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La macchina del mito
La cura: critica della ragion psicologica
di Sandro Vero

29 aprile 2016


dopo tutto siamo la sola civiltà in cui delle persone
specialmente addette sono retribuite
per ascoltare ciascuno confidare il proprio sesso…


Michel Foucault


È bene chiarire sin da ora che la scelta di centrare il discorso inerente il mito della cura sulla psicologia è una scelta non casuale o, in alternativa, dettata da motivi esterni alla struttura logica del nostro lavoro. La psicologia è, senza alcun dubbio, la disciplina che meglio incarna un certo modo di articolarsi del mito dell’individuo, specie come lo abbiamo visto agganciarsi ai temi del potere, nel momento specifico della sua sussunzione come “organismo malato”, dunque bisognoso di essere preso in carico in un’ottica terapeutica. La radice profondamente ideologica dei suoi fondamenti teorici sopravanza notevolmente quella di discipline contigue come la sociologia e l’antropologia, che pure mantengono un rapporto stretto con la prospettiva storica.

Ma è anche una scelta “retorica”, la parte per il tutto, quest’ultimo rappresentato al meglio proprio a partire dalla sua pretesa di una maggiore “scientificità”. La psicologia, dunque, sta — nell’economia del nostro discorso — per le scienze umane, riproducendone limiti e possibilità, come lo stesso Foucault evidenzia ampiamente nella sua ricerca archeologica. [1] Le scienze umane si collocano in un ambito epistemologico fortemente gravato da almeno due criticità: 1) funzione ideologica delle teorie (specie di discipline come la psicologia e la psicoanalisi); 2) uno speciale corto-circuito logico generato dalla loro collocazione nello spazio epistemico.


I. IDEOLOGIA

I.1. In ordine alla natura ideologica di gran parte della psicologia, torna utile richiamare la definizione, di matrice semiotica, che della ideologia dà Eco:
«Per definire questa visione parzializzata del mondo, si può ricorrere al concetto marxiano di ideologia come “falsa coscienza”. Naturalmente dal punto di vista marxiano questa falsa coscienza nasce come occultamento teorico (con pretese di obbiettività scientifica) di concreti rapporti materiali di vita. Ma in questa sede non ci interessa studiare il meccanismo di motivazione dell’ideologia, quanto il suo meccanismo di organizzazione, non la sua genesi ma la sua struttura». [2]
L’analisi di Eco è un’analisi semiotica, dunque rivolta alla struttura di un testo, ovvero di un corpus teorico. Eco non è interessato ai processi sociali che rendono necessario il costituirsi di una struttura ideologica, ciò tuttavia non esclude l’intreccio complesso che lega insieme quelli e quest’ultima. Per Eco «l’ideologia, una volta che si struttura, si identifica con un sotto-sistema semantico che nasconde la complessità e la ricchezza del sistema semantico globale occultandone le parti scomode». [3]

Un testo ideologico è dunque un testo che occulta, che dissimula la parzialità delle sue premesse, escludendo la possibilità di percorsi di senso alternativi, «una visione del mondo parziale e sconnessa: ignorando le multiple interconnessioni dell’universo semantico essa cela anche le ragioni pratiche per cui certi segni sono stati prodotti insieme coi loro interpretanti. Così l’oblio produce falsa coscienza». [4]

L’ideologia e la critica delle ideologie possono essere entrambe frutto del lavoro della produzione segnica, la quale scatena forze sociali e, anzi, rappresenta una forza sociale in se stesso. Eco ne conclude che «pertanto la semiotica (come teoria dei codici e teoria della produzione segnica) costituisce anche una forma di critica sociale e una forma della prassi». [5]

Quando si va oltre la considerazione strutturale del testo ideologico e si accede all’ambito della critica materialistica (e dunque storica, sociale) dell’ideologia, allora si può dire, con Marx che «... non si parte da ciò che gli uomini dicono, si immaginano, si rappresentano, né da ciò che si dice, si immagina, si rappresenta che siano, per arrivare da qui agli uomini vivi; ma si parte dagli uomini realmente operanti e sulla base del processo reale della loro vita si spiega anche lo sviluppo dei riflessi e degli echi ideologici di questo processo di vita. Anche le immagini nebulose che si formano nel cervello dell'uomo sono necessarie sublimazioni del processo materiale della loro vita, empiricamente constatabile e legato a presupposti materiali». [6]

