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Ernst Tugendhat: Nietzsche, egualitarismo e differenzialismo
di Marco Baldino

12 marzo 2001 - 21 maggio 2014



Sommarietto redazionale: «il filosofo [cioè Tugendhat] mette in guardia dai tentativi di minimizzare gli attacchi di Nietzsche al principio di eguaglianza tra uomini e si oppone alla moda che ne annacqua la violenza di pensiero [per “Micromega” ciò che non è egualitarista è sempre violento] e lo vede festeggiato dappertutto come moderno contemporaneo» (Ernst Tugendhat, “Nietzsche e Hitler contro l’eguaglianza”, Micromega, 5, 2000).

Dal canto suo Tugendhat inizia con due affermazioni assolutamente sottoprofessionali, e che per di più contraddicono il sommarietto redazionale:

I.
«Credo che Nietzsche non avrebbe detto molte cose se avesse saputo quello che nel frattempo abbiamo saputo».

II.
«Chi legge Nietzsche oggi deve o chiudere gli occhi di fronte a certe affermazioni o esclamare: “Se tu lo avessi saputo!”».

Che cosa vuole sostenere Tugendhat?

a. vuole salvare Nietzsche da quelle che egli considera le conseguenze inevitabili del suo pensiero;
b. vuole sostenere che Nietzsche era in realtà un imbecille;
c. vuole sostenere che Nietzsche era un’anima candida e che gli eventi storici del Novecento lo avrebbero in realtà sconvolto.

En passant: l’espressione «Ah, se lo sapesse!» in Italia e in Germania era molto in voga proprio al tempo del Duce e del Führer (per il Duce vedi la mia mamma, classe 1915, per il Führer vedi Leni Riefensthal, Stretta nel tempo. Storia della mia vita, trad. it. di A. Valtolina, Bompiani, Milano 1995).

Egualitarismo e differenzialismo: non si capisce perché dovremmo chiudere gli occhi di fronte a certe affermazioni di Nietzsche, soprattutto quelle che riguardano l’antiegualitarismo; come se l’egualitarismo fosse il bene in sé e il differenzialismo il male in sé. Penso di essere semplicemente realista quando dico che ci sono fasi egualitariste e fasi differenzialiste e che la nostra è una fase egualitarsta* (osservare però che il differenzialismo filosofico, e quindi anche politico, degli anni Settanta e Ottanta è nato di sinistra).

Domanda per gli imbecilli: si deve sempre stare con la sinistra, sempre con il differenzialismo o sempre con l’egualitarismo? Bobbio manifesta un’analoga posizione: questi vede in Nietzsche il campione delle idee antiegualitariste — a proposito: chi è il vero nichilista nietzschiano, il globalmanager o il Black bloc? O stanno entrambi dalla stessa parte, quella del male in sé?


Una stupidaggine di Tugendhat sulla Shoah

«Il programma di sterminio degli ebrei — i presunti portatori delle idee egualitarie — è una conseguenza del fatto che Hitler li vede come razza».

1) Gli ebrei sono stati accusati di tutto nella Germania hitleriana e, tra l’altro, anche di essere i responsabili della diffusione del bolscevismo, ossia, per Tugendaht, delle “idee egualitarie”. Accanto a questa ignobile menzogna ve ne erano però anche altre, non meno diffuse e non meno false, tra le quali quella secondo cui gli ebrei, in vista della realizzazione del dominio ebraico-massonico sul globo, estendevano il loro controllo sulla finanza mondiale (erano cioè accusati di essere global e niente affatto local, cioè niente affatto völkisch — termine che, come sappiamo, sebbene vanti natali tutt’altro che ignobili, sotto il nazismo divenne sinonimo di “razzismo”, “razziale”). Gli ebrei sono stati sì accusati dai nazisti di essere bolscevichi, ma anche di essere il vero motore del capitalismo impersonale, transnazionale, apolide e apatride, distruttore della forma antico-tedesca dell’azienda famigliare, legata a una dinastia industriale, a una personalità, ad una specifica forma dell’intelligenza razziale tedesca.

2) In secondo luogo, a proposito della “razza”, è giusto vero il contrario: Hitler vedeva come razza i tedeschi e, sulla scorta delle teorie di Chamberlain e Rosenberg, vedeva gli ebrei come privi di razza, come il puro residuo informe della materia originaria da cui avevano preso forma le razze umane; pura molteplicità senza luogo natio, senza terra, senza patria, senza carattere, senza sangue, ossia, per dirla alla tedesca, senza Heimat, senza Boden, senza Vaterland, senza Volkstum, senza Blut e, per essere molto precisi, riutilizzando la formula di Tugendhat, il programma di sterminio degli ebrei è una conseguenza del fatto che Hitler li vede come non-razza, come materia priva di forma, priva di Gestalt, riplasmabile a piacere. Hitler agisce essenzialmente per ragioni estetiche, non per ragioni biologiche — credo che sarebbe sufficiente leggere il libretto di Philippe Lacoue-Labarthe e Jean-Luc Nancy dal titolo Le mythe nazi, pubblicato in Francia nel 1991.


