oggetto inerte, isolato e che ci isola, innesca di nuovo la dimensione individuale dellesperienza, intellettiva e immaginativa, lesperienza del pensiero e del linguaggio pensato. Il libro, oggetto spento eppure capace di accendere il nostro non-essere-qui, oggetto passivo ma che per questo ci attiva a fare qualcosa, ovvero leggere, tentare il gesto più potente della nostra mente: immaginare, pensare [2].
Lacuto paradosso è che lesperienza delloggetto materiale apre allinteriorità/profondità, mentre laccesso al simulacro digitale delloggetto fa da schermo: al di là ne appare lidea ricalcolata, al di qua resta lio imploso alla dimensione puntiforme di un indirizzo. Quello che, secondo me, non abbiamo ancora compreso è che in questo taglio offline/online si trasforma la natura stessa della parola. Questa, digitale, che non ha lasciato il segno né impresso né vergato su nessun oggetto, e che visibilmente non è capace di essere, di rimanere (se spengo lo schermo, se cancello la memoria, se il server cade…) non è una parola ma solo la sua ipotesi. E noi stiamo imparando a scrivere, parlare, pensare con parole fantasma.
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Se la parola stampata voleva uniformare il segno, parola digitale vuole uniformare il linguaggio.
Inizia a delinearsi lintenzione della parola digitale: fare del linguaggio un non luogo, uno spazio senza ambiguità, senza spessore, senza eco, senza durata linguaggio che non dura e non sa dire ciò che sa durare, ciò che sa rimanere. Uninformazione, un segnale, acceso spento, 0/1, un bit. Linguaggio binario, immediato, linguaggio dei media, linguaggio macchina.
Linguaggio macchina. Non più nel senso traslato di linguaggio della macchina, ma del linguaggio come macchina. Qui cè un salto importante. Questo è il momento in cui la tecnologia passa dal mondo al linguaggio. La tecnologia pre-digitale, chiamiamola manuale, ha ancora come oggetto il mondo, loggettivazione del mondo. La tecnologia manuale per modificare il mondo deve ancora toccarlo, attraversarlo. La tecnologia digitale vuole trasformarlo nella sua immagine, contenerlo nel codice, ridurlo a informazione. Dalla tecnica della mano alla tecnica dellocchio. Dalla tecnica per-andare-nel-mondo alla tecnica-mondo.
La tecnologia digitale è macchina che produce linguaggio ovvero mondo. Qui si realizza un nodo di algebra e macchinismo [3] che a sua volta si rivolge non al maggior rendimento, al maggior sfruttamento materiale come la tecnica industriale ma alla maggiore libertà come indipendenza e autonomia del metodo dal pensiero [4].
Libertà, ma di chi? Chi è il soggetto? Libertà del metodo in sé. Ovvero: lautomatismo della tecnica digitale fa un salto di qualità, dallautomatismo dei processi ovvero delle macchine in cui il metodo è inscritto nelloggetto anche se non conosciuto, allautonomia del codice la dimensione in sé del mondo digitale in cui il metodo, oltre che sconosciuto, è inaccessibile, perché immateriale e perché indisponibile.
*
Il web è il momento in cui il processo di mondializzazione della tecnica investe il linguaggio. Ovvero il momento in cui la tecnica investe il luogo della storia della verità come progetto dellente e fondazione dellassolutezza dellente nellidentità del pensiero dellio, soggettività delluno. È con il linguaggio digitale che il soggetto del discorso diventa la tecnica. La tecnica diventa soggetto del discorso poiché, dopo avere progettato lente il mondo e la cosa , ora progetta la parola come ente, come funzione di un linguaggio calcolante e mero codice informativo.
