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Comunismo e stalinismo, Lukács e Solženicyn
di Marco Baldino

2017*


Nel 1962 Lukács scrive un saggio dal titolo «Solženitsyn: Una giornata di Ivan Denisovič» [1] in cui, a partire dalla discussione di una questione eminentemente estetica (la distinzione tra romanzo e novella nella letteratura occidentale) viene riesponendo la questione del marxismo a fronte del processo di destalinizzazione avviato dal XX congresso del PCUS.

In occidente — afferma Lukács — la novella č un regresso rispetto al romanzo perché, eliminando la prospettiva storica, presentando cioč scene molto tagliate temporalmente, impedisce di cogliere gli elementi di sviluppo (dialettico) del dato in esse presentato. Diverso č il caso della novella di Solženicyn, Una giornata di Ivan Denisovič, dove la scelta di ridurre all’intervallo di una sola giornata e, per giunta, di una giornata buona, il racconto di ciň che si svolge in un lager, rende piů incisiva la critica che esso contiene: una critica del sistema di vita nella fase stalinista del socialismo sovietico, lasciando volutamente intendere che il lager č in qualche modo il simbolo della vita sotto Stalin.

Sia chiaro: la vera critica dello stalinismo — a detta di Lukács — trova il suo fondamento teorico-politico nel XX congresso del PCUS. «Il XX congrsso — scriveva Lukács nel 1956 — contiene possibilitŕ entusiasmanti [...] per l’attuazione di quelle possibilitŕ del marxismo che ora sono state liberate e che riempiranno la vita di noi tutti. Questo avvenimento deve colmarci di pathos e di entusiasmo». [2]

La novella di Solženicyn ha comunque il merito di aver elaborato il simbolo letterario di un passato non ancora superato, «non ancora rappresentato nella letteratura». In sostanza, per Lukács il ruolo della letteratura nella societŕ socialista sembra essere quello di fornire un superamento delle contraddizioni, diciamo cosě, nei cuori. Anche se il lager non esiste piů nei fatti, sostiene grosso modo Lukács, esiste tuttavia ancora nei cuori; il lavoro letterario di Solženicyn serve a questo: a finire di estirpare dal cuore dei sovietici le lunghe radici dello stalinismo.

Il problema per Lukács č la rinascita di un autentico marxismo che si lasci alle spalle il burocratismo, il culto della personalitŕ e il campo di concentramento. Ed č Solženicyn a fornire un’anticipazione concentrata della futura resa dei conti con l’etŕ staliniana e che, in questo modo, anticipa la grande letteratura (socialista) del futuro. L’intenzione di Lukács č qui, per sua esplicita ammissione, quella di mostrare che «la base di esistenza impone assolutamente al realismo socialista uno stile diverso da quello che la realtŕ degli anni venti prescriveva alla letteratura di allora». Ebbene, secondo Lukács la novellistica di Solženicyn «nasce realmente da questo terreno». Solženicyn č per Lukács alla base di un rilancio in grande stile di un’autentica letteratura socialista (superamento delle contraddizioni interne del socialismo stesso mediante la loro rappresentazione paradigamatica nella letteratura).

La conclusione alla quale dobbiamo quindi giungere č che per Lukács lo stalinismo č, a tutti gli effetti, una contraddizione interna al processo di costruzione del socialismo, contraddizione che puň e deve essere superata.

Nel 1966 Lukács descrive le cause della crisi dell’Unione sovietica alla morte di Stalin in questo modo: «Per quanto il sistema di direzione di Stalin possa essere stato profondamente problematico dal punto di vista economico, pure esso č stato capace di costruire e mettere in funzione un’industria pesante orientata verso la guerra. Dopo la conclusione vittoriosa della guerra contro Hitler, questo sistema perň č diventato sempre piů incompatibile con il normale funzionamento della giŕ sviluppata industria sovietica. Non era piů possibile indirizzare, con i metodi degli anni trenta, la massa degli intellettuali e degli operai sovietici [...] verso la produzione pacifica, estesa e altamente qualificata [...]. Cosě ha avuto inizio la liquidazione dell’era staliniana». [3]

La liquidazione dell’epoca staliniana — se pure questa espressione non debba essere rivista — avviene quindi per motivi economici, non per motivi etici.

Interessante č perň confrontare questa serie di opinioni del Lukács con quelle espresse direttamente da Solženicyn nel 1975, cioč non appena ebbe la possibilitŕ di esprimersi, un anno dopo la sua espulsione dall’Unione sovietica, dinanzi al mondo libero: a coloro i quali non si fanno convinti della reale minaccia rappresentata dal sistema sovietico per l’intera umanitŕ io dico — cosě si esprime lo scrittore che Lukács aveva indicato come l’esempio piů fulgido di letterato socialista — che «Sono stato nel ventre del drago, nel suo ventre rosso e ardente. Lui non mi ha digerito e mi ha rigettato ... E io sono venuto a testimoniarvi come si sta laggiů, nel ventre del drago». Il volume Discorsi americani raccoglie tre discorsi, due dei quali pronunciati su invito della federazione sindacale americana AFL-CIO, il terzo pronunciato davanti al Senato degli Stati Uniti.

