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Foucault: socialismo e razzismo
In appendice: M. Foucault, «Domande. Lezione undicesima, Corso 1976 al Collège de France, Il faut défendre la société»
di Marco Baldino
12 maggio 2017
Antisemitismo, razzismo, sono cose vecchie, che preesistono alla formazione di ciò che Foucault chiama “razzismo di stato”. C’è tuttavia un momento in cui lo stato si appropria dell’antisemitismo in vista di uno spostamento verso l’esterno della guerra come guerra (guerra tra stati) e in cui la guerra interna viene interdetta. Al posto di questultima compare una politica di salute pubblica che si sostituisce al tema dello stato quale strumento di dominio di una razza sull’altra, quale era in effetti lo stato di Francia sotto l’ Ancien Régime; alla guerra fra razze in senso a un medesimo stato si sostituisce il tema di uno stato biologicamente omogeneo, di cui va protetta l’integrità con un’azione di polizia medica.
Se l’antisemitismo esiste anche prima del XIX secolo, interviene tuttavia in modo diretto scrive Foucault nella costituzione del razzismo di stato proprio nel XIX secolo. Singolare è pertanto la seguente analisi di Foucault: nel XIX secolo il socialismo non pose mai in prima istanza i problemi economici o giuridici, i problemi relativi alla proprietà o al modo di produzione, non pose mai, cioè, il problema della “meccanica del potere” e, nella misura in cui non lo fece, non potè esimersi dall’utilizzarne e in modo irriflesso i meccanismi, tra cui il razzismo.
Nel XX secolo il socialismo non solo riprende il tema del “bio-potere” (= potere che invece di presentarsi come forza che governa attraverso la minaccia di morte, inizia a governare attraverso una lusinga di vita e a una certa capacità di garantire la vita e di lasciar andare alla deriva, in un isolamento crescente, e quindi morire, l’elemento eterogeneo) e addirittura lo sviluppa, per esempio con lo stato sovietico, ma tutto ciò è già, insospettabilmente, nel socialismo ottocentesco.
«Il socialismo del XIX secolo è stato immediatamente un razzismo» [1], dice Foucault: ogni volta che il socialismo ha insistito sul problema della “lotta contro il nemico”, sul problema dell’“eliminazione dell’avversario interno”, è riemerso il razzismo. Questo perché per eliminare l’avversario fisicamente, faccia a faccia, e non solo “economicamente” (privandolo per esempio dei privilegi), è stato necessario mettere in campo una giustificazione in più. Il razzismo deve cioè fornire, come di fatto fa, un modo per giustificare l’uccisione dell’altro uomo. Nel caso dei comunardi, il nemico di classe è stato pensato come il nemico di razza, nella forma in cui tutte le società capitaliste avevano pensato la classe che detiene il potere economico, vale a dire gli ebrei ed è così che gli ebrei, da questo momento in poi, diventano, sic et simpliciter, eliminabili.
APPENDICE
Domande. Lezione undicesima, Corso 1976 al Collège de France, Il faut défendre la société*
D. PERCHÉ LA COMUNE? […]
R. Per la ragione che nello scontro fisico dei comunardi […] il nemico di classe è stato pensato come il nemico di razza. Ma in quale forma? Essenzialmente nella forma della razza che, in tutte le società capitaliste, risulta detenere il potere economico, vale a dire gli ebrei. L’anti-semitismo non è stato reiniettato, riattivato in Europa, nella seconda metà del XIX secolo, dal capitalismo, ma dai movimenti socialisti. Ed è solo con Drumont che in Francia avviene il passaggio da un anti-semitismo che era fondamentalmente socialista, alla sua utilizzazione a fini politici di destra. Con l’affare Dreyfus tutto va proprio in questa direzione.
D. [SUI COMUNARDI].
R. Si tratta, lo ripeto ancora una volta, di temi nazionalisti. Vediamo le cose da un altro punto di vista: è soprattutto il socialismo francese ad essere stato anti-semita. Il nemico è stato pensato e sentito non tanto come il padrone, quanto come colui con il quale si è indebitati. Il nemico è il banchiere, è chi ha il potere del denaro. La ragione di tutto ciò dipendeva dal fatto che in Francia il socialismo, dopo gli anni 1840-1848, si era sviluppato prevalentemente nella piccola borghesia, tra gli artigiani, gl’impiegati, gente di questo genere, e anche tra gl’intellettuali. Di conseguenza, il nemico non era più tanto il padrone della fabbrica, ma era il finanziere, il banchiere, colui con il quale ci indebitava […]. Pertanto il nemico di classe fisicamente era pensato come il finanziere e razzialmente era articolato come l’ebreo. Dunque, il nemico che bisognava distruggere, quello che occorreva cacciare in quanto specie, nella sua totalità, era l’ebreo. L’antisemitismo si è sviluppato negli ambienti socialisti a partire da tutto ciò. Lo si può vedere già formulato in coloro che faranno la Comune nel 1870; lo si vede già formulato in diversi testi, molto interessanti, e d’un’estrema violenza, fin dal 1865.
D. [SULLA DIFFERENZA TRA STATO SOCIALISTA E STATO CAPITALISTA].
R. È proprio quello che mi sono affannato a spiegare. Evidentemente mi sono espresso male visto che non lo si è compreso. Ho cercato di dire che gli stati socialisti funzionano con gli stessi meccanismi di bio-potere e di diritto di sovranità che si trovano negli altri. Almeno da questo punto di vista, dunque, nessuna differenza.
D. […].
R. Questo è un altro problema. Per il momento sto parlando del bio-potere. Non parlo degli stati socialisti in generale; ma parlo dei meccanismi di bio-potere e di sovranità. Dico solo che essi funzionano allo stesso modo negli stati socialisti e negli stati non socialisti. La cosa mi sembra estremamente semplice.
* Da: Difendere la società. Dalla guerra delle razze al razzismo di stato, testo stabilito e tradotto da M. Bertani e A. Fontana, Ponte alle Grazie, Firenze 1990, pp. 171-172. Il testo qui riprodotto è la copia integrale della pagina di discussione posta in coda alla lezione undicesima del volume che raccoglie le lezioni del corso Il faut défendre la société, tenuto da Foucault al Collège de France nellanno 1976. Il corso ebbe quale prima edizione mondiale quella italiana (l’edizione francese è del 1997). Questa pagina non compare più nell’edizione Feltrinelli del 1998 (così come non compare nell’edizione francese). Il titolo, Bisogna difendere la società, suona in effetti troppo imperativo rispetto a ciò che Foucault intende dire, nonostante i doppi apici: riconoscere che ciò che passa tra la visione classica e quella post-illuminista è che il problema non è più quello di difendersi contro la società, ma di difendere la società contro tutti i pericoli biologici che quell’altra razza, quella sotto-razza, quella contro-razza che con i nuovi mezzi delluniversalismo giacobino-babuvista noi stessi veniamo costituendo, mette o potrebbe mettere in atto [cfr. Difendere la società (edizione Ponte alle Garzie), Lezione terza, cit. p. 52 (edizione Feltrinelli, p. 58)]. Quanto mai appropriato ci pare allora il sottotitolo proposto da Bertani e Fontana, «Dalla guerra delle razze al razzismo di stato», che traccia il percorso, tuttaltro che lineare, di questa trasformazione dalla guerra delle razze in seno a un medesimo stato al razzismo di stato in difesa della società.
[1] p. 170 dell’edizione Ponte alle grazie (1990) e pp. 225-226 dell’edizione Feltrinelli, Universale economica (1998).
Andy Wahrol, Mao
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