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Dans un grand geste perdu. Sugli universi figurali di Frédéric Dupré
di Giuseppe Crivella
26 settembre 2022
Toute plante était crypte et tout bestial aqueux
rare était lambulant arbre était la fougère
admirons admirons larthropode scorpion
qui le premier risqua ses huit petites pattes
sur un sol ignorant lanimale traction.
(R. Queneau, Petite cosmogonie portative, IV, vv. 165-169)
1. Un noumenico deserto.
Nel saggio che chiude Images Mobiles dedicato, come noto, al trattato De Pictura di Leon Battista Alberti Jean Louis Schefer osserva a chiare lettere che questo scritto fondativo della Modernità non solo può essere concepito a tutti gli effetti come un vero e proprio Discorso sul Metodo ma, dopo aver enunciato una serie di leggi relative ai criteri di formulazione e messa a punto dellistoria, affronta in termini meramente geometrici la questione della genesi del mondo raffigurato partendo dai problemi tecnici afferenti alla costruzione dello spazio rappresentativo ove, in seconda battuta, calare i corpi che daranno luogo agli sviluppi dellistoria stessa.
Si tratta di elaborare le matrici plurali di una grammatica figurativa in grado di integrarsi e di coordinarsi in maniera serrata e concordante al fine di offrire un proscenio arditamente razionale alle vicende narrate. Ma Schefer va oltre: a leggere con maggior attenzione i passi salienti dellopera dellAlberti scopriamo che poco a poco qualcosa viene a perturbare, ad infrangere, ad incrinare il rêve humaniste che per troppo tempo è stato associato, spesso in modo decisamente surrettizio, alla nascita della Modernità. Scrive a tal proposito lautore:
voilà peut-être le dernier mot du traité. Les manipulations du corps par ensemble et par partie sont à la fois réglées par lordre géométrique pour sa justesse ou sa détermination formelle et régies par un principe dinvention (la littérature), qui fournit des séquences ordonnées (des scènes, des récits), que le peintre doit exprimere, traduire ou mettre en figure [1].
Troviamo qui un primo fattore altamente problematico che inizia a mettere in discussione nei suoi capisaldi la concezione umanistica: limpianto architettonico soggetto a rigorosa geometrizzazione esercita una pressione deformante sulla raffigurazione del corpo umano, trasformato così in ultima istanza in una realtà astratta e ridotto quindi ad un volume inquadrabile e concepibile solo allinterno una pura e adamantina dimensione calcolistica.
La realtà propriamente somatica dei soggetti chiamati in causa dallistoria improvvisamente si trova ad essere trasfigurata in una trama spaziale che non ammette sbavature o eccezioni: tutto deve essere computabile e misurabile in una sorta di rarefatto delirio ferocemente algebrico, nel cui freddo nitore il corpo umano si situa solo come un trasparente dato residuale. Sulla base di queste premesse Schefer può proseguire operando un ulteriore affondo, tanto preciso quanto paradossale, nei suoi risvolti teorici:
quoi dautre? Un monde [...] fait par la pyramide visuelle, sa section, les angles et les diagonales, par un échelonnement des quantités vers lhorizon; un monde qui se dénude au fur et à mesure quil se dessine: cest quil est le squelette sous les muscles, le muscle sous la peau, la chair sous les vêtements. Et cest a nous, pourtant, lecteurs sans art, nourris de sciences passées dont nous recueillons le fruit poétique, cest-à-dire les fictions et les invraisemblances, à nous, sujets survivants de lencyclopédie romantique (qui plaçons lincertitude de notre moi dans lobjet des sciences), à nous encore, inventeurs ou accidents de la maladie du savoir moderne que ce monde désert sadresse à travers cette injonction dAlberti: «A louvre», comme si nous avions maintenant à peupler avec grâce le désert qui résulte du fonctionnement de notre appareil optique dès lors quil nenregistre tout dabord proprement rien [2].