Le conseguenze teoriche di questa critica sono devastanti, coinvolgendo le principali produzioni culturali della storia dell’occidente:
«Di conseguenza la morale, la religione, la metafisica e ogni altra forma ideologica, e le forme di coscienza che ad esse corrispondono, non conservano oltre le parvenze dell’autonomia. Esse non hanno storia, non hanno sviluppo, ma gli uomini che sviluppano la loro produzione materiale e le loro relazioni materiali trasformano, insieme con questa loro realtà, anche il loro pensiero e i prodotti del loro pensiero. Non è la coscienza che determina la vita, ma la vita che determina la coscienza». [7]
I.2. Althusser [8] ci ha mostrato come una corretta, bilanciata considerazione delle sovrastrutture ideologiche consente di vedere il funzionamento di queste ultime — nella loro concreta declinazione istituzionale — soprattutto in riferimento:
— al carattere a-storico e immaginario dell’ideologia, che la accomuna all’inconscio freudiano; [9]
— alla materialità dell’ideologia stessa, vale a dire l’evidenza che la sfera ideologica in cui si muove l’individuo-soggetto consiste in pratiche ideologiche precisamente concrete; [10]
— al loro incessante interpellare l’individuo come soggetto, vale a dire l’individuo ha un’esistenza soggettuale (e soggettiva) solo dentro l’ideologia che lo interroga e lo attiva. [11]
“L’ideologia è immaginaria” vuol dire, secondo Althusser, che essa «rappresenta il rapporto immaginario degli individui con le proprie reali condizioni di esistenza»”. [12] E se i rapporti di produzione sono una parte fondamentale di quelle condizioni, allora ciò che nell’ideologia è immaginariamente rappresentato non è l’insieme di quei rapporti di produzione bensì il rapporto che ogni individuo-soggetto ha con quei rapporti medesimi. L’ideologia, cioè, insiste sul registro della relazione fra l’individuo e il mondo in cui egli vive.

La materialità dell’ideologia è nient’altro che il suo concretarsi — per l’esattezza il suo essere immediatamente — negli Apparati Ideologici di Stato, al servizio di quella quota di struttura statuale che non si esprime attraverso l’oppressione e la repressione bensì attraverso, appunto, la penetrazione ideologica. Gli esempi portati da Althusser sono quelli classici: la religione, il diritto, la scienza, la politica, la scuola. Quest’ultimo indicato espressamente come quello che, nell’età moderna, ha soppiantato la religione nella sua centralità. [13]

La fondamentale equivalenza individuo-soggetto ribadisce la natura soggettiva dell’ideologia, vale a dire la necessità per essa di riferirsi ad un individuo “soggettivizzato”, caricato cioè di un potenziale di “scelta”, contrassegnato da una etichetta di unicità, preso nel suo incarico di rappresentarsi costantemente il rapporto con ciò che lo lega, lo determina, lo rende ciò che è, quasi sempre in una configurazione rovesciata del rapporto stesso, in un meccanismo tortuoso ma efficace: «in tutto questo schema, constatiamo dunque che la rappresentazione ideologica dell’ideologia è essa stessa costretta a riconoscere che ogni ‘soggetto’, dotato di una ‘coscienza’, e che creda alle ‘idee’ che la propria ‘coscienza’ gli ispira e accetta liberamente, deve “agire secondo le sue idee”, deve quindi inscrivere negli atti della propria pratica materiale le proprie idee di soggetto libero. Se non lo fa, “non è bene”». [14]

I.3. Nella prefazione al volume collettaneo L’inconscio non abita più qui (dove pure si leggono passaggi in cui si ribadisce una sostanziale fiducia nella possibilità di una psicologia rigenerata), Renzo Carli è perentorio:
«Un primo interrogativo concerne l’apporto della psicologia ai sistemi di convivenza. Un apporto marginale, latitante nel nostro paese come nel resto delle culture occidentali». [15]
Più avanti:
«C’è una psicologia clinica che, fondandosi sullo studio delle invarianti psicologiche e sull’intervento nei confronti di tali invarianze, può trascurare, non occuparsi del contesto sociale, di quella rete di relazioni e di quella dinamica culturale che caratterizzano la nostra esperienza». [16]
La critica di Carli tende a evidenziare il principale difetto imputabile a quella parte della psicologia che tenta goffamente di riprodurre, coi suoi mezzi, il sapere medico: l’espunzione della soggettività dalla malattia, che — per dirla con Canguilhem — non si fa disturbare dal malato! [17]

Verrebbe da dire che con quella parte di psicologia che tenta di scimmiottare la medicina il gioco è fin troppo facile: la stessa alterità del Freud di inizio ’900 rispetto al sapere accademico a lui coevo si giocava interamente all’interno del suo background medico.