Pedagogia e ortopedia della lettura

I.
«Per Nietzsche — scrive Tugendaht — l’agire interumano è solo un agire contro altri e non con altri. Solo en passant Nietzsche ha intrapreso il tentativo di intendere l’autonomia, a partire dallo spirito libero, nella sua funzione per la società».

Secondo Tugendhat c’è un modo giusto di intendere l’autonomia ed è quello di intenderla nella sua funzione per la società. Tugendaht è libero di pensarla come vuole, ma non si capisce perché esporre la propria opinione cercando, nel contempo, di dimostrare:
    a) che Nietzsche era un mostro;
    b) in subordine: che se si vuol leggere Nietzsche non lo si può fare così, senza reti di protezione, altrimenti il mostro ti mangia.
Occorre una guida, qualcuno che dica: qui lui scrive così, ma è meglio che tu intenda cosà; oppure: lui scrive così, ma, insomma bisognerebbe un po’ contestualizzare la frase, sembra cattivo (cioè non egualitario, antisociale), ma non tutto ciò che dice è di questo tenore, dice anche delle cose giuste… ecc..

Tugendhat dice cioè che non si può leggere un testo filosofico da soli, almeno certi testi, così come nell’Ottocento si sconsigliava la lettura dell’Antico Testamento senza una guida sicura. Occorre almeno una formazione, l’introiezione di un sistema di censura capace di fissarsi nella forme generali della ‘competenza’. Se non siamo educati a trascegliere ciò che è buono e a scartare ciò che è cattivo in un pensatore si finisce per diventare delinquenti. Insomma, Tugendhat sostiene la necessità di una lettura morale di Nietzsche (Sic!) [Almeno Bobbio non pretende di fare di Nietzsche quello che non è] e, per induzione, di ogni filosofo, e per estrema induzione, di ogni testo della tradizione che si presti a un’interpretazione. Poi Tugendhat dice anche se ci poniamo all’esterno di questo sistema di lettura morale, educata e guidata, allora non possiamo che intendere l’autonomia in modo sbagliato. Quello giusto, cioè morale, è quello sociale e comunitario; quello sbagliato, ovviamente, è quello individualista, differenzialista, selettivo.

II.
«Il problema di ricondurre ad autonomia la trascendenza religiosa o morale delle norme — prosegue Tugendhat — non è un problema che si ponga al soggetto umano, ma agli uomini, a noi. […]. Così verrebbe eliminata la contraddizione che esiste, secondo Nietzsche, tra “costume” (norma) e “autonomia”».

La soluzione di Tugendhat è addirittura ridicola. La contraddizione tra norma ed autonomia resta, proprio perché l’autonomia è tale di contro alla comunità, ossia alla norma. Tugendhat pretende di risolvere la contraddizione indicata da Nietzsche (e prima di lui da Stirner) tra comune e proprio assumendo il comune come fondamento o regola del proprio. Ma la contraddizione indicata da Nietzsche nasce proprio dal fatto che si assume il comune come “buono” e il proprio come “cattivo”.

III.
Tugendaht è Professore emerito di Filosofia della Freie Universität di Berlino.

Secondo Spinoza: «Le accademie che si fondano a spese dello Stato, si istituiscono non tanto per coltivare le menti, quanto per imbrigliarle. Ma in una libera repubblica le scienze e le arti saranno coltivate nel modo migliore, se si darà il permesso a chiunque lo chiederà di insegnare pubblicamente, e ciò a sue spese e a rischio della sua reputazione» (Trattato politico, cap. VIII, art. 49).


* Nel 2001 il testo riportava: «la nostra è una fase differenzialista». Oggi le cose sono cambiate e ci troviamo, per una miriade di motivi, e come ho scritto, in una fase “egualitarista” – nel senso che questa è la tendenza attribuibile al comune sentire. Uguaglianza e differenza sono le due facce di una stessa medaglia: l’uguaglianza è la morte, la differenza è la vita. Ma una differenza troppo forte determina manifestazioni egualmente distruttive e deve perciò essere limitata con opportune contromisure.



Micromega, 5/2000, quarta di copertina, prticolare



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