In questo niente, al tempo stesso originario e terminale, corrispondente al grado zero non solo della figura ma anche della struttura destinata ad accoglierla, Schefer fa culminare lo scritto dellAlberti, trasformandolo in una sorta di trattato cripto-metafisico in cui linvenzione della prospettiva serve di fatto a progettare e a costruire un mondo infinitamente anteriore alla comparsa delluomo, ostile ad esso e pressoché inadatto al suo posizionamento in esso: spazio capziosamente desertico in cui non si dà un soggetto prioritario o privilegiato, in cui luomo si arena senza resto divenendo un relitto incomprensibile, assorbito o, per essere più precisi, divorato da un complesso e articolatissimo sistema di rapporti e proporzioni che non prevede la sua presenza nei propri criteri manifesti o latenti di configurazione.
Se da un lato quindi la nuova spazialità messa a punto da Leon Battista Alberti comincia a coincidere perfettamente con ciò che Michel Serres chiama mathéma transcendant [3], ciò che invece tenta di assumere unidentità morfologica più o meno definita e riconoscibile viene come respinto in una sorta di limbo dellinfigurabile. Loggetto che appare su quella scena deve appartenere per forza di cose ad un limitatissimo alfabeto astratto. Scrive Serres in relazione a ciò:
sil existe comme objet arrêté, fixe et stable, son statut dobjet est sans cesse repoussé, sans cesse éloigné, à chaque invention originaire. Sans doute ny a-t-il dobjets mathématiques que les objets morts pour le mathématicien actuel: il ny a pour lui que des mirages mathématiques, le jeu infini des miroirs dans lavenue des glaces dont parle Lautréamont. Le carré comme objet nest alors que cette forme blanche, cette table, ce cadre, cette cire vierge, support et matière, porte-empreinte des morphés successives, complément de lintersection des théories abstraites lues ou écrites sur lui [4].
Lo spazio prescrive al suo interno solo un ristretto novero di oggetti che possono installarsi in esso seguendone le strutturazioni minute. La ratio severamente geometrica elaborata qui opera una capillare e mirata devitalizzazione di ciò che essa è deputata ad ospitare. Tutto ciò che non segue la ferrea logica del mero dato soggetto a matematizzazione si insinua in esso come un ospite parassitario e inammissibile che, come osserva ancora Serres, genera solo zone di interferenza allinterno dellimmagine.
Questa ormai si origina sulla base di una meccanica endogena ben prestabilita. Il modello matematico di Alberti scandisce attentamente tutte le fasi di tale inesorabile sviluppo da cui nulla può sfuggire, come imprigionato in una glaciale equazione totalizzante in cui ogni portato derivante dalla nostra torbida corporalità sembra un remoto borborigmo emesso da unaddormentata e forse da secoli addomesticata sensibilità.
È per questo che il deserto può essere elevato a immagine cardinale attorno alla quale far ruotare lintera riflessione che Schefer consacra al trattato di Alberti. La visione serpeggia incerta e si smarrisce nel duro ed inflessibile nodo di linee che solcano il quadro, scandendo la nascita lenta ma inarrestabile di uno spazio congegnato ab ovo secondo una tabulazione analitica di rimandi interni, di congruenze, di intersezioni, di rispecchiamenti e di ridistribuzioni simmetriche allestite al fine di ottenere la compilazione di una scenografia, mentale prima e oggettiva poi, in cui ogni soggetto può trovare collocazione solo in ottemperanza alle leggi che presiedono alla sua matematica messa in forma.
È per questo motivo che Schefer, insistendo poco oltre ancora sul tema del deserto, può scrivere: «on crée lespace à partir de rien, comme en un désert, on engendre lhomme dabord comme un fantôme (une silhouette), puis comme une partie de lespace» [5].
2. Come un ricamo nel caos.
È da una sorta di generatio aequivoca simile a quella prospettata qui da Schefer che sembrano nascere i molteplici universi figurali di Frédéric Dupré. Si prenda, ad esempio, unopera dal titolo più che evocativo come La tâche infinie et le problème du phylactère. Athlète du désert [FIG. I], in cui la successione delle colonne, il loro scaglionamento in profondità, il dispiegarsi dellestensione spaziale secondo le tre dimensioni e la disposizione del pavimento a scacchi organizzano una cubatura sostanzialmente perfetta nella sua progressione geometrica, ove però dimprovviso qualcosa si deposita in trasparenza col sembiante impalpabile di unincrostazione delicatamemte ectoplasmica.