Nella seconda conferenza, dedicata all’ideologia marxista, Solženicyn sostiene, a proposito dello “stalinismo”, quanto segue: «non c’č mai stato nessun stalinismo», lo stalinismo «č una invenzione di Krušcëv e del suo gruppo per attribuire a Stalin quelli che sono invece i caratteri fondamentali del comunismo, le sue colpe congenite. E sono perfettamente riusciti nel loro intento». [4] Secondo Lukács con la rivoluzione d’ottobre sarebbero «nati i presupposti materiali del marxismo per la reale costruzione scientifica piů volte sollecitata da Engels e poi anche da Lenin nei Quaderni filosofici. L’immensa colpa storica dello stalinismo sta nell’avere non solo lasciato inutilizzata questa costruzione scientifica, ma fatta retrocedere». [5] In sostanza, la colpa storica dello stalinismo non starebbe nei 16.000.000 di morti di cui parla per esempio Foucault, ma nel fatto che Stalin «ostacolň proprio la tendenza che sarebbe stata capace di questa [scientifica] costruzione». [6]

«In realtŕ — prosegue Solženicyn — aveva giŕ fatto tutto Lenin, molto prima di Stalin. Č stato lui a ingannare i contadini con la terra, č stato lui a ingannare gli operai con l’autogestione, č stato lui a fare dei sindacati uno strumento di repressione, č stato lui a creare la Cekŕ e i campi di concentramento ...». [7] A Stalin, prosegue Solženicyn, «si puň al massimo addebitare un eccesso di diffidenza [...]. L’unica colpa di Stalin fu nei confronti del proprio partito, fu di non fidarsi del suo stesso partito. Solo per questo motivo č stato inventato lo stalinismo». [8] Ciň che a Solženicyn preme affermare č questo: «che in realtŕ Stalin non ha per niente deviato dalla linea del suo predecessore».


* © 2002. Prima pubblicazione Kasparhauser | Politca, Luglio 2012.


[1] G. Lukács, «Solženicyn: Una giornata di Ivan Denisovič», trad. di F. Codino, in Marxismo e politica culturale, traduttori vari, Einaudi, Torino 1977, pp. 187-209.

[2] G. Lukács, «Discorso al dibattito filosofico del Circolo Petöfi (estratto)», trad. di F. Codino, in Marxismo e politica culturale, cit., p. 79. Per Foucault vedi «Studiare la ragion di stato», in M. Foucault, Biopolitica e liberalismo, a cura di O. Marzocca, Medusa Edizioni, Milano 2001, p. 150: «Il controllo esercitato in Unione sovietica č molto forte. Apparentemente, nella vita dell’individuo nulla lascia indifferente il governo. I sovietici hanno massacrato sedici milioni di persone per edificare il socialismo. Il massacro di massa e il controllo individuale sono due caratteristiche profonde delle societŕ moderne».

[3] G. Lukács, «Intervista a “L’Unitŕ”. 28 agosto 1966», in Marxismo e politica culturale, cit., p. 211.

[4] A. Solženicyn, Discorsi americani, trad. di S. Rapetti, Mondadori, Milano 1976, p. 58. Leggere i Discorsi americani di Solženicyn a trent’anni dalla loro pubblicazione, quando si ha la mia etŕ, č colpevole. Se me li avessero proposti nel 1976 li avrei rifiutati. Oggi sarebbe invece salutare rileggerli in grande stile, a grande diffusione, non foss’altro che per allontanare il fantasma che si annida in certe pieghe interne della cultura della sinistra europea. Sulla scia di questi Discorsi ho voluto rileggere alcuni saggi di Luckács e uno in particolare, quello dedicato proprio a Solženicyn e al suo racconto Una giornata di Ivan Denisovič. Ciň che mi ha colpito č senz’altro lo scarto tra l’andamento realpolitik e regionalistico del discorso di Luckács e la dimensione etica della visione complessiva del discorso di Solženicyn. Per il primo lo stalinismo č una sorta di deviazione interna al processo di sviluppo del socialismo in URSS - č cosě che tutti i marxismi europei interpretarono la fase staliniana della storia sovietica dopo il 1956, nonostante l’Ungheria. Per il secondo lo stalinismo č invece un’invenzione atta a consentire al comunismo, di cui Stalin fu autentico interprete, di proseguire nel suo cammino di devastazione, inscenando una sorta di autorevisione umanizzata. Per Luckács il racconto Una giornata di Ivan Denisovič č il tentativo della letteratura autenticamente socialista di estirpare dal cuore dei comunisti la contraddizione stalinista, mostrandone il volto grigio e non autenticamente marxista. Ma quando Solženicyn poté parlare liberamente della vita in Unione sovietica si poté comprendere, si sarebbe dovuto comprendere non solo che Luckács parlava in realtŕ come un funzionario kruscioviano, ma che quello scrittore che il filosofo aveva eletto a mentore del passaggio al post-stalinismo era in realtŕ ben deciso a non lasciarsi coinvolgere in processi di revisione storica del marxismo. Il problema per lui era tutto il comunismo, unitamente alla sua dottrina: il lager di Ivan Denisovič era prima di tutto un lager comunista e di questo dovevano rispondere non solo Stalin e la nomenklatura del partito al potere in quell’epoca, ma tutto il gruppo storico della rivoluzione bolscevica, Lenin compreso e, cosa che sconvolse non pochi, i suoi padri teorici: Marx e Engels. Le parole di elogio usate da Luckács per il XX Congreso del Pcus e per lo scrittore Alexandr Solženicyn reduce da un decennio di internamento, suonano straordinariamente contraddittorie: o si sbagliava sul significato del XX Congresso o, bisognerebbe dire che, interpretando Solženicyn, si sbagliava sul valore di libertŕ e di emancipazione della dottrina marxista.

[5] G. Lukács, «Discorso al dibattito filosofico del Circolo Petöfi», cit., p. 84.

[6] Ibidem.

[7] A. Solženicyn, Discorsi americani, cit., p. 84.

[8] Ibidem.




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