La tecnologia digitale è un nuovo capitolo della storia della tecnica che prima o poi bisognerebbe scrivere per capire quale uomo e quale mondo volta per volta pensa la tecnica nel suo manifestarsi in cui la tecnica ha dato lassalto al linguaggio, in cui il movimento espansivo della tecnica è arrivato ineluttabilmente a lambire e invadere lo spazio della parola. Oltrepassando il limite della parola, cambia radicalmente anche la forma della tecnica. La macchinazione come moltiplicazione vertiginosa di una complessità che diviene mostruosità (Anders) scompare emerge una tecnica semplificante che da mediazione diventa immediatezza oggi diciamo disintermediazione. E solo con limmediatezza la tecnica si fa reticolare, onnipervasiva, sincronica, globale e senza peso. [5] Accessibilità e velocità. Modellizzazione e conformità nella ripetizione così si espande e accresce un nuova trasparenza fatta di standardizzazione, di somiglianza, di computabilità, di ripetizione delloccorrenza, delluguale. Valore è la presenza, loccorrenza nel motore di ricerca, determinante è il calcolo delle ripetizioni di una parola-informazione entro la totalità del mondo on-line.
La rete è il primo e fondamentale ambiente (macchina) globale. Il primo apparato meccanizzante che abbia istituito un ambiente duso integrale. On-line/off-line infatti non sono due territori giustapposti, ma due reali. Se nella catena di montaggio loperaio era ancora funzionale alla macchina (il rapporto uomo-macchina era un rapporto di sfruttamento, luomo lontano dalla macchina viveva il suo tempo libero), nellambiente (macchina) globale non è per lavorare che noi siamo in rete, ma per vivere, informarci, divertirci, comunicare, viaggiare, determinare chi siamo, qual è la nostra identità sociale… noi non usiamo la rete come si usa una macchina, noi siamo in rete come si vive in un ambiente.
Nella scelta di digitalizzare il linguaggio il processo di meccanizzazione della modernità ha fatto un salto epocale ora la soggettività della storia è dentro la storia della macchina. Attraverso la parola digitale la tecnica è diventata mondo rappresentazione del mondo (della tecnica). Quel mondo come impianto che la tecnica era riuscita ad ascrivere a sé, ora lo rappresenta e lo pone come mondo accessibile attraverso la tecnica. La propagazione del processo calcolante ora è inestinguibile e indistinguibile dalla globalità totalità del mondo.
La sincronia è lelemento chiave della totalità come spostamento del processo sul piano temporale del linguaggio quando il processo ha dovuto diventare sincronico allora ha aggredito e digitalizzato il linguaggio, computandolo e trasformandolo in informazione. Nello stesso momento si è decisa la direzione di evoluzione della macchina da una parte come snodo di collegamento e reticolo, dallaltra come deposito di una duplicazione immateriale del reale. Nel momento in cui anche il durare del passato avviene attraverso la tecnica, la memoria digitale, la cultura scientifica, linformazione, allora la possibilità del ricordo è perduta.
2.
Odio per il presente è lespressione che Marco Baldino ha utilizzato su Facebook a proposito di Heidegger, degli heideggeriani e degli heideggerismi, ovvero di tutta la retorica della cosiddetta critica alla modernità, immancabilmente condita dal birignao misterico, dal vezzo profetico, dal cliché della décadance, dalla stupidità dellodio per il presente, dalla retrocessione mitologica verso i cicli delleterno ritorno.... Mi ci ritrovo perfettamente. Non cerco nemmeno di giustificarmi. Anche per quanto riguarda le mie righe precedenti, difficile sfuggire alla critica di snobismo se si condanna un fenomeno globale e irreversibile, o di mancanza del senso del ridicolo se ci si scaglia contro il web sul web.