[FIG.I]
Sulla destra una sagoma fluttua come unimpurità emessa dallimmagine in un estremo sussulto: la figura si espande lenta assumendo la vaga fisionomia di una creatura umana prossima ad essere riassorbita senza resto in unultima contrazione dello spazio in cui si iscrive. Questultimo infatti è come attraversato dimprovviso da uninvisibile linea di frattura che ne scompagina e ne sommuove sottilmente e irreversibilmente la sorvegliatissima organizzazione interna. Per citare un noto estratto di Paulhan, potremmo dire che «un contre-espace violent éventre les murs et danse à travers les meubles. Il arrive quil emporte la chambre entière dans son tourbillon, et ne laisse subsister sur la toile que des petits objets pris divresse et tournant comme lui, un semis décailles» [6].
La figura si colloca così allinterno dei quelle architetture come un leggero punto di catastrofe che fa schiudere nellimmagine un frammentato innesco verticale di destrutturazioni speculari, le quali non solo non smettono di stratificarsi seguendo pedissequamente le logiche interne della costruzione ma non cessano neppure di rifrangersi in una sotterranea reticolazione di dissesti, urti e tracolli che assediano limmagine pur lasciandola apparentemente intatta nellaffilato ordine innervante la sua ineffabile staticità di cristallo.
Eppure, a guardar con più attenzione, non possiamo non notare che il nitido sistema di archi accavallatisi gli uni sugli altri verso il centro improvvisamente comunica lidea di un collasso lenticolare che non può più essere evitato. La matrice geometrica che presiedeva alla strutturazione del dato spaziale ora implode su se stessa e ciò che inizialmente aveva garantito la stabilità delle architetture ora le porta a franare allinterno di un deforme circuito topologico, ove esse iniziano a scivolare follemente le une nelle intercapedini delle altre.
Limmagine viene ora traslitterata in un ipnotico perpetuum mobile nel cui seno teorie di colonne, serie di contrafforti, fughe di volte, non sono più chiamate a disporsi secondo le leggi deputate a scandire una formulazione cartesiana della spazialità, ma piuttosto degenerano perversamente fino a sfociare in quellespace fibré [7] alla luce del quale del mathéma transcendant non resta che un prismatico crittogramma.
La cubatura prospettica dellAlberti ora va intesa come uno spazio molteplice di diffrazione obliqua e reiterata. Un mondo senza peso ed esposto alla inarginabile volubilité du flux intérieur [8] si dispiega attraverso un diagramma libero di energie morfologiche, che sciamano attraverso i brillanti ruderi di quelle geometrie pure a cui la Modernità aveva assegnato il compito di dare un nuovo volto al mondo. Ecco come Serres chiosa questo stato di cose:
ce lieu de déplie, comme dans litération des mondes oubliés du Ménon ou dans largument aristotélicien du Troisième Homme. Toute forme mathématique est une forme pré-mathématique, le carré de Pythagore, le pré-carré des successeurs. Dès quun nouvel enchaînement des raisons plus sûres que les anciennes, plus générales et plus enracinées dans la raison, vient au jour, la forme transcendante, que nulle transformation paraissait autrefois atteindre, forme maintenant archaïque et quasi concrète, descend sur la terre pour laisser le lieu à la nouvelle forme, semblable à son visage archaïque, mais approfondie et transcendée [9].
In relazione a tutto ciò, lepifania inopinata e traumatica dellathlète du désert fa sorgere allinterno della configurazione teorematica rinviante alle tesi di Leon Battista Alberti una nuova idea di immagine, ove tutto ciò che aveva valore in forza della sua pregnanza euristica di natura trascendente dun tratto si trova come proiettato su di una dimensione teorica più profonda ed ulteriore.
La figura umana rompe senza resto gli argini di una rappresentazione nella quale iniziano a trascorrere inediti impulsi generativi, al cui centro non cè più lassunto geometrico che dominava la costruzione prospettica da cui siamo partiti, ma piuttosto une infinité de strates morphiques [10] che travagliano e solcano dallinterno limmagine.
[FIG.II]
Non a caso in unaltra stupenda tavola di Frédéric Dupré, intitolata sempre Lathlète du désert, questultimo viene ad occupare il primo piano del disegno, dilagando su di esso e diventandone il protagonista assoluto [FIG. II]. Affiorante come una persistente penombra appena accennata sul ripido tremolio di acque increspate, la figura stenta a distaccarsi dallo sfondo, rimanendovi in ultimo come delicatamente invischiata, sempre prossima a precipitarvi ancora una volta, per dissolvervisi definitivamente ed infinitamente.