La parte più interessante della critica è probabilmente quella che, un po’ più avanti, i curatori del libro esprimono nell’introduzione:
«Ma la psicologia si interroga forse su come questa falsificazione della funzione statuale condiziona non tanto la vita quotidiana dei cittadini in senso concreto, quanto il loro modo di pensare, la loro motivazione allo sviluppo della dimensione comunitaria nei rapporti sociali? Non sembra». [18]
Per calare poi il colpo di grazia qualche riga più in là:
«Sembra invece che la psicologia (…) sia divenuta col tempo un’agenzia di promozione del conformismo assai zelante». [19]
Occorre che sia chiaro un punto nodale: la questione della psicologia (e con essa delle scienze umane in generale) non si esaurisce nel suo venir meno a un compito (che fra l’altro non si saprebbe bene chi mai lo avrebbe dato) o a un suo essere in difetto rispetto al contesto sociale in cui si sforza di operare. La questione, la vera questione, è se la psicologia (e con essa, ancora una volta, le altre scienze dell’uomo) sia uno strumento neutro diversamente utilizzabile nel gioco serrato delle parti che si fronteggiano nel contesto dato o sia invece uno strumento naturalmente, strutturalmente, inevitabilmente funzionale agli apparati ideologici di cui sopra.

L’ipotesi della sua “neutralità” potrebbe avvalersi di un’evidenza: l’estrema varietà delle sotto-discipline diversamente orientate sul piano sociale ma tutte sgorganti da una matrice scientifica che si presume oggettiva, per esempio da una parte la psicologia della pubblicità, che mette i suoi dati conoscitivi al servizio delle agenzie che producono quotidiane dosi di mercificazione del desiderio e la psicologia di comunità, che abbozza un modello di condivisione spendibile anche nelle realtà estreme del disagio sociale. E questo per dire di due applicazioni apparentemente lontane e contrarie.


2. CORTO-CIRCUITO [20]

Si disponga di un piano cartesiano, che modellizzi adeguatamente lo spazio epistemologico come dato dai due assi della alterità e del determinismo, assumendo questi ultimi valori come qualità epistemiche e non necessariamente come qualità ontologiche:
Alterità
La distanza, il gradiente di estraneità dell’oggetto (di conoscenza) dal soggetto (conoscente) dentro la cornice teorica ritagliata da una scienza.

Determinismo
Il grado di aleatorietà/causalità del rapporto che lega gli eventi ammessi dentro la cornice teorica di riferimento di quella scienza.
La posizione che occuperà ogni scienza, ogni sapere scientifico, dentro il piano sarà determinata dall’incrocio fra il suo grado di estraneità oggetto/soggetto e il suo grado di aleatorietà causale. Bisognerà precisare, tuttavia, che entrambi i fattori epistemici concorrono a definire il grado di formalizzabilità di una teoria o del complesso di teorie di una scienza.

Nel diagramma che segue è possibile visualizzare il doppio rapporto di prossimità/distanza che ogni scienza ha con un ipotetico punto di origine degli assi:


Una maggiore distanza dall’origine sull’asse dell’aleatorietà indica un grado minore di determinismo, una maggiore distanza sull’asse dell’estraneità indica un grado minore di sovrapposizione fra soggetto e oggetto della conoscenza.


Possiamo ulteriormente definire l’Aleatorietà nei seguenti termini: il rapporto causale fra i “fatti” o gli eventi di una scienza può essere più o meno stretto, avere cioè un certo grado di determinismo, da un massimo (nesso causale stretto) a un minimo (nesso aleatorio). Da ciò deriva il carattere più o meno probabilistico delle leggi di quella scienza. Teorie e complessi di teorie rette da nessi causali stretti prevedranno margini esigui di casualità nella loro struttura esplicativa (con una più alta incidenza di modelli matematici), mentre teorie che ammettono un maggior peso del caso faranno ricorso meno a modelli deterministici (e più a modelli statistici).