Odio per il presente. Io che mi ero illuso di aver compiuto un percorso di emancipazione intellettuale, unavventura, un mio originale passaggio a nord ovest dal noto allignoto. Che credevo fosse chiaro solo a me quale legame nascosto, quale stella lontana mi avesse condotto, con salti arrischiati, dal comunismo disperante di Fortini e dallanti umanesimo di Pavese, fino allabbandono heideggeriano e alla fede inutile di Quinzio… La recente lettura del pamphlet Stili dellestremismo, [6] con la sua brutale disanima delle pose molto italiane delloltranza intellettuale (e dei suoi principali totem Fortini, Calasso, Heidegger…) è stata per il mio ego un durissimo colpo. Eccola qui infatti la cifra: puro snobismo, arrogante elitarismo, e labbandono di ogni sano empirismo a favore dun ininterrotto esercizio dastrazione e di violenta purificazione del pensiero verso tautologismi di geometrica oscurità, di inespugnabile assolutezza. Che si tratti del Comunismo o della Tradizione, dellIdentità o dellUtopia, del Mito o dellEssere, anziché accettarne umilmente il fallimento al cospetto della storia, ecco la retorica dellestremismo innalzarli oltre la storia, e come feticci brandirli per piegarne, della storia, il senso, risalirlo, revocarlo e infine riscriverlo.
Odio per il presente. Che si declina nellostilità aperta oppure malcelata per tutte le sue forme: la tecnologia innanzitutto (mostrificata), la cultura di massa (per non parlare di quei prodotti di intrattenimento che non aspirano nemmeno ad esserlo), fino alla democrazia stessa (ma che coraggio, con le ombre di collaborazionismo che certi nomi si portano dietro!), e infine i media, che tutto questo condensano e contengono. Per me, invece, un essere umano senza tecnica, e soprattutto senza quelle tecniche eminenti che sono la scrittura, la cultura e i documenti, non è un selvaggio perfetto e filosofo, ma un animale poco attraente e destinato a una vita solitaria, povera, indecente, brutale e breve. Non sorprende che, al contrario, sin dal loro primo affacciarsi al mondo, gli umani si provvedano di tecniche, le raffinino, e poco alla volta creino dei barlumi di storia, di coscienza, di significato [7].
Così scrive, e ragionevolmente, lintellettuale finalmente affrancato dalla superstizione, finalmente alleggerito dalla soggezione verso il pensiero delloltranza. Finalmente, si dirà, possiamo fare un passo avanti. Buttarci alle spalle tutto quello che sembrava inaggirabile, che continuava a ricacciarci giù, e salire a quella superficie dove il discorso fila liscio, dove le opinioni correnti si snodano evitando lo scoglio di certe ostinate idee e i gorghi di certi antichi silenzi.
Peccato però che questo non sia certo un discorso nuovo. Anzi. È il discorso dellumanesimo moderno e post moderno. Quello che vorrebbe far coincidere soggettività e libertà. Quello che vorrebbe far coincidere storia della soggettività e storia delluomo. Provvedersi di tecnica, di linguaggio, di storia questo è lagire delluomo si vorrebbe poter dire e rendere tutto più piano. Voltando la testa per dimenticare dove soggettività della tecnica e soggettività della parola già provvedono ad agire luomo.
Ricordo la prima parola che mi ha fatto dubitare. Una cosa che Endimione, il pastore di cui Artemide sinnamorò concedendogli sonno senza fine, dice allo straniero incontrato ai piedi del Latmo [8].
Straniero, tu sai cose terribili, e non sai che il selvaggio e il divino cancellano luomo?
[1] S.Weil, Quaderni, vol. I, Adelphi, Milano 1982, p. 129.
[2] Cfr. Alain Finkielkraut, Un cuore intelligente, Adelphi, Milano 2011, pagg. 103-104.
[3] Per usare ancora le parole della Weil, Op. cit., p. 141.
[4] Ivi, pp. 138-142.
[5] Cfr. M. Heidegger, «Essere come macchinazione», in Id., Levento, Mimesis, Milano 2017, p. 123.
[6] A. Berardinelli, Stili dellestremismo, Editori Riuniti, Roma 2001.
[7] M. Ferraris, Il denaro e i suoi inganni, Einaudi, Torino 2018, cit. in http://www.leparoleelecose.it/?p=32143
[8] C. Pavese, «La belva», in Dialoghi con Laucò, Einaudi, Torino 1947, p. 42.
AA Bronson, General idea, 04/06 |
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