Strana creatura tramata di necrotiche labilità, essa non ha volto: un ovale senza tratti ci fissa da un irreperibile altrove senza nome e senza forma, verso cui improvvisamente ci troviamo come aspirati senza posa. Il corpo dellatleta è inoltre bloccato in una semi-torsione che imprime un movimento improvviso e vorticoso a tutti gli elementi dellimmagine, i quali prendono così ad orbitare intorno al corpo del soggetto, interpretabile ormai a tutti gli effetti secondo i termini di quel noud polytopique a cui Michel Serres dedica analisi di straordinario acume teoretico [11]. Ecco infatti dinanzi a noi
un espace fait dun éparpillement. Un corps ou axe centrifuge expulse ses dehors ou ses autres corps; il les aimante aussi comme de la limaille. Tout le dessin même brûlé, poinçonné est un acte daccumulation déléments hétérogènes. Tout sassemble pour emprisonner ou verrouiller un corps déjà là comme le pli ou laxe central du dessin, et tout vole en pièces, se résout en éclats [12].
Ma osserviamo ancora un istante la tavola in esame: il corpo dellatleta non ha una propria consistenza; appare sotto le sembianze di una granulosa nebula sul punto di dissiparsi in un molteplice esalare di singoli sbuffi che dilaniano la figura. Questultima è un nucleo altamente instabile di configurazioni che convergono su di essa circondandola di tensioni e attrazioni conflittuali. Degli infallibili moduli costruttivi riferibili agli assunti di Leon Battista Alberti qui non resta più nulla.
Vediamo così una spastica intelaiatura di linee incerte diramarsi sulla superficie dellimmagine. Un tratto più marcato taglia la figura centrale in due porzioni solcandola esattamente nel punto di disgiunzione in cui i due moti evocati poco sopra iniziano a scuoterla e ad agitarla. Tuttavia qualcosa non quadra: a guardare ancora meglio sembra che essa transiti attraverso una sorta di piano di rappresentazione ove la figura disegnata inaspettatamente prende posto alterandolo e perturbandolo nelle sue inesplicabili funzioni grafiche.
Siamo arrivati così alla nozione derridiana del subjectile, ovvero di ce qui se glisse entre les corps et les précède, [13] per utilizzare la definizione di Schefer, a cui lasciamo nuovamente la parola per illustrare con più precisione questo stato di cose:
il importe surtout que le corps, la pensée et son souffle trouvent une manière de circulation, de fluidité et déchange de leurs fragments, des pièces, bouts, traces [...]. Par toutes ces figures, lespace se rebloque, se désagrège: il est cependant vivant, mobile, sans point de vue unique ou principe dorganisation. Ce qui le fait, le dessine, larrête, leffrange est en cours de mutation [14].
Da un assetto topologico mirante alla produzione di una visione geometrale, passiamo ora ad un état nébulaire primaire [15] dove non è ammesso e non è previsto un osservatore privilegiato il cui occhio sia il punto di raccordo e di origine di ogni nozione di spazialità. È ancora Serres a sintetizzare questo aspetto asserendo in un celebre passo del quarto volume di Hermès che lépistémologie du regard sachève par la suppression de lobservateur [16].
Ma che cosa resta allora una volta realizzatasi tale soppressione, ovvero una volta che lo sguardo è stato del tutto assorbito, fino alla scomparsa, in una costruzione poli-prospettica ove ogni coordinata topologica è soggetta a drastica depolarizzazione? [17] Ecco allora uno spazio invertebrato, asintattico e adirezionale che si biforca e si pluralizza in unerratica ed entropica dromologia di luoghi precari ed interstiziali.
Di questi ultimi lAthlète du désert è al tempo stesso lesploratore inconsapevole e il portato allucinatorio che essi proiettano a partire dallincongruo ed inassegnabile punto sorgivo, il quale funziona qui come un attrattore strano che li disconnette, li disorienta, li ribalta luno sullaltro, li sdoppia e li porta ad aggregarsi in un condensatore di molteplicità variazionali, sovente anche reciprocamente repulsive e discordanti, ove tutte le forze morfologiche sembrano tendere senza posa al loro momento di omeostasi strutturale.