Possiamo inoltre definire ulteriormente l’estraneità (o distanza) come una caratteristica del rapporto fra il soggetto e l’oggetto del processo conoscitivo, il diverso grado di tale estraneità potendo variare da un massimo di prossimità (quando il soggetto e l’oggetto appartengono alla stessa “sostanza” ontologica) a un massimo di distanza (quando soggetto e oggetto appartengono a sostanze o a livelli di realtà lontani). [21]

La rappresentazione diagrammatica dà peraltro conto del carattere ortogonale che ha il rapporto fra i due fattori. [22]

La collocazione della psicologia nello spazio epistemico sembra assegnata dalla sua caratteristica precipua: la particolare vicinanza fra soggetto e oggetto, che diventa identità nel caso della psicoanalisi, la cui peculiarità è tale da collocarsi vicino al punto di origine degli assi. I suoi eventi/oggetti sono della stessa natura degli eventi/pensieri che assumono quelli come loro contenuti, mentre il nesso causale fra gli eventi stessi ribadisce ciò che Freud assiomaticamente considerava l’assoluto determinismo psichico. [23]


[1] M. Foucault, La volontà di sapere, tr. it. di P. Pasquino, G. Procacci, Feltrinelli, Milano 2008 (1978).
[2] U. Eco, Trattato di semitica generale, Bompiani, Milano 1975, p. 360.
[3] Ivi, p. 369.
[4] Ivi, p. 369.
[5] Ivi, p. 371.
[6] K. Marx-F. Engels, L’ideologia tedesca, tr. it. di F. Codino, Editori Riuniti, Roma, 1972, p. 13.
[7] Ibidem.
[8] L. Althusser, Sull’ideologia, tr. it. di M. Gallerani, Dedalo, Bari 1970.
[9] Ivi, pp. 52-54.
[10] Ivi, pp. 60-66.
[11] Ivi, pp. 67-75.
[12] Ivi, p. 55.
[13] Ivi, pp. 27-35. Oggi probabilmente Althusser indicherebbe l’informazione.
[14] Ivi, p. 63.
[15] M. Grasso e P. Stampa, L’inconscio non abita più qui: Psicologia clinica e psicoterapia nella società dell’illusione, Franco Angeli, Milano 2015, p. 13.
[16] Ivi, p. 16.
[17] G. Canguilhem, Il Normale e il Patologico, tr. it. di D. Buzzolan, Einaudi, Torino 1998.
[18] Grasso e Stampa, Op cit., p. 32.
[19] Ibidem.
[20] Questo paragrafo riprende quanto esposto in S. Vero, Le strutture profonde della comunicazione, Bonanno, Roma 2006, pp. 84-89.
[21] Per la questione dell’alterità, ovvero della distanza del soggetto dall’oggetto epistemico si veda Jean Piaget, Lo strutturalismo, tr. it. di Andrea Bonomi, Il Saggiatore, Milano 1978 e F. Bottaccioli, Mutamenti nelle basi delle scienze, Tecniche Nuove, Milano 2011. Per la questione del determinismo/aleatorietà si veda invece A. Lalande, Dizionario Enciclopedico di Filosofia, ISEDI, Milano 1971, pp. 127-128.
[22] L’ortogonalità è qui da intendere nel senso statistico di “fattori non correlati”, ovvero indipendenti fra loro.
[23] S. Freud, Psicopatologia della vita quotidiana: dimenticanze, lapsus, sbadataggini, superstizioni ed errori, tr. it. di C. Federico Piazza, M. Ranchetti, E. Sagittario, Boringhieri, Torino 1971, pp. 252-291.


Sandro Vero vive a Ragusa. La sua attività di psicoterapeuta è affiancata da un’intensa attività di promozione e provocazione culturale. Giornalista e scrittore, interviene su alcune testate online e portali di filosofia. È nella redazione di Historia Magistra, diretta da Angelo D’Orsi. È stato docente di psicologia della comunicazione per l’Università di Catania. Ha pubblicato numerosi articoli scientifici e due volumi, Le Strutture Profonde della Comunicazione (Bonanno) e Il corpo disabitato (Angeli). È in stampa per l’editore Il Prato un lavoro sulla macchina mitologica del capitalismo, Il mito infinito.



Jean-Michel Basquiat, Pedestrian 2 (1984)


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