Al centro di questa indecifrabile immobilità il corpo dellatleta pulsa ancora e si dibatte silenziosamente con le sembianze sempre più astratte di un atrofizzato geroglifico incriptatosi nel punto esatto un cui lUbieté réplétive degli schemi topologici classico-moderni [18] subisce un decisivo scacco matto:
des optiques fantasmes trompent, dans un milieu blanc, cristallin, diaphane, brumeux. La terre, lair et leau se confondent, solides et liquides, flocons flous et brouillards se mélangent, ou, au contraire, chacun deux se découpe, fractal, et la lumière éclate, irisée, réfringente, par tout le spectre défini, multiplie les objets, frange les bords, joue avec les distances [19].
Opere come Mondes Intercalaires [FIG. III] e soprattutto Perspecteur illustrano in maniera molto precisa tale situazione. Concentriamoci allora sulla seconda tavola [FIG. IV]: anche in questo caso vediamo che il posizionamento dellosservatore è decentrato.
Limmagine infatti ora è leffetto diffuso di un concentrico sisma scaricatosi su ordini plurimi di concatenazioni volumetriche naufraganti in viluppi trigonometrici che a loro volta provocano a livello superficiale un fitto reticolo di progressive slogature, le quali arrivano così a sancire il tramonto definitivo dei piani rappresentativi in stesura monoscopica. Questi ultimi vengono così tramutati in uno scaleno marasma di anagrammi topologici allinterno dei quali losservatore si aggira e si smarrisce con lo strabismo tipico degli occhi asimmetrici di certi pesci abissali.
Ancora una volta esso slitta verso il margine destro della raffigurazione ove, simile ad unincognita inesplicabile, galleggia in una sorta di triangolare intercapedine che non appartiene ad alcuna compagine spaziale riferibile in maniera chiara e diretta alla composizione dominante la quale sincunea violentemente in una ristretta superficie reticolata, apparentemente allestita in quella porzione dimmagine al solo scopo di dare lillusione di poter formulare una ponderata computazione planimetrica, sulla base della quale postulare il ventaglio delle direttrici scopiche afferenti alla figura osservante.
[FIG.III]
Ma che cosa sta guardando questultima? La risposta non è semplice. Il centro della rappresentazione è occupato da una delirata maceria di congetturali ipostasi spaziali le quali finiscono per compenetrarsi disordinatamente le une nelle altre, al solo scopo di neutralizzarsi a vicenda, così da ingenerare un vorticante sfacelo geometrico, nel cui sordo turbinio locchio dellosservatore non solo è aspirato ma è anche traumaticamente centrifugato fino a provocarne lirreparabile disgregazione.
È solo a questo punto che la tavola in questione inizia a precisarsi nel suo significato specifico: il perspecteur non si identifica più con una puntiforme soggettività umana adombrata dalla fragile presenza laterale, ma coincide con limmagine stessa che si incarica ora di esibire lesorbitante panoplia dei deambulanti fuochi percettivi i quali, da angolature e prospettive altamente difformi, si sedimentano nel disegno assurgendo così a controverso e dinamico precipitato figurale che non cessa di declinarsi attraverso la disarticolazione di quei corps indéfiniment caverneux [20] culminanti tutti in ciò che, sempre chiamando in causa Michel Serres, potremmo derubricare come effetti di uno smisurato buissonnement fractal [21].
[FIG.IV]
La scena, apparentemente incomprensibile ad una prima, rapida occhiata, va in realtà letta come uno schermo su cui viene a disporsi secondo delle linee di forza latenti ma tenaci lesploso delle logiche configurative che presiedono alla rappresentazione. Limmagine poco a poco si dissalda in un febbrile gravitare di ambienti apocrifi che ora si dilatano e si disseminano in una multiplanare dispersione aperta di vani precedentemente incapsulati gli uni negli altri, ora si agglutinano fossilizzandosi al fondo di una sorta di vetrificata diatomea, ove si tramano ricami di ascessi e faglie, i quali non smettono di ramificarsi sulla superficie dellimmagine con le sembianze anodine di effimeri ideogrammi muti.
3. Linsecte net gratte la sécheresse.
Se le schematizzazioni di Leon Battista Alberti permettevano di congetturare lesistenza di un principio operatorio afferente ad una sorta di oil théorique [22], ora vediamo dispiegarsi il campo di apparizione molteplice e sfaccettata di un oil anamorphotique [23], il quale affiora e prolifera da ogni più riposta piega di quellinestricabile ganglio formato dal polimorfo frastagliarsi di palpebranti architetture scorsoie.
Per questo motivo, ancora sulla scorta delle riflessioni di Michel Serres, possiamo avanzare lipotesi che le tavole analizzate finora non facciano altro che delineare un modello notevolmente avanzato di espace transreprésentatif [24]. Questultimo nasce dal trasversale avvilupparsi di proteiformi camere ottiche, le cui pareti non smettono di riflettersi reciprocamente, provocando così un magmatico riverberarsi di immagini che si propagano senza sosta intorno al dissestato diffrangersi di una visibilità, le cui intermittenti epifanie interferiscono tra di loro in un circuito di scambi, sovrapposizioni, sconfinamenti e sostituzioni incrociate a cui risulta impossibile porre un argine.
Ma che succede se al centro della scena lartista prova a rappresentare se stesso? Possiamo rispondere a tale quesito esaminando rapidamente il disegno intitolato Autoportrait [FIG. V]: il volto appare immediatamente come una superficie disastrata. Sottoposto a macerazione, esso emerge da una specie di scatola simile ad un poliedro romboidale dai lati traslucidi, a sua volta inserita in unaltra sorta di contenitore dalla forma indefinibile. Il viso si compone di due occhi asimmetrici dalle dimensioni molto diverse e da qualcosa che solo a fatica può essere identificato con una bocca, la quale sembra prossima a sganciarsi dal resto del capo come in seguito ad una liquefazione dei tessuti.
[FIG.V]
Lautoritratto è in procinto di sorgere da una travolgente emottisi di pulsioni metamorfiche miranti a coniugare in maniera forzosa una serie alquanto caotica di volumi geometrici che fanno quasi da sfondo o da cornice al volto con delle masse di derivazione organica, le quali però non riescono a compattarsi in una definizione coerente. Ecco allora ergersi dinanzi a noi quel grumoso desquamarsi di epidermidi che conduit ce visage mouvant à varier, indéfiniment, à se reformer autre [25], rendendolo in ultimo spugnoso, perché imbevuto del tentacolare biancore del fondo, da cui cerca di divincolarsi e su cui ondeggia come una molle reliquia lattescente.
Locchio sinistro ha un aspetto mostruosamente anomalo: prossimo ad esorbitare dallincavo della testa, sembra saturo di un gorgogliante travaso che lo rende tumefatto fin quasi alla lacerazione della pelle. Su di esso scorgiamo quella che dovrebbe essere la pupilla, ridotta ad una specie di spessa traccia cicatriziale da cui si estroflette un corpo filamentoso in vibrante tensione, simile ad un orribile pedipalpo oculare, il quale remiga a vuoto nel siderale spazio-zero della pagina, cercando di strapparsi via dalla palpebra che lo ospita quale indecifrabile parassita.
Locchio destro invece sembra essersi chiuso per sempre, serratosi ormai su di una visione interiore che sprofonda in un minerale teatro psichico ulcerato da una convulsa farragine di lampeggiamenti fosfenici talmente ottenebranti che, potendo lasciare la parola alla figura ritratta, probabilmente la sentiremmo proferire con un filo di voce queste parole di Michaux:
je suis un continent de points. Je suis muré par des falaises de points. Un mur sans fin de points est ma frontière. Pullulation! Pullulation partout! Pullulation dont on ne peut pas sortir. Espace qui regorge, espace de gestation, de transformation, et dont le grouillement même [...] rendrait mieux compte que notre vue ordinaire de ce quest le Cosmos. Moyen rapide, unique, dentrer en communication avec linfini corporel. Ce stellaire intérieur est si surprenant, et si précipités sont ses mouvements, quil nest pas reconnu comme tel. Autoscopie cellulaire, ou au-delà du cellulaire où les énergies sont plus perçus que le particules, et où se superposent aussitôt comme sur un écran les images déclenchées par la pensée suractive [26].
Ora possiamo rispondere alla domanda formulata poco sopra: lautoritratto mostra ciò a cui è esposto locchio nel momento in cui questo si ripiega sulle proprie spire interiori; esso non ritrae laspetto esterno di un soggetto, ma mette in scena una paradossale autoscopia dello sguardo, il quale arriva così a cogliere se stesso in un frangente aurorale e notturno, sospinto cioè verso il proprio fermentante punto di fusione, così che lorganismo stesso in cui esso è posto si risolve in quella incessante poussiérisation de soi [27] che trasforma ciò che resta della soggettività in un fantôme sans borne [28], preda inerme di un avvolgente babelismo del sensibile sempre più viscerale e vorace.
Per questa ragione lAutoportrait non può ricalcare una fisionomia oggettiva, ma solo addentrarsi in in questo sfaldato sottosuolo di abnormi presenze aliene che si contaminano a vicenda finché non vengono riassimilate in unimpenetrabile falda di indistinzione, dove esse rimangono invischiate come mutile carcasse di creature dalla genesi impossibile.
Se Leon Battista Alberti ci costringeva ad abitare uno spazio organizzato intorno alla fuga prospettica dei piani rinvianti alla centralità, più o meno marcata, di un osservatore privilegiato ora, di contro, non ci resta che spostarci instancabilmente allinterno di un brancolante arcipelago formato dal moto di detritiche risacche sovraccariche di calcinati esoscheletri acefali e colonie di vescicole infette, di torsi sporulanti fungaie di arti fantasma e di peduncolate vertebre distrofiche, di retrattili epiteli squamosi e di corimbi da cui pendono neri grovigli di iridi punteggianti questo sconfinato labyrinthe anoptique [29] che, in ultima istanza, possiamo abitare unicamente sprofondandoci sempre di più.
[FIG.VI]
Quanto enucleato finora è ben visibile se si prendono in considerazione altre due opere di Frédéric Dupré, che a nostro giudizio permettono di riassumere le posizioni appena esposte. Stiamo parlando di Bête [FIG. VI] e di La possibilité de linsecte. Per tentare uninterpretazione attendibile di queste tavole ci pare utile chiamare qui un causa alcune osservazioni di Jean-Luc Nancy. Se infatti ciò che abbiamo sostenuto fino a questo punto è corretto, possiamo allora affermare che
ce qui survient au sujet, ce qui lui tombe dessus au lieu de le soutenir dune sub-stance, et même au lieu de le soutenir dune parole cest finalement [...] son aréalité [...]: son manque de réalité (qui ne fait pas absence, et qui empêche de se livrer à une égologie négative sur le mode de la théologie négative), et sa nature daire area despace ou détendue antérieure à toute spatialité. Laréalité nest pas non plus la forme transcendantale de lespace: antérieure au régime transcendantal (mais pensable seulement à partir de Kant) plus «primitive», laréalité sétend comme le lieu inassignable de lexpérience informe que fait le «sujet» de son «propre» chaos [30].
Gli ultimi due disegni qui evocati illustrano gli assunti-chiave su cui verte il discorso di Nancy: partiti dalla puntuale delineazione di uno spazio formulato razionalmente, arriviamo ora ad una nozione sfuggente di spazialità, la quale non obbedisce più ad alcuna assiomatica preliminare, ma piuttosto concresce informe intorno alla figura che non smette di assediarlo e corroderlo dallinterno.
Ne La possibilité de linsecte [FIG. VII] vediamo che i lacunosi cascami delle geometrie albertine segmentano in maniera ordinata e regolare la pagina. Tra di essi però si insinua spettrale ed esangue un alone dalla fisionomia indefinibile, un profilo artigliato che poco a poco riesce a metabolizzare nella proprie striscianti movenze le randagie schegge di spazio ancora fluttuanti intorno ad essa.
[FIG.VII]
È in questa accezione che ci pare vada intesa la nozione di aréalité appena enunciata da Nancy: se nel trattato del De Pictura Leon Battista Alberti prospettava una rigorosa schematizzazione del proscenio grafico in cui lasciar agire i personaggi dellistoria, inquadrati secondo le ferree norme geometrizzanti degli assunti che legittimavano la rappresentazione, Frédéric Dupré ci invita a penetrare allinterno di una contrattile e disorientata latitudine di epilettiche cellule figurali le quali, in forza di una ventilation brownienne [31], sommuovono la superficie di manifestazione delloggetto raffigurato fino a smembrarla: nel caso specifico, limmagine del corpo dellinsetto poco a poco appare dinanzi a noi grazie ad un vibratile e nervoso rapprendersi di succhi, bave e linfe, i quali si addensano sulla pagina in seguito ad un processo di incomprensibile percolazione [32] che circonda e ingloba progressivamente i superstiti elementi architettonici distribuiti attorno a quella creatura, quasi a puntellarne lo schiumoso affioramento. A tal proposito potremmo dire con Schefer che
lespèce de savoir qui entraîne dans les images nest peut-être que lultime désir de les détruire. De détruire leur apparence dimage par-delà cet être plat, cette sorte décrasement du monde en une surface, celle vers laquelle la vue rôde comme si jétais un insecte qui commençait uniquement à la palper, à promener des antennes sur cette surface sans courbe comme sil en tétait les couleurs [33].
Linsetto qui non appartiene più ad alcuno spazio preesistente; anzi, è esso stesso a secernere il proprio piano di estrinsecazione figurale, producendo così intorno a sé quella aréalité qui ottenuta come attraverso un noud qui se fibre pour élaborer une espèce de chair inorganique [34].
Nel suppurante spessore di questa chair inclassificabile ed inconcettualizzabile trapelano in filigrana le flebili venature di imponderabili corpi di cui è impossibile prevedere levoluzione e gli esiti morfologici. Ecco allora che la possibilité a cui si fa riferimento nel titolo della tavola esaminata non allude semplicemente alle virtualità effettive contenute in quelle pulviscolari tracce grafiche, ma piuttosto fa riferimento ad un pulsante e travagliato nucleo di forze e forme capaci di infrangere sempre in maniera imprevedibile e proficua i nostri logori schemi percettivi e cognitivi.
Note
[1]. J. L. Schefer, Images mobiles. Récis, visages, flocons, POL, Paris, 1999, p. 250.
[2]. Ivi, p. 251.
[3]. M. Serres, Linterférence. Hermès II Minuit, Paris, 1972, p. 118.
[4]. Ivi, p. 120.
[5]. Ivi, p. 255.
[6]. J. Paulhan, La peinture cubiste, Gallimard, Paris, 1990, p. 53.
[7]. M. Serres, Linterférence. Hermès II..., p. 13.
[8]. Ivi, p. 92.
[9]. Ivi, p. 119.
[10]. Ibid.
[11]. Ivi, p. 152.
[12]. J. L. Schefer, Figures peintes. Essais sur la peinture, POL, Paris, 1998, pp. 362.
[13]. Ivi, p. 358.
[14]. Ivi, p. 359.
[15]. M. Serres, La distribution, Hermès IV, Minuit, Paris, 1977, p. 115.
[16]. Ivi, p. 157.
[17]. H. Damisch, Lorigine de la perspective, Flammarion, Paris, 2012, pp. 234-237.
[18]. M. Serres, La communication. Hermès I, Minuit, Paris, 1969, p. 160, cfr. nota 16.
[19]. M. Serres, Le passage du Nord-Ouest. Hermès V, Minuit, Paris, p. 15-16.
[20]. Ivi, p. 117.
[21]. Ivi, p. 116.
[22]. L. Marin, Détruire la peinture, Flammarion, Paris, 1977, p. 77.
[23].Ibid.
[24]. M. Serres, Le passage du Nord-Ouest..., p. 116.
[25]. H. Michaux, Connaissance par les gouffres, Gallimard, Paris, 1967, p. 146.
[26]. H. Michaux, Misérable miracle, Gallimard, Paris, 1972, 72-73.
[27]. H. Michaux, Connaissance par les gouffres..., p. 163.
[28]. Ivi, p. 217.
[29]. J-L Nancy, Ego Sum, Galilée, Paris, 1979, p. 75 e p. 147.
[30]. Ivi, pp. 37-38. Corsivi di Nancy.
[31]. J-C Martin, Ossuaires. Anatomie du Moyen Âge roman, Payot, Paris, 1995, p. 159.
[32]. Ivi, pp. 171-194.
[33]. J. L. Schefer, Origine du crime, POL, Paris, 1998, p. 144.
[34]. J-C Martin, Ossuaires. Anatomie du Moyen Âge roman..., p. 131.
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